Tempo Ordinario

martedì 2 novembre 2010

La festività dei defunti significato e origini storiche


Riporto questo articolo che ritengo molto interessante (fonte:http://capodorlando.blogolandia.it)

Puntuale come ogni anno, siamo alle porte della festività dei defunti.
La festa dei morti ha origini antiche, la Chiesa Cattolica la dedica alla commemorazione dei defunti.

Civiltà antichissime la festeggiavano tra la fine di ottobre ed i primi di novembre.
Sembra riferirsi al Diluvio Universale di cui parla la Genesi,con la costruzione dell’Arca di Noè e,secondo il racconto di Mosè cadde nel diciassettesimo giorno del secondo mese, cioè Novembre.

Ebbe inizio così la festa dei morti in onore delle persone che Dio aveva distrutto sottolineando così la paura a commettere gli stessi errori.

La Chiesa Cattolica faticava ad abolire i culti pagani con le loro tradizioni celtiche e verso l’anno 835 papa Gregorio II spostò la festa di tutti i Santi dal 13 maggio al I° novembre,mentre nel 998 Odilo abate di Cluny aggiunse al calendario cristiano la festa dei defunti al 2 novembre.

In quei giorni in memoria dei propri morti ci si travestiva da santi,angeli o diavoli e si accendevano falò.

Si narra che tra l’uno novembre ed il due, la notte fosse più lunga del giorno e che il principe delle tenebre chiamava a sè tutti gli spiriti per passare da un mondo all’altro.

I festeggiamenti di quel periodo avvenivano con offerte di cibo,travestimenti e falò,così ecco le usanze pagane sino ai giorni nostri.

Si racconta anche che ebbe inizio così l’abitudine di lasciare ai bambini regali e dolcetti perchè la leggenda ricorda che i morti rubassero ai negozianti o ai pasticceri per lasciare doni ai propri cari. In questo modo si vuole sdramatizzare la paura che si ha col mondo dei morti,il mistero che c’è tra vivi e morti.

Ai bambini si tramanda quest’usanza per non intimorirli e far comprendere che i propri morti vogliono loro ancora bene.

Nelle nostre zone,il 2 mattina è una caccia al tesoro,ci si mette alla ricerca dei regali lasciati dai morti,nascosti nei punti più disparati della casa. Si crede anche che le anime debbano essere dissetate e sfamate.

Si lascia così una bottiglia di acqua fresca ed una scodella di legumi cotti come ceci o fave.

Sicuramente all’aspetto religioso ha preso il sopravvento l’aspetto pagano con il consumismo. Da un paio d’anni anche in Italia si festeggia la festa di Halloween che ha origine celtiche in quanto le sue tradizioni si hanno in Scozia,Inghilterra,Irlanda e Francia.

La notte di Halloween c’è l’usanza da parte dei bambini di bussare alle porte di case e dire “trick or treat” cioè dolcetto o scherzetto e si regalano biscotti,caramelle e dolciumi di ogni tipo.

Certo ogni regione ha le sue tradizioni e le sue usanze,in Sicilia è una festa di sapori,profumi e colori per i nostri bambini.

Non siamo abituati a dire commemorazione dei morti ma la festa dei morti,forse perchè non la sentiamo come un giorno triste,ma lieto,con i nostri cimiteri pieni di fiori e viavai di gente.

In Calabria per esempio nelle zone abitate da italo-albanesi si va al cimitero in processione e dopo preghiere e benedizioni si fanno banchetti direttamente sulle tombe,tutto questo per entrare in contatto con i propri morti.

In Piemonte si usa apparecchiare per la cena e lasciare un posto in più a tavola per il defunto che sarebbe venuto in visita.

Nel Giappone buddista la commemorazione dei defunti è ricordata il 15 luglio. Loro non credono a spiriti o fantasmi come noi,ma a divinità o entità.

La ricorrenza da loro è chiamata Obon cioè la Festa dell’Anima. Tramandano da secoli l’usanza di preparare un cavallo fatto con un cetriolo ed una mucca fatta con una melanzana.

Tutto questo perchè per venire a trovare i vivi li avrebbero raggiunti con un cavallo veloce mentre,per tornare più lentamente con una lenta mucca di melanzana.

Nel buddismo non c’è l’idea dell’inferno e sofferenza dopo la morte,ma è una via di mezzo tra divinità ed anima proteggendo così i loro discendenti.

Per i giapponesi la festa di obon vuol dire divertirsi con i morti che tornano tra i vivi.

Anche in Cina il culto dei defunti ha lo scopo di onorare gli antenati per le loro imprese,venerandoli e in loro onore vengono preparati ed addobbati altari sui quali si fanno offerte e sacrifici.

In Africa quasi tutte le religioni sono monoteiste,loro credono in un unico Dio creatore dell’universo e viene concepito come un essere superiore.

Per questo le vicende umane e le loro usanze vengono rivolte con preghiere solo a spiriti inferiori ed in particolare agli antenati defunti.

Così spetta ai discendenti rafforzare il rapporto vitale con loro e riaffermare il benessere sulla vita ultraterrena.

Sanno anche che per migliorarsi socialmente bisogna rispettare i defunti dando importanza a riti propriziatori.

Tutto questo serve a consolidare il legame tra vivi e morti.

Loro manifestano il culto dei morti anche attraverso riti,amuleti,maschere o totem e restando in attesa di messaggi da parte degli antenati.

Le sette evangeliche ed alcune chiese protestanti hanno vietato il culto agli antenati perchè ritengono paragonarlo all’adorazione a satana.

Tornando ai giorni nostri ed alle nostre tradizioni,la commemorazione dei defunti ci porta a partecipare il 2 novembre alle Sante Messe celebrate presso i cimiteri,da noi con la presenza del Vescovo Zambito e con autorità civili e militari.

Concludo con un pensiero: non bisogna aspettare il 2 novembre per ricordare i nostri morti,ma bisogna averli sempre nel cuore,ricordandoli con affetto,sentirli vicini e,se vogliamo appagarci ancora di più,andare a trovarli più spesso.

martedì 5 ottobre 2010

Riapertura dell'Oratorio Parrocchiale

Finalmente ha riaperto l'oratorio parrocchiale di Capena!
C'è una novità: a differenza degli scorsi anni l'oratorio sarà aperto
4 giorni su 7.
Gli orari sono i seguenti:
Martedì, Giovedì e Sabato
ore 16.30-19.00
Domenica
ore 15.00-19.00


Vi aspettiamo numerosi in via del mattatoio, Capena!!!

I ragazzi dell'Oratorio

lunedì 9 agosto 2010

Assunzione della Beata Vergine Maria

15 agosto

L'Immacolata Vergine, preservata immune da ogni colpa originale, finito il corso della sua vita, fu assunta alla celeste gloria in anima e corpo e dal Signore esaltata quale regina dell'universo, perché fosse più pienamente conforme al Figlio suo, Signore dei dominanti e vincitore del peccato e della morte'. (Conc. Vat. II, 'Lumen gentium', 59). L'Assunta è primizia della Chiesa celeste e segno di consolazione e di sicura speranza per la chiesa pellegrina. La 'dormitio Virginis' e l'assunzione, in Oriente e in Occidente, sono fra le più antiche feste mariane. Questa antica testimonianza liturgica fu esplicitata e solennemente proclamata con la definizione dommatica di Pio XII nel 1950. (Mess. Rom.)

Martirologio Romano: Solennità dell’Assunzione della beata Vergine Maria, Madre di Dio e Signore nostro Gesù Cristo, che, completato il corso della sua vita terrena, fu assunta anima e corpo nella gloria celeste. Questa verità di fede ricevuta dalla tradizione della Chiesa fu solennemente definita dal papa Pio XII.



Maria compare per l'ultima volta negli scritti del Nuovo Testamento nel primo capitolo degli Atti: Ella è in mezzo agli apostoli, in orazione nel cenacolo, in attesa della discesa dello Spirito Santo. Alla concisione dei testi ispirati, fa riscontro l'abbondanza di notizie sulla Madonna negli scritti apocrifi, soprattutto il Protovangelo di Giacomo e la Narrazione di S. Giovanni il teologo sulla dormizione della santa Madre di Dio. Il termine "dormizione" è il più antico che si riferisca alla conclusione della vita terrena di Maria. Questa celebrazione venne decretata per l'Oriente nel VII secolo con un decreto dell'imperatore bizantino Maurizio. Nello stesso secolo la festa della Dormizione viene introdotta anche a Roma da un papa orientale, Sergio I. Ma trascorse un altro secolo prima che il termine "dormizione" cedesse il posto a quello più esplicito di "assunzione".
La definizione dogmatica, pronunciata da Pio XII nel 1950, dichiarando che Maria non dovette attendere, al pari delle altre creature, la fine dei tempi per fruire anche della redenzione corporea, ha voluto mettere in rilievo il carattere unico della sua santificazione personale, poiché il peccato non ha mai offuscato, neppure per un solo istante, la limpidezza della sua anima. L'unione definitiva, spirituale e corporea, dell'uomo con il Cristo glorioso, è la fase finale ed eterna della redenzione. Così i beati, che già godono della visione beatifica, sono in certo senso in attesa del compimento della redenzione, che in Maria era già avvenuta con la singolare grazia della preservazione dal peccato.
Alla luce di questa dottrina, che ha il suo fondamento nella Sacra Scrittura, nel cosiddetto "Protoevangelo", contenente il primo annunzio della salvezza messianica dato da Dio ai nostri progenitori dopo la colpa, Maria viene presentata come nuova Eva, strettamente unita al nuovo Adamo, Gesù. Gesù e Maria sono infatti associati nel dolore e nell'amore per riparare la colpa dei nostri progenitori. Maria è dunque non solo madre del Redentore, ma anche sua cooperatrice, a lui strettamente unita nella lotta e nella decisiva vittoria. Quest'intima unione richiede che anche Maria trionfi, al pari di Gesù, non soltanto sul peccato, ma anche sulla morte, i due nemici del genere umano. E come la redenzione di Cristo ha la sua conclusione con la risurrezione del corpo, anche la vittoria di Maria sul peccato, con la Immacolata Concezione, doveva essere completa con la vittoria sulla morte mediante la glorificazione del corpo, con l'assunzione, poiché la pienezza della salvezza cristiana è la partecipazione del corpo alla gloria celeste.

sabato 19 giugno 2010

Infiorata 2010







Grazie a tutti quelli che hanno partecipato!!!

mercoledì 19 maggio 2010

La festa di Pentecoste


All'interno del gruppo dei discepoli di Gesù Cristo, seguendo quanto narrato in Atti 2,1-11 la Pentecoste ha perso il significato ebraico per designare invece la discesa dello Spirito Santo, che viene come la nuova legge donata da Dio ai suoi fedeli, e come la nascita della Chiesa cominciando dalla comunità paleocristiana di Gerusalemme, o "comunità gerosolimitana" (At 2,42-48).

La ricorrenza di tale evento è diventata un appuntamento fisso del calendario liturgico, è detta anche Festa dello Spirito Santo e conclude le festività del Tempo pasquale.

Che Pentecoste sia nata nel periodo apostolico è dichiarato nel settimo frammento attribuito a Sant'Ireneo. In Tertulliano (De bapt. xix) la festa appare già ben definita. Il pellegrino gallico ci dà un resoconto dettagliato del modo solenne in cui veniva osservata a Gerusalemme (Peregrin. Silviæ, ed. Geyer, iv). Le Costituzioni Apostoliche (V, xx, 17) dicono che Pentecoste dura una settimana, ma in Occidente l'ottava si cominciò a celebrare in periodo più tardivo. In Berno di Reichenau (+ 1048) appare che era discusso ai suoi tempi se Pentecoste dovesse avere o no un'ottava.

In passato i catecumeni che non potevano essere battezzati a Pasqua venivano battezzati durante la vigilia di Pentecoste, e per questo le cerimonie del sabato vigilia di Pentecoste erano simili a quelli del Sabato santo. La festa della Pentecoste - Domenica di Pentecoste, incluso il Lunedì di Pentecoste, quale giornata festiva a tutti gli effetti civili - è festeggiata con particolare rilevanza nell'Europa centrale: Germania, Austria, Svizzera, Belgio, Francia, Olanda e Lussemburgo. In tutto l'Alto Adige, compreso il capoluogo Bolzano, anche il Lunedì di Pentecoste è ufficialmente giorno festivo. Nei paesi anglosassoni è chiamata domenica in bianco (Whitesunday) a causa delle vesti bianche indossate da coloro che venivano battezzati durante la vigilia.

In passato durante l'intera settimana i tribunali non si riunivano e il lavoro servile era vietato. Il concilio di Costanza (1094) limitò tale proibizione ai primi tre giorni della settimana. Il riposo sabbatico del martedì fu abolito nel 1771, e in molte zone di missione anche quello del lunedì, fino ad essere abrogato per l'intera Chiesa da papa Pio X nel 1911. Prima della riforma liturgica il grado liturgico del lunedì e del martedì della settimana di Pentecoste era doppio di prima classe.
La celebrazione liturgica della Pentecoste sembra risalire al I secolo, benché non ci sia prova che venisse osservata, a differenza della Pasqua; il versetto di 1 Cor 16,8 probabilmente si riferisce alla festa ebraica.

Attualmente la liturgia la celebra nel grado di solennità.

L'Ufficio di Pentecoste aveva prima della riforma liturgica un solo Notturno durante l'intera settimana dell'ottava. A Terza viene cantato il Veni Creator invece del solito inno, perché è all'ora terza che discese lo Spirito Santo.

La Messa di Pentecoste ha una sequenza, il Veni Sancte Spiritus attribuita a Papa Innocenzo III o più probabilmente a Stefano di Langhton arcivescovo di Canterbury.

Il colore dei paramenti è rosso, simbolo dell'amore dello Spirito Santo o delle lingue di fuoco.
La Festa di Pentecoste è festa mobile, nel senso che la sua data dipende dalla data della Pasqua e dal relativo calcolo della Pasqua. Essendo la Pasqua celebrata in date diverse dalle varie confessioni cristiane, di conseguenza anche la Pentecoste è celebrata in date diverse dalle tradizioni occidentali ed orientali del Cristianesimo.
Ancora nel XIX secolo esisteva in Italia l'uso di far piovere dall'alto sui fedeli, durante la messa di Pentecoste, dei petali di rose rosse, per evocare la discesa dello Spirito Santo. Per questo la festività prese il nome anche di "Pasqua rosata", che conserva tuttora in alcune zone del centro e del sud dell'Italia,[5], o di Pascha rosatum. In Alto Adige, inoltre, la domenica dopo il Corpus Domini si festeggia il "Sacro Cuore". Si svolgono processioni religiose con bande musicali e compagnie di "Schützen". Nella serata della domenica del Sacro Cuore sulle cime dei monti vengono accesi dei fuochi a forma di croci e cuori: i fuochi del Sacro Cuore.

Il termine italiano Pasqua rossa deriva dal colore rosso dei paramenti sacri usati a Pentecoste.

mercoledì 31 marzo 2010

La Settimana Santa e il triduo pasquale



La Settimana Santa non può ridursi a una mera commemorazione: è la meditazione del mistero di Gesù Cristo che continua nelle nostre anime. Scriveva il santo José Escrivà de Balaguer: “il cristiano è chiamato ad essere alter Christus, ipse Christus. Noi tutti, con il Battesimo, siamo stati costituiti sacerdoti della nostra stessa esistenza per offrire vittime spirituali, ben accette a Dio per mezzo di Gesù Cristo per compiere ciascuna delle nostre azioni in spirito di obbedienza alla volontà di Dio, perpetuando così la Missione dell'Uomo-Dio”. La Settimana Santa si caratterizza per il Triduo Pasquale, centro del Mistero di Cristo e della Chiesa. Il Centro dell'Anno liturgico. Vivremo in tre giorni il Mistero, della nostra salvezza: la Passione, la Morte/Sepoltura e della gloriosa Risurrezione del Signore. Dal punto di vista pastorale dispiace che, per non pochi battezzati, Pasqua significhi semplicemente una festa dalla data ...

... “alta o bassa…”. Per i più anziani ‘fare Pasqua’ significa fare la confessione e la comunione una volta all’anno secondo l’antico insegnamento del catechismo.
Per la maggioranza Pasqua è sinonimo di vacanze ed eventuali viaggi...

Non possiamo dimenticare mai che la Pasqua è il fondamento e il comune denominatore di tutte le celebrazioni. Si pensi che su 365 giorni, i cinquanta giorni che seguono la domenica della Risurrezione sono consacrati alla celebrazione della Pasqua come un’unica «grande domenica».

Se poi consideriamo i 40 giorni di Quaresima, che è strutturata in funzione della Pasqua, si capisce l’importanza che la Chiesa dà a questo periodo che è essenzialmente passaggio verso una maggiore comunione con Cristo e con la sua Chiesa; verso una maggiore coerenza di vita con il Vangelo.

Al centro della settimana santa e dei 50 giorni di Pasqua c’è un triduo le cui celebrazioni costituiscono la sintesi di tutto il mistero cristiano.

Il Giovedì santo

Il giorno del Giovedì, nella storia, non è mai appartenuto al Triduo.
La riforma liturgica del Concilio Vaticano II lo considera una introduzione. Il giovedì santo è l'ultimo giorno della Quaresima, e con la Messa In Coena Domini, da l’avvio in qualche modo al Triduo pasquale dei tre giorni «Passionis et Resurrectionis Domini».
Diciamo che la memoria dell’ultima Cena è l’annuncio globale degli eventi pasquali e della loro finalità come appare chiaramente nel discorso di Gesù riportato da Giovanni.
Ricorda l’amato papa Benedetto: “Oltre all’istituzione del Sacerdozio, in questo giorno santo si commemora l’offerta totale che Cristo ha fatto di Sé all’umanità nel sacramento dell’Eucaristia. In quella stessa notte in cui fu tradito, Egli ci ha lasciato, come ricorda la Sacra Scrittura, il "comandamento nuovo" - "mandatum novum" - dell'amore fraterno compiendo il gesto toccante della lavanda dei piedi, che richiama l’umile servizio degli schiavi. Questa singolare giornata, evocatrice di grandi misteri, si chiude con l’Adorazione eucaristica, nel ricordo dell’agonia del Signore nell’orto del Getsemani. Preso da grande angoscia, narra il Vangelo, Gesù chiese ai suoi di vegliare con Lui rimanendo in preghiera: "Restate qui e vegliate con me" (Mt 26,38), ma i discepoli si addormentarono. Ancora oggi il Signore dice a noi: "Restate e vegliate con me". [13.4.2006].
…. così possiamo meglio comprendere il mistero del Giovedì Santo, che ingloba il triplice sommo dono del Sacerdozio ministeriale, dell’Eucaristia e del Comandamento nuovo dell’amore (agape). [4.4.2007]

IL TRIDUO PASQUALE

Il Venerdì santo

Dall'antichità questo giorno è stato aliturgico, cioè privo della celebrazione eucaristica. Il nucleo della celebrazione, come apprendiamo dall'Apologia di Giustino, è la celebrazione della Parola di Dio e, in modo particolare, la Passione secondo Giovanni.
Il Venerdì santo non celebra il funerale di Gesù!
Il colore rosso delle vesti liturgiche è segno della regalità e della vittoria. La chiesa fino al XII secolo amava rappresentare Gesù in croce vivo, con gli occhi aperti, con la tunica bianca del risorto o rossa del re, e sovente anche con una corona regale sul capo.
L’adorazione della croce è senza dubbio l’aspetto più popolare all’interno dell’austero rito odierno.
Essa fa il suo entra ingresso solenne sul modello della processione d’ingresso del cero pasquale nella Veglia (cfr. MR p. 152, n. 17). E’ l’adorazione del ‘glorioso albero della croce’ come canta l’inno liturgico che accompagna questo rito: «Pange lingua gloriosi proelium certaminis».

E’ ancora Benedetto XVI che ci guida nella comprensione del primo giorno del Triduo pasquale. Egli dice: “Il Venerdì Santo, che commemora gli eventi che vanno dalla condanna a morte alla crocifissione di Cristo, è una giornata di penitenza, di digiuno e di preghiera, di partecipazione alla Passione del Signore. L’Assemblea cristiana ripercorre, con l’aiuto della Parola di Dio e dei gesti liturgici, la storia dell’umana infedeltà al disegno divino, che tuttavia proprio così si realizza, e riascolta il racconto commovente della Passione dolorosa del Signore. Rivolge poi al Padre celeste una lunga "preghiera dei fedeli", che abbraccia tutte le necessità della Chiesa e del mondo.
La Comunità adora quindi la Croce e si accosta all’Eucaristia, consumando le sacre specie conservate dalla Messa in Cena Domini del giorno precedente. Commentando il Venerdì Santo, san Giovanni Crisostomo osserva: "Prima la croce significava disprezzo, ma oggi essa è cosa venerabile, prima era simbolo di condanna, oggi è speranza di salvezza. E’ diventata davvero sorgente d’infiniti beni; ci ha liberati dall’errore, ha diradato le nostre tenebre, ci ha riconciliati con Dio, da nemici di Dio ci ha fatti suoi familiari, da stranieri ci ha fatto suoi vicini: questa croce è la distruzione dell’inimicizia, la sorgente della pace, lo scrigno del nostro tesoro" (De cruce et latrone I,1,4). [4.4.207]

Sabato Santo

E’ il giorno del grande silenzio – perché – come dice un'antica omelia, «il Re dorme. La terra tace perché il Dio fatto carne si è addormentato ed ha svegliato coloro che da secoli dormono».
La chiesa romana non ha mai istituito alcuna celebrazione del Cristo nel sepolcro.
E' la celebrazione silenziosa del tempo sospeso, del riposo, ma non del nulla-fare.
Spiega papa Benedetto: “Il Sabato Santo è giorno in cui la liturgia tace, il giorno del grande silenzio, ed i cristiani sono invitati a custodire un interiore raccoglimento, spesso difficile da coltivare in questo nostro tempo, per meglio prepararsi alla Veglia pasquale. In molte comunità vengono organizzati ritiri spirituali e incontri di preghiera mariana, quasi per unirsi alla Madre del Redentore, che attende con trepidante fiducia la risurrezione del Figlio crocifisso”. [4.4.2007]

La Domenica di Pasqua nella Risurrezione del Signore

Inizia con la Veglia della Notte santa, che S. Agostino definisce la Madre di tutte le veglie. Essa si colloca al cuore dell'Anno liturgico, al centro di ogni celebrazione. Essa rappresenta il Totum pasquale sacramentum.
Infatti in essa si celebrano non solo i fatti della risurrezione, ma anche quelli della passione di Cristo.
Infatti la Veglia pasquale è il vertice di una sequenza celebrativa unitaria che si articola su tre giorni senza soluzione di continuità. Dalla messa in Cena Domini fino alla conclusione della Veglia pasquale non c’è l’abituale congedo dell’assemblea.
La veglia non una celebrazione come tante altre; è la più importante celebrazione della comunità cristiana.

Il solenne ingresso del cero nell’assemblea avvolta nel buio è il rito che caratterizza la Veglia. L'assemblea partecipa con la triplice acclamazione del «Cristo – luce del mondo».
L’annuncio pasquale (Exultet) costituisce un momento di grande emozione.

La Liturgia della Parola è stata arricchita con le orazioni «a scelta», che rendono più facile la comprensione delle letture.
Alla Liturgia della Parola segue la Liturgia Battesimale con la rinnovazione delle promesse battesimali e l'aspersione dell'assemblea con l'acqua benedetta. Se vi sono i candidati al battesimo qui ha il luogo la celebrazione del sacramento.

La celebrazione prosegue con l'Eucaristia. Tutto il mondo cosmico è rinnovato dal Mistero Pasquale.

Papa Benedetto ci aiuta a comprendere il significato della Veglia Pasquale nella Risurrezione del Signore con queste parole: “Nella Veglia pasquale il velo di mestizia, che avvolge la Chiesa per la morte e la sepoltura del Signore, verrà infranto dal grido della vittoria: Cristo è risorto ed ha sconfitto per sempre la morte! Potremo allora veramente comprendere il mistero della Croce, "come Dio crei prodigi anche nell’impossibile - scrive un autore antico - affinché si sappia che egli solo può fare ciò che vuole. Dalla sua morte la nostra vita, dalle sue piaghe la nostra guarigione, dalla sua caduta la nostra risurrezione, dalla sua discesa la nostra risalita" (Anonimo Quartodecimano). Animati da fede più salda, nel cuore della Veglia pasquale accoglieremo i neo-battezzati e rinnoveremo le promesse del nostro Battesimo. Sperimenteremo così che la Chiesa è sempre viva, si ringiovanisce sempre, è sempre bella e santa, perché poggia su Cristo che, risorto, non muore più”. [4.4.2006]

E’ ancor a l’amato papa Benedetto che conclude la nostra riflessione: “Il Mistero pasquale, che il Triduo Santo ci farà rivivere, non è solo ricordo di una realtà passata, è realtà attuale: Cristo anche oggi vince con il suo amore il peccato e la morte. Il Male, in tutte le sue forme, non ha l'ultima parola. Il trionfo finale è di Cristo, della verità e dell’amore! Se con Lui siamo disposti a soffrire ed a morire, ci ricorderà san Paolo nella Veglia pasquale, la sua vita diventa la nostra vita (cfr Rm 6,9)”. [4.4.2006]

mons. Tommaso Stenico

da www.pontifex.roma.it

mercoledì 3 marzo 2010

San Paolo


Paolo, cooptato nel collegio apostolico dal Cristo stesso sulla via di Damasco, strumento eletto per portare il suo nome davanti ai popoli, è il più grande missionario di tutti tempi, l'avvocato dei pagani, l'apostolo delle genti, colui che insieme a Pietro far risuonare il messaggio evangelico nel mondo mediterraneo. Gli apostoli Pietro e Paolo sigillarono con il martirio a Roma, verso l'anno 67, la loro testimonianza al Maestro. (Mess. Rom.)

Patronato: Vescovi, Missionari, Rover e Scolte

Etimologia: Paolo = piccolo di statura, dal latino

Emblema: Spada

Martirologio Romano: Solennità dei santi Pietro e Paolo Apostoli. Simone, figlio di Giona e fratello di Andrea, primo tra i discepoli professò che Gesù era il Cristo, Figlio del Dio vivente, dal quale fu chiamato Pietro. Paolo, Apostolo delle genti, predicò ai Giudei e ai Greci Cristo crocifisso. Entrambi nella fede e nell’amore di Gesù Cristo annunciarono il Vangelo nella città di Roma e morirono martiri sotto l’imperatore Nerone: il primo, come dice la tradizione, crocifisso a testa in giù e sepolto in Vaticano presso la via Trionfale, il secondo trafitto con la spada e sepolto sulla via Ostiense. In questo giorno tutto il mondo con uguale onore e venerazione celebra il loro trionfo.



San Paolo è senz’altro il più grande missionario di tutti i tempi, non conobbe personalmente Cristo, ma per la Sua folgorante chiamata sulla via di damasco, ne divenne un discepolo fra i più grandi, perorò la causa dei pagani convertiti, fu l’apostolo delle Genti; insieme a Pietro diffuse il messaggio evangelico nel mondo mediterraneo di allora; con la sua parola e con i suoi scritti operò la prima e fondamentale inculturazione del Vangelo nella storia.

Origini e formazione
Nacque probabilmente verso il 5-10 d.C. a Tarso nella Cilicia, oggi situata nella Turchia meridionale presso i confini con la Siria, città che nel I secolo era un luogo cosmopolita, dove vivevano greci, anatolici, ellenizzati, romani e una colonia giudaica, a cui apparteneva il padre commerciante di tende, il quale con la sua famiglia, come tutti gli abitanti, godeva della cittadinanza romana, riconosciuta dal triumviro Marc’Antonio e poi dall’imperatore Augusto.
Come molti degli ebrei di quel tempo, portava due nomi, uno ebraico Saul, che significava “implorato a Dio” e l’altro latino o greco che era Paulus, probabilmente alludeva alla sua bassa statura; Paulus divenne poi il suo unico nome, quando cominciò la sua predicazione in Occidente.
Conosceva la cultura ellenistica e a Tarso imparò il greco, ma la sua educazione era fondamentalmente giudaica, il suo ragionamento e la sua esegesi biblica, avevano l’impronta della scuola rabbinica.

Persecutore dei cristiani
Da giovane fu inviato a Gerusalemme, dove fu allievo di Gamaliele, il maestro più famoso e saggio del mondo ebraico dell’epoca; e a Gerusalemme conobbe i cristiani come una setta pericolosa dentro il giudaismo da estirpare con ogni mezzo; egli stesso poi dirà di sé: “Circonciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da ebrei, fariseo quanto alla legge, quanto a zelo persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge” (Fil. 3, 5-6).
Verso il 20 terminati gli studi, Saulo tornò a Tarso, dove presumibilmente si trovava durante la predicazione pubblica di Gesù; secondo gli “Atti degli Apostoli”, egli tornò a Gerusalemme una decina d’anni dopo, certamente dopo la Passione di Cristo, perché fu presente al martirio del protomartire s. Stefano, diacono di Gerusalemme; pur non partecipando direttamente alla lapidazione del giovane cristiano, era tra coloro che approvarono la sua uccisione, anzi custodiva i loro mantelli.
Negli “Atti degli Apostoli”, Saul è descritto come accanito persecutore dei cristiani, fiero sostenitore delle tradizioni dei padri; il suo nome era pronunciato con terrore dai cristiani, li scovava nei rifugi, li gettava in prigione, testimoniò contro di essi, il suo cieco fanatismo religioso, costrinse molti di loro a fuggire da Gerusalemme verso Damasco.
Ma Saulo non li mollò, anzi a cavallo e con un drappello di armigeri, con il consenso del Sinedrio, cavalcò anch’egli verso Damasco, per scovarli e suscitare nella città siriana la persecuzione contro di loro.

La conversione
E sulla strada per Damasco, il Signore si rivelò a quell’accanito nemico; all’improvviso, narrano gli ‘Atti’, una luce dal cielo l’avvolse e cadendo dal cavallo, udì una voce che gli diceva: “Saul, Saul, perché mi perseguiti?”. E lui: “Chi sei o Signore?”; e la voce: “Io sono Gesù che tu perseguiti. Orsù alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare” (Atti 9, 3-7).
Gli uomini che l’accompagnavano, erano ammutoliti perché l’avevano visto cadere, forse videro anche l’improvviso chiarore, ma senza capire qualcosa; Saulo era rimasto senza vista e brancolando fu accompagnato a Damasco, dove per tre giorni rimase in attesa di qualcuno, digiuno e sconvolto da quanto gli era capitato.
In quei giorni conobbe la piccola comunità cristiana del luogo, che avrebbe dovuto imprigionare; al terzo giorno si presentò il loro capo Anania, convinto a farlo da una rivelazione parallela, che gli disse: “Saulo, fratello, il Signore Gesù che ti è apparso sulla via per la quale venivi, mi ha mandato da te, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo”.
Detto ciò Anania gl’impose le mani guarendolo e poi lo battezzò; Saulo rimase qualche giorno a Damasco, dove si presentò nella Sinagoga, testimoniando quanto gli era accaduto, la comunità cristiana ne gioì, mentre quella ebraica rimase sconcertata, pensando che avesse perso la testa.
Fu la sua prima delusione, Anania gli aveva detto: “Iddio dei nostri padri, ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere Cristo e ad ascoltare le parole della sua bocca; perché tu gli sarai testimonio presso tutti gli uomini”.
Da quel momento, si può dire, nacque Paolo, l’apostolo delle Genti; egli decise di ritirarsi nel deserto, per porre ordine nei suoi pensieri e meditare più a fondo il dono ricevuto; qui trascorse tre anni in assoluto raccoglimento.
Forse proprio in questo periodo, avvenne quanto lui stesso racconta nella seconda lettera ai Corinzi (12, 2-4) “Conosco un uomo in Cristo, che quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo fu rapito in Paradiso e sentì parole indicibili, che non è lecito ad alcuno pronunziare”.
In effetti Paolo non era vissuto con Gesù come gli Apostoli e quindi non aveva ricevuto gradatamente tutta la formazione necessaria al ministero.
Ma a questo, il Maestro suppliva con interventi straordinari come la folgorazione sulla via di Damasco e facendogli contemplare la realtà divina portandolo in Paradiso, senza questo avvenimento Paolo non avrebbe potuto fare e insegnare come fece e insegnò.

Incontro e rapporto con gli Apostoli
Confortato da questa luce, dopo il ritiro ritornò a Damasco e si mise a predicare con entusiasmo, suscitando l’ira dei pagani, che lo consideravano un rinnegato e tentarono di ucciderlo; Paolo fu costretto a fuggire, calandosi di notte in una cesta dalle mura della città aiutato da alcuni cristiani, era all’incirca l’anno 39.
Rifugiatosi a Gerusalemme, si fermò qui una quindicina di giorni incontrando Pietro il capo degli Apostoli e Giacomo, ai quali espose la sua nuova vita.
Gli Apostoli lo capirono e stettero con lui ogni giorno per ore ed ore, parlandogli di Gesù; ma la comunità cristiana di Gerusalemme era diffidente nei suoi riguardi, memore della persecuzione accanita che aveva operato; soltanto grazie alla garanzia di Barnaba, un ex levita di grande autorità, i dubbi furono dissipati e fu accettato.
Anche a Gerusalemme, nei quindici giorni della sua permanenza, Paolo cercò di fare qualche conversione, ma questa sua attività missionaria indispettì i giudei e impensierì i cristiani, alla fine non trovandosi a suo agio, si recò prima a Cesarea e poi tornò a Tarso in Cilicia, la sua città, riprendendo il mestiere di tessitore.
Dal 39 al 43 non vi sono notizie sulla sua attività, finché Barnaba, inviato dagli apostoli ad organizzare la nascente comunità cristiana di Antiochia, passò da lui invitandolo a seguirlo; qui Paolo abbandonò per sempre il nome di Saulo, perché si convinse che la sua missione non era tanto fra i giudei, ma fra gli altri popoli che gli ebrei chiamavano ‘gentili’; ad Antiochia i discepoli di Cristo, furono denominati per la prima volta come “cristiani”.
Alla fine dell’anno 43, Paolo e Barnaba tornarono a Gerusalemme, per portare un aiuto economico a quella comunità e al ritorno ad Antiochia, condussero con loro il giovane Giovanni Marco, figlio della padrona di casa, la vedova Maria, che ospitava gli Apostoli nelle loro tappe a Gerusalemme, egli era nipote dello stesso Barnaba e il futuro evangelista.

Primo viaggio apostolico
Barnaba e Paolo decisero di intraprendere nel 45, un viaggio missionario in altre regioni, quindi con Marco partirono per Cipro, l’isola di cui era originario Barnaba, non si conosce l’estensione della loro evangelizzazione, qui Paolo ebbe un diverbio con il mago Elimas; da Cipro i tre fecero il viaggio di ritorno ad Antiochia, toccando varie cittadine dell’Asia Minore; a Perge nell’Anatolia avvenne la cosiddetta ‘fuga di Marco’, spaventato dalle difficoltà del lungo viaggio, lasciò i due compagni e se ne tornò a Gerusalemme.
Paolo e Barnaba comunque proseguirono e a Listra, Paolo guarì uno storpio; gli abitanti li scambiarono per Giove e Mercurio e volevano offrire loro un sacrificio.

La controversia sull’osservanza della Legge mosaica
Tornati ad Antiochia, soddisfatti per i risultati conseguiti, i due apostoli trovarono la comunità in agitazione, perché alcuni cristiani provenienti da Gerusalemme, riferirono che era in discussione il concetto che il battesimo cristiano, senza la circoncisione ebraica non sarebbe servito a nulla; così Paolo e Barnaba per chiarire l’argomento si recarono a Gerusalemme dagli Apostoli, provocando così quello che venne definito il primo Concilio della Chiesa.
Pietro ribadì che la salvezza, proviene dalla Grazia del Signore Gesù, che non aveva fatto nessuna discriminazione tra ebrei circoncisi e fedeli non ebrei; Paolo dal canto suo illustrò i risultati meravigliosi ottenuti fra i ‘gentili’ e si dichiarò a favore della non obbligatorietà dell’osservanza della legge mosaica, al contrario di molti cristiani per lo più ex farisei, che non volevano rinunciare alle loro pratiche, osservate sin dalla nascita, come la circoncisione, l’astensione dalle carni impure, la non promiscuità con i pagani o ex pagani, ecc.
Alla fine fu l’apostolo Giacomo a fare una proposta, accettata da tutti, non imporre ai convertiti dal paganesimo la legge mosaica, la cui pratica rimaneva facoltativa per gli ex ebrei.
A Paolo, Barnaba, Sila e Giuda Taddeo, fu dato l’incarico di comunicare ai fedeli delle varie comunità le decisioni prese. Ma la polemica continuò fra i cristiani delle due provenienze, fino a quando la Chiesa, ormai affermata nel mondo greco-romano, divenne autonoma dall’influenza della sinagoga.

Secondo viaggio apostolico
Si era nel 50 e Paolo decise di partire con Barnaba per un nuovo viaggio in Asia Minore, Barnaba propose di portare con loro il nipote Marco, ma Paolo si oppose decisamente, per non avere problemi come già successo nel primo viaggio.
Irrigiditi sulle proprie posizioni, alla fine i due apostoli si divisero, Barnaba con Marco andarono di nuovo ad evangelizzare Cipro e Paolo con Sila (O Silvano) andarono nel nuovo itinerario.
Il viaggio apostolico durato fino al 53, toccò la Grecia, la Macedonia dove Paolo evangelizzò Filippi; qui i due furono flagellati ed incarcerati, ma dopo un terremoto avvenuto nella notte e la conversione del carceriere, la mattina dopo furono liberati.
Andarono poi a Tessalonica, a Berea ed Atene, dove il dotto discorso di Paolo all’Areopago fu un insuccesso; dopo una sosta di un anno e mezzo a Corinto, ritornarono ad Antiochia.

Terzo viaggio apostolico
Nel 53 o 54, iniziò il terzo grande viaggio di Paolo, si diresse prima ad Efeso, fermandosi tre anni; la sua predicazione portò ad una diminuzione del culto alla dea Artemide e il commercio sacro ad esso collegato ebbe un tracollo, ciò provocò una sommossa popolare, da cui Paolo ne uscì illeso; la comunità fu affidata al discepolo Timoteo.
Da Efeso fu di nuovo in Macedonia e per tre mesi a Corinto; sfuggendo ad un programmato agguato sulla nave su cui si doveva imbarcare, continuò il viaggio per terra accompagnato per un tratto da Luca che ne fece un resoconto particolareggiato.
Egli visitò con commozione le comunità cristiane dell’Asia Minore che aveva fondate, presentendo di non poterle più rivedere.
L’ultima tappa fu Cesarea dove il profeta Agabo gli predisse l’arresto e la prigione, da lì arrivò a Gerusalemme verso la fine di maggio 58, qui portò le offerte raccolte nel suo ultimo viaggio.

Gli avvenimenti giudiziari
A Gerusalemme, oltre la gioia di una parte della comunità, trovò un’atmosfera tesa nei suoi confronti, conseguente alla già citata questione dell’ammissione incondizionata dei pagani convertiti al cristianesimo.
I sospetti sul suo conto, da parte degli Ebrei erano molti, alla fine fu accusato di aver introdotto nel tempio profanandolo, un cristiano non giudeo, tale Trogiuno; ciò provocò la reazione della folla e solo l’intervento del tribuno Claudio Lisia lo salvò dal linciaggio; convinto però che Paolo fosse un egiziano pregiudicato, lo fece flagellare, nonostante le sue proteste perché ciò era illegittimo, essendo cittadino romano.
Condotto davanti al Sinedrio, Paolo abilmente suscitò una contrapposizione tra Sadducei e Farisei, cosicché Lisia lo riportò in carcere e il giorno dopo, volendosi liberare della spinosa questione, mandò l’Apostolo sotto scorta a Cesarea, dal procuratore Antonio Felice, il quale pur trattandolo con una prigionia alquanto lieve, lo trattenne per ben due anni, sperando in un riscatto.
Solo il suo successore Porcio Festo, nel 60, provvide ad istruire un processo contro di lui a Gerusalemme, ma Paolo si oppose e come “civis romanus” si appellò all’imperatore.
Appena fu possibile, fu consegnato al centurione Giulio per essere trasferito a Roma, accompagnato da Luca e Aristarco; il viaggio a quel tempo avventuroso, fu interrotto a Malta a causa di un naufragio, dopo tre mesi di sosta, proseguì a tappe successive a Siracusa, Reggio Calabria, Pozzuoli, Foro Appio e Tre Taverne, arrivando nel 61 a Roma.
Qui gli fu concesso di alloggiare in una camera affittata, in una sorta di libertà vigilata ma con contatti con i cristiani, in attesa di un processo che non si fece mai, per il mancato arrivo degli accusatori dalla Palestina.
Terminato qui il racconto degli “Atti degli Apostoli”, le fasi finali della sua vita, possono essere ricostruite da alcuni accenni delle sue Lettere; probabilmente fu liberato, perché nel 64 Paolo non era a Roma durante la persecuzione di Nerone; forse perché in Oriente e in Spagna per il suo quarto viaggio apostolico.
Si sa che lasciò i discepoli Tito a Creta e Timoteo ad Efeso, a completare l’evangelizzazione da lui iniziata.

Il martirio
Nel 66, forse a Nicopoli, fu di nuovo arrestato e condotto a Roma, dove fu lasciato solo dai discepoli, alcuni erano lontani ad evangelizzare nuovi popoli, qualcun altro aveva lasciato la fede di Cristo; i cristiani di Roma terrorizzati dalla persecuzione, lo avevano abbandonato o quasi, solo Luca era con lui.
Paolo presagiva ormai la fine e lanciò un commovente appello a Timoteo: “Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele… Cerca di venire presto da me perché Dema mi ha abbandonato…, Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero…”.
Questa volta il tribunale romano lo condannò a morte perché cristiano; fu decapitato tradizionalmente un 29 giugno di un anno imprecisato, forse il 67, essendo cittadino romano gli fu risparmiata la crocifissione; la sentenza ebbe luogo in una località detta “palude Salvia”, presso Roma (poi detta Tre Fontane, nome derivato dai tre zampilli sgorgati quando la testa mozzata rimbalzò tre volte a terra); i cristiani raccolsero il suo corpo seppellendolo sulla via Ostiense, dove poi è sorta la magnifica Basilica di San Paolo fuori le Mura.

Culto
Non c’è certezza se i due apostoli Pietro e Paolo, siano morti contemporaneamente o in anni diversi, è certo comunque che il 29 giugno 258, sotto l’imperatore Valeriano (253-260) le salme dei due apostoli furono trasportate nelle Catacombe di San Sebastiano, per metterle al riparo da profanatori; quasi un secolo dopo, papa s. Silvestro I (314-335) fece riportare le reliquie di Paolo nel luogo della prima sepoltura e in quell’occasione l’imperatore Costantino I, fece erigere sulla tomba una chiesa, trasformata in Basilica nel 395, che sopravvisse fino al 1823, quando un violento incendio la distrusse; nello stesso luogo fu ricostruita l’attuale Basilica.
La Chiesa Latina celebra la festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, patroni di Roma il 29 giugno, perché anche se essi furono i primi a portare la fede nella capitale dell’impero, sono realmente i ‘fondatori’ della Roma cristiana.
La festa liturgica dei ss. Pietro e Polo venne inserita nel santoriale, ben prima della festa del Natale e dopo la Vergine SS. Sono insieme a s. Giovanni Battista, i santi ricordati più di una volta e con maggiore solennità; infatti il 25 gennaio si ricorda la Conversione di s. Paolo, il 22 febbraio la Cattedra di s. Pietro, il 18 novembre la Dedicazione delle Basiliche dei Santi Pietro e Paolo, oltre la solennità del 29 giugno.

La sua dottrina
Le sue 14 ‘Lettere’ fanno parte della ‘Vulgata’, versione latina della Bibbia e costituiscono i cardini dottrinali della Chiesa; indirizzate a comunità di cristiani dell’epoca (Filippesi, Colossesi, Galati, Corinzi, Romani, Ebrei, Tessalonicesi, Efesini), oppure a singoli discepoli (Tito, Timoteo, Filemone), in esse Paolo espose il suo pensiero annunziante il Vangelo, da lui definito così: “Io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo”.
In esse si trattano argomenti fondamentali quali la fede, il battesimo, la giustificazione per mezzo della fede, il peccato, l’umanità, lo Spirito Santo, il problema dell’incredulità e della conversione degli ebrei; la natura del ministero apostolico, lo scandalo di un incesto, il problema del matrimonio e della verginità, la celebrazione dell’Eucaristia, l’uso dei carismi, l’amore cristiano, la risurrezione dei morti, le tribolazioni e le speranze degli Apostoli.
E ancora: il mistero dell’Incarnazione, Cristo e la Chiesa, la salvezza universale, l’umiltà di Cristo, del suo primato sull’universo, l’impegno dei fedeli per la loro personale salvezza, la seconda venuta di Cristo e dell’Anticristo, il delineamento della figura e l’opera di Cristo, sotto il punto di vista dell’Antico Testamento, del sacrificio, del culto, del sacerdozio, del tempio; infine insegnamenti pratici per reggere una comunità, la difesa della causa di uno schiavo fuggito.

S. Paolo nell’arte e patronati
Era piccolo di statura, con naso adunco e occhi cisposi, impetuoso nell’affrontare la nuova missione cui era destinato, ma anche non rinunciatario dei suoi diritti, ligio alle regole e alle leggi; Paolo nell’arte, è stato invece raffigurato variamente secondo l’estro dell’artista, maturo o anziano, con barba e baffi e con capelli a corona intorno ad un’ampia fronte calva, seguendo anche le indicazioni degli apocrifi “Atti di Paolo e Tecla”, considerata sua discepola ad Iconio.
È patrono oltre di Roma, di Malta e dal 16 luglio 1914 della Grecia, innumerevoli sono le basiliche e chiese a lui dedicate in tutto il mondo; otto Comuni in Italia portano il suo nome; ricordiamo anche la metropoli sudamericana di San Paolo del Brasile.
È protettore dei cordai e dei cestai; è invocato contro le tempeste di mare, i morsi dei serpenti e contro la cecità.
Suo attributo è la spada, strumento del suo martirio.

da santiebeati.it

mercoledì 17 febbraio 2010

I Laogai in Cina

Riportiamo alcune informazioni tratte dal sito www.laogai.it, ponendoci semplicemente una domanda: "nonostante le tragedie dei lager nazisti, dei gulag sovietici e delle foibe, come può essere che accadano ancora cose simili? Che fine ha fatto la coscienza dell'uomo?"



COSA SONO I LAOGAI?

I campi di concentramento del terzo millennio

I Laogai sono i campi di concentramento in Cina istituiti da Mao Zedong nel 1950 seguendo l’esempio dell’URSS dove erano in piena funzione i Gulag. Furono degli esperti sovietici ad aiutare Mao Zedong ad organizzare i Laogai in Cina. Mentre i LAGER nazisti furono chiusi nel 1945 ed i GU-LAG sovietici sono in disuso dagli anni ’90, i LAOGAI cinesi sono tuttora operanti, oggi, nel terzo millennio.

Nei Laogai, piu’ di mille oggi in Cina, milioni di persone, uomini, donne e bambini sono attualmente
costretti al lavoro forzato in condizioni disumane a vantaggio economico del Governo Cinese e di
numerose multinazionali che producono o investono in Cina.

I LAOGAI sono tuttora strettamente funzionali allo stato totalitario cinese per un doppio scopo:

a
.
perpetuare la macchina dell’intimidazione e del terrore, con il lavaggio del cervello per gli oppositori politici;

b. fornire un’inesauribile forza lavoro a costo zero.

Immagine di un campo di lavoro forzato immagine di un laogai cinese foto uomini









Immagine della prigione di Changchun, Cina. Immagini di vita quotidiana in un Laogai





















laogai prigioni in Cina foto interno carcere laogai lavoro forzato foto razione cibo detenuti









Immagini di vita quotidiana in un Laogai Immagini di vita quotidiana in un laogai











Cosa si intende per lavaggio del cervello?

Costringere le persone contro la propria volontà

La peculiarità del sistema LAOGAI, rispetto ai precedenti modelli sovietici e nazisti, è il sistematico lavaggio del cervello del detenuto. Questo si attua mediante l’indottrinamento politico quotidiano sulle verità infallibili del comunismo e mediante l’autocritica.

L’indottrinamento politico si effettua con “sessioni di studio” giornaliere, che hanno luogo dopo le lunghe e dure ore di lavoro forzato. L’autocritica ha, invece, luogo davanti ai sorveglianti ed agli altri detenuti ed è finalizzata a “riformare” la personalità di chi si auto-accusa. Innanzitutto si devono elencare e analizzare le proprie colpe. Successivamente ci si deve accusare pubblicamente di averle commesse, procedendo alla riforma della propria personalità, per diventare una “nuova persona socialista”. E’ necessario infine mostrare - con i fatti - la propria lealtà al Partito, spesso denun­ciando i propri amici e parenti, i quali a loro volta sono costretti ad accusare e condannare il detenuto.

Tutto ciò continua ancora oggi, nel terzo millennio. Lu Decheng, uno dei tre famosi giovani che lanciarono gusci d’uova pieni di vernice sul ritratto di Mao Zedong in Piazza Tian An Men il 23 maggio del 1989, detenuto nei LAOGAI per 9 anni, durante la sua intervista con l’agenzia di stampa Asianews, il 4 giugno 2007, illustra la sua esperienza nei LAOGAI. Ha detto Lu Decheng “Ho passato 9 anni in un laogai. Era in realtà una fabbrica che produceva autoveicoli. Eravamo costretti al lavoro forzato per 15-16 ore al giorno.. Dopo il lavoro dovevamo seguire le ‘sessioni di studio’, di indottrinamento forzato, che dovevano trasformarci in persone fiduciose nel socialismo”.

Harry Wu spiega : quando si entra nel campo, la prima cosa è confessare il proprio crimine. Bisogna ripetutamente dire loro il proprio crimine. Non dimenticare mai nessun dettaglio. La confessione è di primaria importanza, perchè distrugge la dignità. Bisogna dire ’ sono un criminale, sono colpevole, voglio accettare la riforma del pensiero, voglio cambiare me stesso, voglio essere fedele al presidente Mao ’

Quali sono le condizioni di vita nei Laogai?

Maltrattamenti di ogni tipo sui prigionieri

Le condizioni di vita nei LAOGAI sono orribili. L’orario di lavoro arriva fino a 16 ore al giorno, secondo il tipo di attività praticata (industria, campi o miniere). Sicurezza ed igiene non esistono. Il giaciglio è sulla nuda pietra. Il cibo è inadeguato e sempre somministrato in proporzione al lavoro eseguito. La fame è la fedele compagna del detenuto. Fortunato chi lavora nei campi perché può trovare serpenti, rane e tane di ratti con chic­chi di soia o grano per sfamarsi. Sfortunato il detenuto che lavora nell’industria in città. I pestaggi e le torture sono all’ordine del giorno. Frequenti le scariche elettriche e la sospensione per le braccia. Manfred Nowak, inviato delle Nazioni Unite che ispezionò nel dicembre 2005 alcune pri­gioni in Cina, ha denunciato il continuo abuso della tortura e chiesto al Governo di Pechino di eliminare le esecuzioni capitali per crimini non violenti o per ragioni eco­nomiche. Nel suo rapporto del 10 marzo 2006 ha denunciato anche le con­fessioni estorte con la tortura. Le punizioni nei LAOGAI includono pure l’isolamento forzato per numerosi giorni, quasi sempre senza cibo, in cel­lette di circa due-tre metri cubi, in compagnia dei propri escrementi. Non è sorprendente che tale clima di abusi, fame, continui maltrattamenti e ves­sazioni induca i detenuti persino al suicidio.


da laogai.it


venerdì 12 febbraio 2010

San Valentino Martire


La più antica notizia di S.Valentino è in un documento ufficiale della Chiesa dei secc.V-VI dove compare il suo anniversario di morte. Ancora nel sec. VIII un altro documento ci narra alcuni particolari del martirio: la tortura, la decapitazione notturna, la sepoltura ad opera dei discepoli Proculo, Efebo e Apollonio, successivo martirio di questi e loro sepoltura. Altri testi del sec. VI, raccontano che S.Valentino, cittadino e vescovo di Terni dal 197, divenuto famoso per la santità della sua vita, per la carità ed umiltà, per lo zelante apostolato e per i miracoli che fece, venne invitato a Roma da un certo Cratone, oratore greco e latino, perché gli guarisse il figlio infermo da alcuni anni. Guarito il giovane, lo convertì al cristianesimo insieme alla famiglia ed ai greci studiosi di lettere latine Proculo, Efebo e Apollonio, insieme al figlio del Prefetto della città. Imprigionato sotto l’Imperatore Aureliano fu decollato a Roma. Era il 14 febbraio 273. Il suo corpo fu trasportato a Terni al LXIII miglio della Via Flaminia. Fu tra i primi vescovi di Terni, consacrato da S.Feliciano vescovo di Foligno nel 197. Preceduto da S.Pellegrino e S.Antimo, fratello dei SS.Cosma e Damiano.


IL CULTO

S.Valentino fu sepolto in un’area cimiteriale nei pressi dell’attuale Basilica. E’ sicuro che quel cimitero già esisteva in età pagana. Da questa zona provengono alcuni reperti le più antiche risalgono ai secc. IV-V. Si tratta di titoli sepolcrali. Il pezzo più interessante è il sarcofago a “teste allineate” del sec.IV ora conservato in Palazzo Carrara. E’il tradizionale sarcofago paleocristiano dove sono scolpite attorno alla figura del defunto orante, Scene della vita di Cristo. La prima basilica fu costruita nel sec.IV dato che la collocazione dell’edificio, fuori delle mura della città e in area cimiteriale e sopra la tomba del martire. Distrutta dai Goti, insieme alla città nel sec. VI, sarebbe stata ricostruita nel sec.VII. A conferma di questa ultima costruzione fu il rinvenimento di una moneta di Eraclio del 641. Al periodo della prima costruzione o a quella della ricostruzione del sec.VII, dovrebbe risalire la cripta con l’altare ad arcosolio, cioè sotto una nicchia coperta da un arco e sopra la tomba del martire. Intorno al sec.VII la basilica fu affidata ai Benedettini. Nel 742 vi avvenne l’incontro storico tra il papa Zaccaria partito da Roma verso Terni e il vecchio re longobardo Liutprando. La scelta della Basilica di S.Valentino fu fatta dal re perché all’interno di quella si veneravano le spoglie del glorioso martire alle quali egli attribuiva un valore taumaturgico. Da quell’incontro il re donava al pontefice alcune città italiane tra le quali Sutri.
Qui il pontefice ordinò il nuovo vescovo di Terni alla cui morte (760) la città rimase priva del pastore fino al 1218. In questo periodo la basilica fu ggetto di scorrerie prima di Ungari poi Normanni e Saraceni poi degli abitanti di Narni che vantavano pretese su alcuni territori e sulla Basilica. Onorio III nel 1219 vi si recò e consegnò la Basilica al clero locale. Da questo anno in poi non sappiamo più nulla dello stato di conservazione della Basilica. Agli inizi del 1600 doveva apparire fatiscente.

LA RICOGNIZIONE

Nel 1605 il vescovo Giovanni Antonio Onorati, ottenuto il permesso da papa Paolo V, fece iniziare le ricerche del corpo del Santo. Erano partite da tempo anche a Roma le ricerche dei primi martiri della Chiesa e per autenticare la loro esistenza e per accrescerne la venerazione. Il corpo di S.Valentino fu presto rinvenuto in una cassa di piombo contenuta entro un’urna di marmo rozza esternamente ma all’interno intagliata con rilievi. La testa era separata dal busto a conferma della morte avvenuta per decapitazione. Fu portata subito in Cattedrale. Nessuno in città voleva che il corpo del loro martire riposasse nella chiesa madre. Neanche la Congregazione dei Riti era favorevole poiché le reliquie dovevano essere venerate là dove erano state sepolte. Così si decise di ricostruire una nuova Basilica.

LA NUOVA BASILICA

I lavori per la costruzione della Basilica iniziarono nel 1606 e durarono alcuni anni ma già dal 1609 questa poté essere officiata dai PP.Carmelitani, chiamati a custodirla. Nel 1618 il corpo del santo vescovo e martire venne solennemente riportato nella sua Basilica. Nel 1625 l’Arciduca Leopoldo d’Austria, diretto a Roma, fece visita alla Basilica e si assunse la spese per la costruzione di un nuovo altare maggiore in marmo, completato nel 1632, impegnandosi a rendere alla Basilica una parte del cranio del Santo donata alcuni secoli prima ad un suo antenato. Dietro all’altare maggiore è il coro con la “confessione” di S.Valentino, un altare costruito sopra la tomba del martire. Al centro è una tela ovale che ricorda il martirio del santo, opera della fine del sec. XVII. L’episodio del Duca Leopoldo fornì l’occasione per un radicale rinnovamento dell’architettura del tempio, condotto a termine grazie anche all’opera di molti ternani. La Basilica si presenta secondo uno schema caro ai teorici della Controriforma: grande navata unica con attorno cappelle laterali, due grandi cappelle costituiscono il transetto, presbiterio e dietro l’altare del martire con la “confessione”. La facciata del sec.XVII è animata da paraste, un grande portale sormontato da un finestrone. Le statue in stucco raffigurano in alto i santi patroni della città Valentino e Anastasio (+649) e sono state aggiunte nel sec.XIX. L’interno è animato da grandi paraste con capitelli in stile ionico con ghirlande. Queste sorreggono un architrave sporgente dentellato. Due cappelle per lato erano proprietà di alcune famiglie importanti della città. Le più interessanti sono le cappelle del transetto. Quella di destra è dedicata a S.Michele arcangelo ed era la cappella privata della famiglia Sciamanna. Ai lati infatti sono i monumenti funebri di alcuni membri tra i quali un certo Brunoro, vescovo di Caserta morto nel 1647. Al centro è la bella pala con S.Michele che sconfigge il demonio dell’artista romano Giuseppe Cesari detto il “Cavalier d’Arpino”. Esponente di una pittura colta e raffinata, docile alle richieste della Chiesa, che tornava a privilegiare chiarezza dell’espressione e il decoro nella rappresentazione delle figure sacre. Questa immagine è una chiara ripresa del classicismo di Raffaello: equilibrio della posa e fermezza dell’atteggiamento. L’altra cappella è dedicata alla santa carmelitana Teresa d’Avila. La bella pala centrale raffigura la Madonna con il Bambino tra i SS.Giuseppe e Teresa dell’artista Lucas De La Haye, monaco carmelitano della seconda metà del sec. XVII. L’artista fu l’incarico principale della decorazione della basilica. Infatti oltre a questa lascia altri capolavori tra i quali la bella pala centrale con S.Valentino chiede la protezione della Vergine su Terni e ancora una Adorazione dei pastori e una Adorazione dei Magi. Sempre per la basilica realizza le tele con i Quattro evangelisti e una serie con i Martiri ternani (Catulo, Saturnino, Lucio e magno discepoli di Valentino) conservati nella navata. Il suo stile è pienamente barocco: figure ricoperte di sontuosi panneggi che si agitano al vento, intrisi di un colore caldo che fa pensare anche ad un’influenza sull’artista della pittura veneta forse filtrata dal Rubens romano. Al centro del coro è una grande tela raffigurante la Crocifissione dove traspaiono figure intrise di grande drammaticità. Un ultimo capolavoro si può ammirare in una delle cappelle della navata. Si tratta di una tela raffigurante la Madonna con il Bambino ed i SS. Lorenzo, Giovanni Battista e Bartolomeo del 1635, opera di Andrea Polinori, cittadino di Todi. L’ispirazione dell’artista è il Caravaggio ma è abile a regolarizzarlo e depurarlo di ogni aggressività.
L’ambiente della cripta presenta l’antico altare ad arcosolio (inserito in una nicchia voltata a botte sopra la tomba del martire) nel quale furono rinvenute le reliquie di S.Valentino. Alcuni reperti dell’area valentiniana sono stati riuniti nell’ambiente accanto alla cripta.

LA LEGGENDA

La festa del vescovo e martire Valentino si riallaccia agli antichi festeggiamenti di Greci, Italici e Romani che si tenevano il 15 febbraio in onore del dio Pane, Fauno e Luperco. Questi festeggiamenti erano legati alla purificazione dei campi e ai riti di fecondità. Divenuti troppo orridi e licenziosi, furono proibiti da Augusto e poi soppressi da Gelasio nel 494. La Chiesa cristianizzò quel rito pagano della fecondità anticipandolo al giorno 14 di febbraio attribuendo al martire ternano la capacità di proteggere i fidanzati e gli innamorati indirizzati al matrimonio e ad un’unione allietata dai figli. Da questa vicenda sorsero alcune leggende. Le più interessanti sono quelle che dicono il santo martire amante delle rose, fiori profumati che regalava alle coppie di fidanzati per augurare loro un’unione felice. Oggi la festa di S.Valentino è celebrata ovunque come Santo dell’Amore. L’invito e la forza dell’amore che è racchiuso nel messaggio di S.Valentino deve essere considerato anche da altre angolazioni, oltre che dall’ormai esclusivo significato del rapporto tra uomo e donna. L’Amore è Dio stesso e caratterizza l’uomo, immagine di Dio. Nell’Amore risiede la solidarietà e la pace, l’unità della famiglia e dell’intera umanità.

GLI EVENTI

A Terni è sorta la “Fondazione S.Valentino”, che cura il culto del Santo durante l’intero mese di febbraio:vi sono programmate grandi iniziative di fede e di cultura, di arte e di scienza, di spettacolo e di divertimento.Da quest'anno è nata inoltre l'Associazione "San Valentino Festival" promossa da Comune, Provincia, Camera di Commercio, Diocesi, Sviluppumbria e Consorzio Cometa per organizzare eventi valentiniani anche nel resto dell'anno.


Fonte:

www.diocesi.terni.it

giovedì 14 gennaio 2010

Terremoto ad Haiti


In questi giorni un terremoto ha raso al suolo Haaiti, uno degli stati più poveri del mondo. Riportiamo una pagina di approfondimento della ONLUS Agire, per chi ne ha la possibilità e la volontà può trovare informazioni per le donazioni su:


Alle 16.53 di martedì, (le 22.53 ora italiana) la capitale di Haiti – Port Au Prince – è stata colpita da un terremoto di magnitudo 7.3 della scala Richter. Dopo la prima scossa, durata oltre un minuto, sono state registrate oltre 32 scosse di assestamento più brevi e di minore intensità.
L’epicentro è stato individuato a 16km dalla capitale e il terremoto ha colpito una zona dove vivono oltre 2.5 milioni di persone, per la maggioranza in condizioni di povertà assoluta.

Haiti è il paese più povero dell’emisfero occidentale ed è già stata recentemente colpita da altri disastri naturali - nel 2008 una serie di uragani causarono la morte di oltre 800 persone – oltre che da gravi condizioni di instabilità politica che hanno indotto nel 2004 le Nazioni Unite ad inviare una missione di peacekeeping.

Nonostante sia ancora impossibilequantificare le esatte proporzioni della catastrofe le informazioni provenienti dal campo non fanno che confermare la gravità del disastro. Le stime più ottimistiche parlano di oltre 100.000 morti, e in molti temono che si superi il record di 240.000 vittime fatto registrare in occasione dello Tsunami del 2004.

Mentre le ore passano e svaniscono le speranze di trovare persone in vita sotto le macerie, si fanno sempre più pressanti le preoccupazioni legate ai rischi per la salute pubblica. Centinaia sono infatti i cadaveri che non hanno ancora trovato sepoltura, e che rischiano di diventare veicolo di epidemie nei prossimi giorni, questo in un contesto in cui praticamente non esistono più strutture sanitarie funzionanti.

I primi team di emergenza sono sul campo per portare gli aiuti e procedere ad una valutazione dei bisogni. Al momento la popolazione necessit di ripari, di kit sanitari e per purificare l’acqua, di ambulatori per la medicina d’urgenza, e di alimenti.
La mobilitazione internazionale per assistere i tre milioni di Haitiani colpiti dalla catastrofe è stata massiccia, ma per affrontare le conseguenze del disastro saranno necessari investimenti straordinari.

Per questa ragione, AGIRE in collaborazione con il Ministero Affari Esteri, ha immediatamente lanciato l'appello di emergenza per una mobilitazione comparabile alla crisi che stiamo affrontando.

Grazie alla straordinaria generosità degli italiani sino è stato possibile raccogliere oltre un milione di euro che hanno consentito alle organizzazioni di AGIRE di avviare i primi interventi sul campo, tra questi:

ActionAid, presente in loco sin dal 1996, ha avviato immediatamente attività di primo soccorso per la popolazione colpita. Un team di personale altamente specializzato si sta preparando alla partenza per portare nell’isola beni di prima necessità quali rifugi di primo soccorso, coperte, kit per l’igiene personale e contenitori per l’acqua potabile. L’obiettivo di questa prima fase di intervento è di raggiungere il fabbisogno di circa 20.000 persone

La sede di Save the Children a Port-au-Prince ha mobilitato le sue squadre di emergenza che, muovendosi soprattutto in motocicletta, hanno potuto raggiungere le zone della città più colpite dal sisma. Save the Children sta distribuendo alle famiglie kit di primo soccorso che includono coperte, zanzariere, taniche per l’acqua oltre che spazzolini, dentifricio, asciugamani e sapone necessari per l’igiene personale. Una volta che saranno montate le tende, Save the Children realizzerà aree sicure a misura di bambino, dove i minori potranno giocare, affrontare il trauma subito a causa del terremoto e sentirsi nuovamente al sicuro.

Il CESVI ha mobilitato la sua squadra di emergenza che si stà si sta muovendo dall’area sud occidentale del paese verso la capitale per completare una valutazione dei bisogni umanitari e coordinare i primi interventi di risposta. Questa la testimonianza di Elisa Rusciani - responsabile regionale CESVI ad Haiti: “Le strade non sono agibili e non so se c'e'posto da qualche parte. Non so niente di casa mia e dove andrò al mio rientro. Non riesco a entrare in contatto con i colleghi dello staff locale. Ma ho saputo che anche a Les Cayes e nell'area del nostro progetto ci sono stati danni enormi e c'è bisogno di aiuto subito. Sono stanca e sto cercando di andare a riposare ma continuano ad arrivare notizie di amici e parenti di amici che non ce l'hanno fatta. Sono senza parole. Avremo tanto lavoro. Ci vorranno anni.”

Terre des Hommes, grazie al suo staff composto da ben 50 persone, ha già iniziato a Port-au-Prince la distribuzione dei primi aiuti: kit alimentari, contenitori per l’acqua potabile e prodotti per l’igiene personale. In attesa per le prossime ore l’arrivo di una squadra specializzata per coordinare i successivi interventi a protezione dell’infanzia.
VIS sta intervenendo ad Haiti attraverso gli operatori dei diversi centri Don Bosco presenti nell’isola. I primi soccorsi sono indirizzati a portare in salvo i circa 200 orfani sepolti sotto le macerie di una casa di accoglienza gestita dai salesiani nella capitale Port-au-Prince. L’intera famiglia salesiana si sta mobilitando per far arrivare nell’isola squadre di soccorso e aiuti di emergenza.

Oltre alle organizzazioni sopra menzionate, che grazie alla loro presenza da anni nell’isola sono state in grado di portare immediati soccorsi, anche altre ONG membre di AGIRE hanno deciso di intervenire, coordinandosi all’interno del network per fornire assistenza umanitaria nel modo più efficace ed efficiente possibile. Tra queste ultime, INTERSOS, che ha deciso di partecipare attraverso la fornitura di beni di prima necessità intervenendo in collaborazione con partner locali, e GVC che arriverà nell’isola nei prossimi giorni con squadre di soccorso e beni di prima necessità.
Le altre organizzazioni appartenenti al network di AGIRE al momento in via di mobilitazione sono: il CISP e COOPI, che già nei prossimi giorni invieranno sul terreno i propri operatori per assicurare una risposta più estesa possibile.

Da http://www.agire.it/it/emergenzahaiti/approfon_haiti.html
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