Tempo Ordinario

lunedì 29 dicembre 2008

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

28 dicembre (celebrazione mobile)

Nazareth, Palestina, I secolo



Martirologio Romano: Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, esempio santissimo per le famiglie cristiane che ne invocano il necessario aiuto.



La festa della Sacra Famiglia nella liturgia cattolica, nel secolo XVII veniva celebrata localmente; papa Leone XIII nel 1895, la fissò alla terza domenica dopo l’Epifania “omnibus potentibus”, ma fu papa Benedetto XV che nel 1921 la estese a tutta la Chiesa, fissandola alla domenica compresa nell’ottava dell’Epifania; papa Giovanni XXIII la spostò alla prima domenica dopo l’Epifania; attualmente è celebrata nella domenica dopo il Natale o in alternativa il 29 dicembre.
La celebrazione fu istituita per dare un esempio e un impulso all’istituzione della famiglia, cardine del vivere sociale e cristiano, prendendo a riferimento i tre personaggi che la componevano, figure eccezionali sì ma con tutte le caratteristiche di ogni essere umano e con le problematiche di ogni famiglia.
Innanzitutto le tre persone che la componevano: Maria la prescelta fra tutte le creature a diventare la corredentrice dell’umanità, che presuppose comunque il suo assenso con l’Annunciazione dell’arcangelo Gabriele.
Seguì il suo sposalizio con il giusto Giuseppe, secondo i disegni di Dio e secondo la legge ebraica; e conservando la sua verginità, avvertì i segni della gravidanza con la Visitazione a s. Elisabetta, fino a divenire con la maternità, la madre del Figlio di Dio e madre di tutti gli uomini.
E a lei toccò allevare il Divino Bambino con tutte le premure di una madre normale, ma con nel cuore la grande responsabilità per il compito affidatale da Dio e la pena per quanto le aveva profetizzato il vecchio Simeone durante la presentazione al Tempio: una spada ti trafiggerà il cuore.
Infine prima della vita pubblica di Gesù, la troviamo citata nei Vamgeli, che richiama Gesù ormai dodicenne, che si era fermato nel Tempio con i dottori, mentre lei e Giuseppe lo cercavano angosciati da tre giorni.
Giuseppe è l’altro componente della famiglia di Gesù, di lui non si sa molto; i Vangeli raccontano il fidanzamento con Maria, l’avviso dell’angelo per la futura maternità voluta da Dio, con l’invito a non ripudiarla, il matrimonio con lei, il suo trasferirsi con Maria a Betlemme per il censimento, gli episodi connessi alla nascita di Gesù, in cui Giuseppe fu sempre presente.
Fu sempre lui ad essere avvisato in sogno da un angelo, dopo l’adorazione dei Magi, di mettere in salvo il Bambino dalla persecuzione scatenata da Erode il Grande e Giuseppe proteggendo la sua famiglia, li condusse in Egitto al sicuro.
Dopo la morte dello scellerato re, ritornò in Galilea stabilendosi a Nazareth; ancora adempì alla legge ebraica portando Gesù al Tempio per la circoncisione, offrendo per la presentazione alcune tortore e colombe.
La tradizione lo dice falegname, ma il Vangelo lo designa come artigiano; viene ancora menzionato nei testi sacri, che conduce Gesù e Maria a Gerusalemme, e qui con grande apprensione smarrisce Gesù, che aveva dodici anni, ritrovandolo dopo tre giorni che discuteva con i dottori nel Tempio; ritornati a Nazareth, come dice il Vangelo, il Bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era sopra di lui.
Di lui non si sa altro, nemmeno della sua morte, avvenuta probabilmente prima della vita pubblica di Gesù, cioè prima dei 30 anni.
La terza persona della famiglia è Gesù; con la sua presenza essa diventa la Sacra Famiglia; anche della sua infanzia non si sa praticamente niente; Egli, il Figlio di Dio, vive nel nascondimento della sua famiglia terrena, ubbidiente a sua madre ed a suo padre, collaborando da grandicello nella bottega di Giuseppe, meraviglioso esempio di umiltà.
Certamente assisté il padre putativo nella sua vecchiaia e morte, come tutti i buoni figli fanno, ubbidientissimo alla madre, ormai vedova, fino ad operare per sua richiesta, il suo primo miracolo pubblico alle nozze di Cana.
Non sappiamo quanti anni trascorsero con la Sacra Famiglia ridotta senza Giuseppe, il quale, se non fu presente negli anni della vita pubblica di Cristo, né alla sua Passione e morte e negli eventi successivi, la sua figura nella Cristianità, si diffuse in un culto sempre più crescente, in Oriente fin dal V secolo, mentre in Occidente lo fu dal Medioevo, sviluppandosi specie nell’Ottocento; è invocato per avere una buona morte, il nome Giuseppe è tra i più usati nella Cristianità.
Pio IX nel 1870 lo proclamò patrono di tutta la Chiesa; nel 1955 Pio XII istituì al 1° maggio la festa di s. Giuseppe artigiano; dal 1962 il suo nome è inserito nel canone della Messa.
La Sacra Famiglia è stato sempre un soggetto molto ispirato nella fantasia degli artisti, i maggiori pittori di tutti i secoli hanno voluto raffigurarla nelle sue varie espressioni della Natività, Adorazione dei Magi, Fuga in Egitto, nella bottega da artigiano (falegname), ecc.
Il tema iconografico ha largamente ispirato gli artisti del Rinascimento, esso è composto in genere da Maria, Giuseppe e il Bambino oppure da Sant’Anna, la Vergine e il Bambino. Le più note rappresentazioni sono quella di Masaccio con s. Anna e quella di Michelangelo con s. Giuseppe, più conosciuta come Tondo Doni. È da ricordare in campo scultoreo e architettonico la “Sagrada Familia” di Antonio Gaudì a Barcellona.
Numerose Congregazioni religiose sia maschili che femminili, sono intitolate alla Sacra Famiglia, in buona parte fondate nei secoli XIX e XX; come le “Suore della Sacra Famiglia”, fondate a Bordeaux nel 1820 dall’abate P.B.Noailles, dette anche ‘Suore di Loreto’; le “Suore della Sacra Famiglia di Nazareth” fondate nel 1875 a Roma, dalla polacca Siedliska; le “Piccole Suore della Sacra Famiglia” fondate nel 1892, dal beato Nascimbeni a Castelletto di Brenzone (Verona); i “Preti e fratelli della Sacra Famiglia” fondati nel 1856 a Martinengo, dalla beata Paola Elisabetta Cerioli; i “Figli della Sacra Famiglia” fondati nel 1864 in Spagna da José Mananet e tante altre.

martedì 2 dicembre 2008

L'Avvento, preparazione al Santo Natale

di † Vincenzo Rimedio

È opportuna una riflessione per poterci disporre convenientemente alla Solennità Natalizia.
C'è una teologia ma anche una poesia di suddetta Festa: l'Incarnazione del Figlio di Dio, cui si aggiunge la soavità di sentimenti che ispira la Natività.

Le famiglie si ritrovano e possono avvertire davanti a Gesù Bambino le gioie degli affetti familiari. La famiglia, che oggi sperimenta tante sfide, resta lo spazio più idoneo per la realizzazione personale, spazio di affettività e di serenità.

L'Avvento è tempo di speranza, di attesa del Messia predetto dai Profeti; è tempo inoltre di rinnovamento spirituale e sociale. Parlare oggi di speranza può risultare un anacronismo, ma - come credenti - non possiamo rinunciarvi.

Il Natale ci ricorda che - come afferma il profeta Isaia - "un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità". Il bambino a suo tempo porterà a termine una missione di salvezza degli uomini, sarà l'alfa e l'omega della storia degli stessi e terrà in mano le sorti del mondo che passa, infine sarà il Risorto.

L'Avvento è tempo di rinnovamento spirituale: la vita va avanti di tappa in tappa:
questa dell'Avvento è un'occasione per un discernimento su come personalmente si vive, se c'è coerenza tra i pensieri propri, i propositi e la vita concreta che si conduce.

Certamente non sono assenti in ognuno principi religiosi, morali ravvivati dalla coscienza, che è - come afferma il Card. Newman - "la messaggera di Colui che nel mondo della natura, come in quello della grazia ci parla velatamente, ci istruisce, ci guida".

Il rischio attuale, della postmodernità, è di vivere il momento per il momento, senza riferimento al fine ultimo che non è la terra ma il Cielo. Sulla terra siamo soltanto pellegrini, in cammino verso la Patria.

Per il mondo futuro poca luce ci può offrire la ragione rispetto alla fede che ne offre in buona misura. È necessario cercare per trovare e andare oltre le apparenze.

L'Avvento è tempo di rinnovamento sociale: i problemi odierni sono tanti ma non deve mancare la speranza: occorre più senso di responsabilità, di legalità, più etica.
Senza questa si va alla decadenza.

È necessario ancora osare di, più da parte dei cristiani, degli uomini di buona volontà, delle Istituzioni, dei Responsabili della cosa pubblica per l'occupazione dei giovani, per la sicurezza e per l'elevazione sociale generale.

Non si possono arrestare lo sviluppo e la qualità della vita.

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domenica 23 novembre 2008

Solennità di Cristo Re dell'Universo

"1. Si celebra oggi la solennità di Cristo Re dell’universo.
Questa festa è stata opportunamente collocata nell’ultima domenica dell’anno liturgico, per evidenziare che Gesù Cristo è il Signore del tempo e che in Lui trova compimento l’intero disegno della creazione e della redenzione.
La figura del Re-Messia prende forma, nella coscienza del popolo d’Israele, attraverso l’Antica Alleanza. E’ Dio stesso che, specialmente mediante i Profeti, rivela agli Israeliti la sua volontà di radunarli come fa un pastore col gregge, perché vivano liberi e in pace nella terra promessa. A tal fine, Egli invierà il suo Consacrato - il “Cristo” in lingua greca - a riscattare il popolo dal peccato e ad introdurlo nel Regno.
Gesù Nazareno porta a compimento nel mistero pasquale questa missione. Egli non viene a regnare come i re di questo mondo, ma a stabilire, per così dire, nel cuore dell’uomo, della storia e del cosmo la potenza divina dell’Amore.

2. Il Concilio Vaticano II ha proclamato in modo forte e chiaro al mondo contemporaneo la signoria di Cristo, e il suo messaggio è stato ripreso nel Grande Giubileo dell’Anno 2000. Anche l’umanità del terzo millennio ha bisogno di scoprire che Cristo è il suo Salvatore. E’ questo l’annuncio che i cristiani devono portare con rinnovato coraggio al mondo di oggi.
Il Concilio Vaticano II ha ricordato, a questo riguardo, la speciale responsabilità dei fedeli laici (cfr Decr. Apostolicam actuositatem). In virtù del Battesimo e della Cresima, essi partecipano alla missione profetica di Cristo. Di conseguenza sono chiamati a “cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” e anche a svolgere “i compiti propri nella Chiesa e nel mondo [...] con la loro azione per l’evangelizzazione e la santificazione degli uomini” (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 46).

3. Tra tutte le creature angeliche e terrestri, Dio ha scelto la Vergine Maria per associarla in modo singolarissimo alla regalità del suo Figlio fatto uomo. E’ ciò che contempliamo nell’ultimo mistero glorioso del santo Rosario. Ci insegni Maria a testimoniare con coraggio il Regno di Dio e ad accogliere Cristo come Re della nostra esistenza e dell’intero universo."


Giovanni Paolo II°
Angelus
Domenica, 24 novembre 2002

giovedì 23 ottobre 2008

Santuario della Madonna del Divino Amore

Il Santuario della Madonna del Divino Amore è un santuario di Roma composto da due chiese: quella antica è del 1745, quella nuova è invece del 1999. È tuttora una meta di pellegrinaggio cara ai romani. Durante l'estate ogni sabato si tiene un pellegrinaggio notturno a piedi da Roma al Santuario.

Il primo miracolo
Nella primavera del 1740 un pellegrino diretto alla Basilica di San Pietro, si smarrisce nell'inospitale e insalubre campagna nei pressi di Castel di Leva, circa 12 km a sud di Roma. Scorti alcuni casali e un castello diroccato in cima ad una collina, il viandante vi si dirige sperando di trovare qualcuno che gli dia informazioni per trovare la giusta strada.

Viene però assalito da un branco di cani rabbiosi che lo circondano. Il pellegrino, alzando lo sguardo, si accorge che sulla torre del castello, c’è un’icona che raffigura la Vergine con il Bambino, sovrastata dalla colomba dello Spirito Santo. Invoca perciò la Madonna che lo salvi da quel pericolo. Le bestie che gli sono addosso, di colpo si fermano e si dileguano.

I pastori che sono nella zona, richiamati dalle urla del viandante, accorrono sul posto e, ascoltato il suo racconto, lo rimettono sulla strada per Roma. Il nome del pellegrino è ignoto ma la notizia dell'accaduto si diffuse ben presto in città tanto che l'icona della Madonna a Castel di Leva divenne ben presto meta di pellegrinaggio.


Il Santuario

Il 5 settembre 1740 l'icona viene tolta della torre e portata nella vicina tenuta detta La Falconara, dove si trova la chiesetta di Santa Maria ad Magos. Il 19 aprile 1745, lunedì di Pasqua, l'icona viene trasferita in un luogo vicino alla torre, che oggi è ancora in piedi, dove intanto è stata costruita una nuova chiesa, opera di Filippo Raguzzini. L'affresco viene intronizzato nell’altare maggiore, dove attualmente si trova. La partecipazione della gente venuta da Roma e dai vicini Castelli è tale che papa Benedetto XIV decide di concedere l’indulgenza plenaria non solo per il giorno del trasferimento ma anche per i sette giorni successivi.

La custodia del nuovo Santuario è inizialmente problematica data la sua posizione in un posto isolato, facile preda di banditi e briganti: decine di ordini religiosi furono interpellati, ma nessuno se la sentì di affrontare un tale incarico. Il nuovo Santuario viene affidato prima ad un custode eremita, poi, nel 1805, a sacerdoti che vi dimorano solo nel periodo della Pentecoste, quando i pellegrinaggi sono più numerosi. Nel 1840, anno del centenario dal primo miracolo, la chiesa e l'altare vengono restaurati, gli stucchi nuovamente indorati, sono installati altri due altari e numerosi confessionali. Da Roma vengono portati drappi, damaschi e altri arredi sacri. Anche la via Ardeatina, che porta al Santuario, ridotta in un pessimo stato, viene risistemata. I festeggiamenti, cui partecipa anche re Michele di Portogallo iniziano il 7 giugno 1840, domenica di Pentecoste, per terminare 7 giorni dopo. Dopo i festeggiamenti per il centenario si apre una stagione di declino: intorno al Santuario, soprattutto nei giorni vicini alla Pentecoste, vengono allestite bancarelle di porchetta, di pecorino, di fave e di vino accompagnate dal fenomeno delle "madonnare" ossia popolane romane, per lo più erbivendole e lavandaie, che festeggiavano la loro particolare festa annuale proprio nel lunedì di Pentecoste. Questa commistione tra sacro e profano (il pellegrinaggio al Divino Amore era diventato ormai sinonimo di "gita fuori porta") portò ad una progressiva decadenza del Santuario nei primi decenni del 1900 che cadde quasi nell'oblio. Nel 1930, quando il Santuario passa alla dipendenza del Vicariato, viene inviato sul posto, con l'obbligo di residenza, un rettore che dal 1932 diventa anche parroco della Parrocchia del Divino Amore. Il primo rettore del Santuario è stato il giovane sacerdote Umberto Terenzi (di cui è ora in corso il processo di canonizzazione), che era sopravvissuto ad un incidente stradale proprio nei pressi del Santuario.


4 giugno 1944: un voto per la salvezza di Roma
Gli eventi della seconda guerra mondiale coinvolgono anche la Madonna del Divino Amore. Dopo che, all'indomani dell'8 settembre 1943, la zona del Santuario era stata bombardata, l'icona della Madonna fu portata a Roma il 24 gennaio 1944. Accolta trionfalmente in città dal popolo, l'immagine viene dapprima portata nella chiesetta della Madonna del Divino Amore, che si trova nei pressi di piazza Fontanella Borghese, ma in maggio, dato l'enorme afflusso di fedeli, viene trasferita in San Lorenzo in Lucina.

Papa Pio XII, vista l'imminenza della battaglia per la conquista di Roma tra i nazisti e gli Alleati, invita solennemente i romani a pregare per la salvezza della città durante l'ottavario della Pentecoste e la novena della Madonna del Divino Amore, iniziate quell'anno il 28 maggio 1944. L’affluenza a San Lorenzo in Lucina in quei giorni aumenta così tanto (il giornale La Civiltà Cattolica riferisce di 15.000 comunioni distribuite quotidianamente) che si è costretti a trasferire l'immagine della Madonna nella più ampia Sant'Ignazio di Loyola a Campo Marzio. Il 4 giugno, lo stesso giorno in cui termina l’ottavario, si decide la sorte di Roma.

Alle 18 nella chiesa gremitissima di Sant'Ignazio viene letto il testo del voto dei romani alla Madonna del Divino Amore affinché la città venga risparmiata dalla distruzione della guerra. I fedeli promettono di correggere la propria condotta morale, di erigere un nuovo Santuario e di realizzare un'opera di carità a Castel di Leva. Il voto viene espresso in gran fretta, per via del coprifuoco che sarebbe scattato alle 19. A leggere il voto, in luogo del Papa (impossibilitato a lasciare il Vaticano per il pericolo della deportazione), è il camerlengo dei parroci, padre Gremigni. Quella stessa sera i tedeschi lasciano la città e le truppe alleate fanno il loro ingresso trionfale in città. L'11 giugno, come per oltre quattro mesi avevano fatto migliaia di romani, papa Pio XII può recarsi nella chiesa di Sant’Ignazio e celebrare una messa di ringraziamento alla Madonna del Divino Amore cui viene dato il titolo di Salvatrice dell'Urbe. Durante l'omelia il Pontefice disse:

«Noi oggi siamo qui non solo per chiederLe i suoi celesti favori, ma innanzitutto per ringraziarLa di ciò che è accaduto, contro le umane previsioni, nel supremo interesse della Città eterna e dei suoi abitanti. La nostra Madre Immacolata ancora una volta ha salvato Roma da gravissimi imminenti pericoli; Ella ha ispirato, a chi ne aveva in mano la sorte, particolari sensi di riverenza e di moderazione; onde, nel mutare degli eventi, e pur in mezzo all’immane conflitto, siamo stati testimoni di una incolumità, che ci deve riempire l’animo di tenera gratitudine verso Dio e la sua purissima Madre.»


L'adempimento del voto
Finita la guerra, sotto l'impulso del rettore Don Umberto Terenzi, il Santuario a Castel di Leva rinasce: nasce il seminario degli Oblati del Divino Amore (che da allora custodiscono e animano il Santuario), la Congregazione delle Figlie della Madonna del Divino Amore (ancora oggi impegnate nel servizio alle opere di carità nate intorno al Santuario come la scuola per l’infanzia, accoglienza e assistenza delle minori in difficoltà).

Don Terenzi tentò di provvedere alla costruzione di un nuovo Santuario per assolvere al voto fatto alla fine della guerra, ma le difficoltà burocratiche e le difficoltà logistiche gli impedirono sempre di realizzare quest’opera.

Si dovrà aspettare l’8 gennaio 1996 perché il cardinale vicario Camillo Ruini ponga la prima pietra di quello che, per il Giubileo del 2000, è diventato il nuovo Santuario. La struttura, in grado di accogliere oltre 1500 pellegrini, è stata realizzata ai piedi della collina, fuori dalle antiche mura, senza violare il paesaggio della campagna romana e il complesso monumentale settecentesco. Il nuovo santuario è stato progettato da Padre Costantino Ruggeri (1925-2007), pittore, scultore, vetratista, "batisseur d'églises" e infine - o innanzitutto - frate francescano e sacerdote.

Pellegrinaggio Notturno
Il Santuario del Divino Amore è una meta di pellegrinaggio molto cara ai romani: ogni sabato, dal primo dopo Pasqua all'ultimo di ottobre, si tiene un pellegrinaggio notturno a piedi con partenza a mezzanotte da Piazza di Porta Capena, nei pressi del Circo Massimo. All'alba, dopo aver percorso 14 km si giunge al Santuario dove si celebra la messa del pellegrino.


Sacra Rappresentazione della Via Crucis
Ogni anno, la Domenica delle Palme e il Venerdì Santo, il Santuario della Madonna del Divino Amore mette in scena una spettacolare rappresentazione teatrale all'aperto: la Sacra Rappresentazione della Via Crucis. Più di duecento persone, senza compenso, recitano in questa suggestiva rappresentazione, che si tiene di notte sulle colline che circondano il santuario. Lo spettacolo narrato mostra gli ultimi eventi della vita di Gesù: la trionfale entrata in Gerusalemme, l'ultima cena, il tradimento di Giuda e la cattura di Gesù, il processo di Gesù davanti ai sommi sacerdoti, l'interrogatorio di Gesù da parte di Ponzio Pilato, la flagellazione e la coronazione di spine, la salita di Gesù sul monte Calvario sotto il peso della croce, gli incontri con la Madonna, le pie donne e la Veronica, ed infine la crocefissione, la morte, la resurrezione e l'ascensione di Gesù. La scena è resa ancora più suggestiva dalla presenza dei soldati romani a cavallo, dai fuochi che illuminano la notte, dalla luna piena, dai numerosi effetti speciali e dai sofisticati costumi indossati dagli attori. Migliaia di persone, da tutto il mondo, accorrono ogni anno per assistere a questa rappresentazione ispirata alla Sacra Sindone.

venerdì 3 ottobre 2008

L'Imitazione di Cristo

La Imitazione di Cristo (titolo originale in latino: De Imitatione Christi) è, dopo la Bibbia, il testo più diffuso di tutta la letteratura cristiana occidentale. Il testo è in lingua latina ed è comunemente attribuito al monaco agostiniano Tommaso da Kempis (sebbene permangano dei dubbi sulla paternità dell'opera).

Scritto durante il periodo medievale, oggetto dell'opera è la via da percorrere per raggiungere la perfezione ascetica, seguendo le orme di Gesù.

Si contano attualmente oltre settecento manoscritti e più di tremila edizioni in oltre cento lingue. È un testo tuttora considerato di riferimento per tutte le Chiese cristiane (cattolica, protestante e ortodossa).
L'opera si divide in quattro libri.

Il Libro I (Libro della imitazione di Cristo e del dispregio del mondo e di tutte le sue vanità) sollecita ad abbandonare la vacuità delle cose materiali ed a porre al centro dell'attenzione la carità, la conformità a Cristo, la meditazione, l'obbedienza e la contrizione.
Il Libro II (Dell'interna conversazione) insiste sulla necessità e l'inevitabilità della sofferenza per poter entrare nel regno di Dio ed elabora una serie di precetti per vivere una vita interiore molto intensa.
Il Libro III (Dell'interna consolazione) segna un mutamento nello stile: il testo diventa infatti una sorta di dialogo mistico con Cristo.
Il Libro IV (Libro del sacramento del corpo di Cristo) esorta, sempre sottoforma di dialogo, alla unione con Cristo attraverso l'eucarestia.
Come accennato, permangono dubbi sul reale autore del testo. Lo storico britannico Brian McNeil suppone che il vero autore sia Jean Gerson, abate benedettino vissuto nella prima metà del XIII secolo.[1]

Una terza teoria ritiene invece che l'opera sia frutto del lavoro di più persone che hanno provveduto a completare il testo in tempi diversi. L'ipotesi si basa sulla differente impostazione stilistica dei primi due libri rispetto agli ultimi due.[2] In effetti, i primi due libri sembrano abbozzare una sorta di "regola monastica", "intesa al governo della vita interiore"[3] e quasi contrapposta alle scuole filosofiche realista e dei nominalista.

Il terzo libro è scritto con uno stile più drammatico, probabilmente aggiunto in un momento successivo. Il quarto libro, incentrato completamente sull'importanza dell'eucarestia, fa altresì pensare ad una stesura più tarda - probabilmente risalente al XIV secolo, quando le dispute su quel sacramento erano particolarmente accese.

sabato 20 settembre 2008

San Michele Arcangelo


San Michele Arcangelo

29 settembre


Nel Nuovo Testamento il termine "arcangelo" è attribuito a Michele. Solo in seguito venne esteso a Gabriele e Raffaele, gli unici tre arcangeli riconosciuti dalla Chiesa, il cui nome è documentato nella Bibbia. San Michele, "chi come Dio?", è capo supremo dell'esercito celeste, degli angeli fedeli a Dio. Antico patrono della Sinagoga oggi è patrono della Chiesa Universale, che lo ha considerato sempre di aiuto nella lotta contro le forze del male.

Patronato: Polizia, Radiologi, Droghieri


Etimologia: Michele = chi come Dio?, dall'ebraico


Martirologio Romano: Festa dei santi Michele, Gabriele e Raffaele, arcangeli. Nel giorno della dedicazione della basilica intitolata a San Michele anticamente edificata a Roma al sesto miglio della via Salaria, si celebrano insieme i tre arcangeli, di cui la Sacra Scrittura rivela le particolari missioni: giorno e notte essi servono Dio e, contemplando il suo volto, lo glorificano incessantemente.



Il nome dell’arcangelo Michele, che significa “chi è come Dio ?”, è citato cinque volte nella Sacra Scrittura; tre volte nel libro di Daniele, una volta nel libro di Giuda e nell'Apocalisse di s. Giovanni Evangelista e in tutte le cinque volte egli è considerato “capo supremo dell’esercito celeste”, cioè degli angeli in guerra contro il male, che nell’Apocalisse è rappresentato da un dragone con i suoi angeli; esso sconfitto nella lotta, fu scacciato dai cieli e precipitato sulla terra.
In altre scritture, il dragone è un angelo che aveva voluto farsi grande quanto Dio e che Dio fece scacciare, facendolo precipitare dall’alto verso il basso, insieme ai suoi angeli che lo seguivano.
Michele è stato sempre rappresentato e venerato come l’angelo-guerriero di Dio, rivestito di armatura dorata in perenne lotta contro il Demonio, che continua nel mondo a spargere il male e la ribellione contro Dio.
Egli è considerato allo stesso modo nella Chiesa di Cristo, che gli ha sempre riservato fin dai tempi antichissimi, un culto e devozione particolare, considerandolo sempre presente nella lotta che si combatte e si combatterà fino alla fine del mondo, contro le forze del male che operano nel genere umano.
Dante nella sua ‘Divina Commedia’ pone il demonio (l’angelo Lucifero) in fondo all’inferno, conficcato a testa in giù al centro della terra, che si era ritirata al suo cadere, provocando il grande cratere dell’inferno dantesco. Dopo l’affermazione del cristianesimo, il culto per san Michele, che già nel mondo pagano equivaleva ad una divinità, ebbe in Oriente una diffusione enorme, ne sono testimonianza le innumerevoli chiese, santuari, monasteri a lui dedicati; nel secolo IX solo a Costantinopoli, capitale del mondo bizantino, si contavano ben 15 fra santuari e monasteri; più altri 15 nei sobborghi.
Tutto l’Oriente era costellato da famosi santuari, a cui si recavano migliaia di pellegrini da ogni regione del vasto impero bizantino e come vi erano tanti luoghi di culto, così anche la sua celebrazione avveniva in tanti giorni diversi del calendario.
Perfino il grande fiume Nilo fu posto sotto la sua protezione, si pensi che la chiesa funeraria del Cremlino a Mosca in Russia, è dedicata a S. Michele. Per dirla in breve non c’è Stato orientale e nord africano, che non possegga oggetti, stele, documenti, edifici sacri, che testimoniano la grande venerazione per il santo condottiero degli angeli, che specie nei primi secoli della Chiesa, gli venne tributata.
In Occidente si hanno testimonianze di un culto, con le numerosissime chiese intitolate a volte a S. Angelo, a volte a S. Michele, come pure località e monti vennero chiamati Monte Sant’Angelo o Monte San Michele, come il celebre santuario e monastero in Normandia in Francia, il cui culto fu portato forse dai Celti sulla costa della Normandia; certo è che esso si diffuse rapidamente nel mondo Longobardo, nello Stato Carolingio e nell’Impero Romano.
In Italia sano tanti i posti dove sorgevano cappelle, oratori, grotte, chiese, colline e monti tutti intitolati all’arcangelo Michele, non si può accennarli tutti, ci fermiamo solo a due: Tancia e il Gargano.
Sul Monte Tancia, nella Sabina, vi era una grotta già usata per un culto pagano, che verso il VII secolo, fu dedicata dai Longobardi a S. Michele; in breve fu costruito un santuario che raggiunse gran fama, parallela a quella del Monte Gargano, che comunque era più antico.
La celebrazione religiosa era all’8 maggio, data praticata poi nella Sabina, nel Reatino, nel Ducato Romano e ovunque fosse estesa l’influenza della badia benedettina di Farfa, a cui i Longobardi di Spoleto, avevano donato quel santuario.
Ma il più celebre santuario italiano dedicato a S. Michele, è quello in Puglia sul Monte Gargano; esso ha una storia che inizia nel 490, quando era papa Gelasio I; la leggenda racconta che casualmente un certo Elvio Emanuele, signore del Monte Gargano (Foggia) aveva smarrito il più bel toro della sua mandria, ritrovandolo dentro una caverna inaccessibile.
Visto l’impossibilità di recuperarlo, decise di ucciderlo con una freccia del suo arco; ma la freccia inspiegabilmente invece di colpire il toro, girò su sé stessa colpendo il tiratore ad un occhio. Meravigliato e ferito, il signorotto si recò dal suo vescovo s. Lorenzo Maiorano, vescovo di Siponto (odierna Manfredonia) e raccontò il fatto prodigioso.
Il presule indisse tre giorni di preghiere e di penitenza; dopodiché s. Michele apparve all’ingresso della grotta e rivelò al vescovo: “Io sono l’arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra, è una mia scelta, io stesso ne sono vigile custode. Là dove si spalanca la roccia, possono essere perdonati i peccati degli uomini…Quel che sarà chiesto nella preghiera, sarà esaudito. Quindi dedica la grotta al culto cristiano”.
Ma il santo vescovo non diede seguito alla richiesta dell’arcangelo, perché sul monte persisteva il culto pagano; due anni dopo, nel 492 Siponto era assediata dalle orde del re barbaro Odoacre (434-493); ormai allo stremo, il vescovo e il popolo si riunirono in preghiera, durante una tregua, e qui riapparve l’arcangelo al vescovo s. Lorenzo, promettendo loro la vittoria, infatti durante la battaglia si alzò una tempesta di sabbia e grandine che si rovesciò sui barbari invasori, che spaventati fuggirono.
Tutta la città con il vescovo, salì sul monte in processione di ringraziamento; ma ancora una volta il vescovo non volle entrare nella grotta. Per questa sua esitazione che non si spiegava, s. Lorenzo Maiorano si recò a Roma dal papa Gelasio I (490-496), il quale gli ordinò di entrare nella grotta insieme ai vescovi della Puglia, dopo un digiuno di penitenza.
Recatosi i tre vescovi alla grotta per la dedicazione, riapparve loro per la terza volta l’arcangelo, annunziando che la cerimonia non era più necessaria, perché la consacrazione era già avvenuta con la sua presenza. La leggenda racconta che quando i vescovi entrarono nella grotta, trovarono un altare coperto da un panno rosso con sopra una croce di cristallo e impressa su un masso l’impronta di un piede infantile, che la tradizione popolare attribuisce a s. Michele.
Il vescovo san Lorenzo fece costruire all’ingresso della grotta, una chiesa dedicata a s. Michele e inaugurata il 29 settembre 493; la Sacra Grotta è invece rimasta sempre come un luogo di culto mai consacrato da vescovi e nei secoli divenne celebre con il titolo di “Celeste Basilica”.
Attorno alla chiesa e alla grotta è cresciuta nel tempo la cittadina di Monte Sant’Angelo nel Gargano. I Longobardi che avevano fondato nel secolo VI il Ducato di Benevento, vinsero i feroci nemici delle coste italiane, i saraceni, proprio nei pressi di Siponto, l’8 maggio 663, avendo attribuito la vittoria alla protezione celeste di s. Michele, essi presero a diffondere come prima accennato, il culto per l’arcangelo in tutta Italia, erigendogli chiese, effigiandolo su stendardi e monete e instaurando la festa dell’8 maggio dappertutto.
Intanto la Sacra Grotta diventò per tutti i secoli successivi, una delle mete più frequentate dai pellegrini cristiani, diventando insieme a Gerusalemme, Roma, Loreto e S. Giacomo di Compostella, i poli sacri dall’Alto Medioevo in poi.
Sul Gargano giunsero in pellegrinaggio papi, sovrani, futuri santi. Sul portale dell’atrio superiore della basilica, che non è possibile descrivere qui, vi è un’iscrizione latina che ammonisce: “che questo è un luogo impressionante. Qui è la casa di Dio e la porta del Cielo”.
Il santuario e la Sacra Grotta sono pieni di opere d’arte, di devozione e di voto, che testimoniano lo scorrere millenario dei pellegrini e su tutto campeggia nell’oscurità la statua in marmo bianco di S. Michele, opera del Sansovino, datata 1507.
L’arcangelo è comparso lungo i secoli altre volte, sia pure non come sul Gargano, che rimane il centro del suo culto, ed il popolo cristiano lo celebra ovunque con sagre, fiere, processioni, pellegrinaggi e non c’è Paese europeo che non abbia un’abbazia, chiesa, cattedrale, ecc. che lo ricordi alla venerazione dei fedeli.
Apparendo ad una devota portoghese Antonia de Astonac, l’arcangelo promise la sua continua assistenza, sia in vita che in purgatorio e inoltre l’accompagnamento alla S. Comunione da parte di un angelo di ciascuno dei nove cori celesti, se avessero recitato prima della Messa la corona angelica che gli rivelò.
I cori sono: Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Potestà, Virtù, Principati, Arcangeli ed Angeli. La sua festa liturgica principale in Occidente è iscritta nel Martirologio Romano al 29 settembre e nella riforma del calendario liturgico del 1970, è accomunato agli altri due arcangeli più conosciuti, Gabriele e Raffaele nello stesso giorno, mentre l’altro arcangelo a volte nominato nei sacri testi, Uriele non gode di un culto proprio.
Per la sua caratteristica di “guerriero celeste” s. Michele è patrono degli spadaccini, dei maestri d’armi; poi dei doratori, dei commercianti, di tutti i mestieri che usano la bilancia, i farmacisti, pasticcieri, droghieri, merciai; fabbricanti di tinozze, inoltre è patrono dei radiologi e della Polizia.
È patrono principale delle città italiane di Cuneo, Caltanissetta, Monte Sant’Angelo, Sant’Angelo dei Lombardi, compatrono di Caserta.
Difensore della Chiesa, la sua statua compare sulla sommità di Castel S. Angelo a Roma, che come è noto era diventata una fortezza in difesa del Pontefice; protettore del popolo cristiano, così come un tempo lo era dei pellegrini medievali, che lo invocavano nei santuari ed oratori a lui dedicati, disseminati lungo le strade che conducevano alle mete dei pellegrinaggi, per avere protezione contro le malattie, lo scoraggiamento e le imboscate dei banditi.
Per quanto riguarda la sua raffigurazione nell’arte in generale, è delle più vaste; ogni scuola pittorica in Oriente e in Occidente, lo ha quasi sempre raffigurato armato in atto di combattere il demonio.
Sul Monte Athos nel convento di Dionisio del 1547, i tre principale arcangeli sono così raffigurati, Raffaele in abito ecclesiastico, Michele da guerriero e Gabriele in pacifica posa e rappresentano i poteri religioso, militare e civile.

lunedì 8 settembre 2008

martedì 1 luglio 2008

Guida per una buona confessione


Prima di confessarsi
Per prepararti al sacramento della riconciliazione, mettiti fidu­ciosamente in presenza di Dio, chiedi a Lui di illuminare la tua mente e il tuo cuore. Confronta la tua vita con le parole e le opere di Gesù. Avverti un senso di dispiacere o sei addolorato perché ti accorgi di aver raffreddato o interrotto la tua amici­zia con Dio e di aver offeso qualche fratello. Desideri sincera­mente migliorare i tuoi atteggiamenti, riprendere il cammino interrotto dell'amicizia con Dio e il prossimo e chiedi l'aiuto di Dio per cercare di non offenderlo più. Non vergognarti di dire i tuoi peccati al confessore: egli non ti giudicherà né si scandalizzerà, per grandi che fossero le tue mancanze; anzi, si rallegrerà che tu ti stia riconciliando con il Padre.

Guida per l'esame di coscienza
1. Conosco le principali verità della fede cattolica? Le ho nega­te o accetto dottrine contrarie a ciò che insegna la Chiesa? Ho mancato di rispetto al nome di Dio, dei Santi, ai sacramenti...?

2. Sono superstizioso? Ho partecipato ad atti di magia?

3. Ho ricevuto la Comunione sapendo di non essere in grazia di Dio?

4. Non ho partecipato, per colpa mia, alla Messa la domenica e le feste di precetto?

5. Mi ricordo di Dio nella mia giornata? Prego almeno un po' la mattina e la sera ? Elevo a Lui il cuore per ringraziarLo o per pregarLo nelle diverse circostanze?

6. Ho taciuto coscientemente nella Confessione qualche peccato ­mortale?

7. Sono rispettoso ed affettuoso con i miei genitori e famiglia­ri? Li aiuto, sono comprensivo e paziente?

8. Litigo con frequenza con familiari, compagni, o estranei? Nutro odio, rancore o disprezzo verso qualcuno? Ho sparlato di altri?

9.Cerco di aiutare gli altri? Ho negato il mio aiuto ingiustificatamente quando me l'hanno chiesto?

10.Compio i miei doveri familiari e civili?

11.Ho ferito altri con azioni o parole? Ho messo in pericolo senza necessità la salute mia o altrui? Sono prudente nella guida, nello sport?

12. Ho commesso atti impuri? Sono caduto in pensieri o sguardi impuri? Nel matrimonio, ho osservato la morale coniugale della Chiesa? Ho guardato riviste, libri, pagine in internet, film, programmi in TV immorali?

13. Mi preoccupo della formazione cristiana dei miei figli?

14. Ho preso o trattenuto denaro o cose che non sono mie?

15. Lavoro onestamente e con responsabilità?

16. Ho sprecato il denaro in vanità o capricci, o ho comprano oltre le mie possibilità?

17. Aiuto materialmente i poveri, i malati e la Chiesa nelle loro necessità?

18. Ho danneggiato altri calunniando? Ho mentito?

19. Sono stato superbo o invidioso? Mi sforzo per perdonare e riconciliarmi?

20. Sono stato goloso? Mi lascio dominare dalla pigrizia? Perdo tempo futilmente?

Va' al confessionale e comincia serenamente a dire i tuoi pec­cati, in modo semplice e chiaro, in modo che il sacerdote capi­sca bene di che si tratta.

Ascolta i consigli che il sacerdote ti dà. Prima di ricevere l'as­soluzione, recita l'Atto di dolore".

Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei pec­cati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi, e molto più perché ho offeso te, infinitamente buono, e degno di essere amato sopra ogni cosa. Propongo fermamente, con il tuo santo aiuto, di non offenderti mai più e di fuggire le occasioni prossime di peccato. Signore, misericordia, perdonami.

Dopo, ringrazia il Signore che ti ha perdonato e dato la sua grazia, per vivere la tua vita come figlio di Dio. Ricordati di compiere la penitenza.



"Il Signore ti ha perdonato, va' in pace".

mercoledì 11 giugno 2008

Foto Infiorata 2008



















domenica 8 giugno 2008

Il Miracolo Eucaristico di Lanciano (CH)


Intorno all'anno 700, a Lanciano si verificò un evento che la Chiesa cattolica considera come il primo tra i cosiddetti miracoli eucaristici. Il racconto ci è stato tramandato da una pergamena del XV secolo: vi si narra che, durante la Messa nella chiesa dei Santi Legonziano e Domiziano, il monaco basiliano che officiava il rito avrebbe dubitato della presenza di Cristo nell'eucarestia. In quel momento l'ostia sarebbe divenuta carne ed il vino si sarebbe tramutato in sangue.

Le reliquie del Miracolo sono conservate nella chiesa di San Francesco, sorta nell'XI secolo sul luogo di quella in cui avvennero i fatti. L'ostia di carne ed il calice con i cinque grumi in cui si è rappreso il sangue sono oggetto di pellegrinaggio da parte di centinaia di migliaia di persone ogni anno.

Queste reliquie sono state finora analizzate solo dal professor Odoardo Linoli, docente di anatomia patologica, negli anni Settanta e nel 1981. Le analisi hanno evidenziato che la carne è autentica e umana, precisamente tessuto miocardico; il sangue è anch'esso autentico e umano; entrambi appartengono infine al gruppo AB. La perfetta conservazione della carne non viene spiegata, in quanto lo studio si limita ad escludere l'uso di noti procedimenti di mummificazione. Esso peraltro non indica la datazione esatta della reliquia, né esclude completamente la conservazione per cause naturali.

Il miracolo de "Lu Frijacriste"
Nella storia di Lanciano si narra di un secondo Miracolo Eucaristico, detto de lu frijacriste (letteralmente: "friggicristo", friggitore di Cristo). Il racconto di come avvenne presenta elementi della leggenda, ma la testimonianza concreta è data dalle Sacre Reliquie: esse esistono e si trovano in parte a Lanciano e in parte nella chiesa di Sant'Agostino ad Offida (nelle Marche).

Secondo la versione a noi pervenuta, i fatti avvennero nel 1273, in una stalla del quartiere di Lancianovecchia: una donna chiamata Ricciarella, volendo riconquistare l'amore del marito, si rivolse ad una fattucchiera ebrea, che le consigliò di preparare una pozione erotica cuocendo sul fuoco un'ostia consacrata. Ricciarella conservò in bocca l'ostia presa durante la Messa; giunta nella stalla di casa sua, mise un coppo sul fuoco e vi pose dentro il frammento di ostia. Improvvisamente, l'ostia si tramutò in carne e cominciò a grondare sangue. Ricciarella, terrorizzata, nascose tutto sotto un cumulo di paglia e corse a casa.

Tuttavia Ricciarella non riuscì a tenere il segreto a lungo: allarmata anche da strani presagi (pare che il cavallo del marito rifiutasse di entrare nella stalla e si inginocchiasse sulla soglia), dopo pochi giorni confessò tutto al parroco della vicina chiesa di Sant'Agostino, Jacopo Diotallevi, che portò le reliquie in chiesa. Quando questi divenne vescovo di Offida portò con se le Sacre Reliquie. Tuttora, nella cittadina marchigiana si commemora l'evento ogni 3 maggio con una grande festa religiosa.

Nel luogo dove era situata la stalla di Ricciarella fu costruita una cappella, dedicata alla Santa Croce, tuttora esistente e visitabile. In questo luogo pochi anni fa sono stati riportati alcuni frammenti delle Sacre Reliquie per concessione della diocesi di Offida.

A titolo di curiosità si può ricordare che i lancianesi, a seguito di quest'episodio, hanno guadagnato il soprannome di frijacriste presso gli altri abruzzesi.

mercoledì 4 giugno 2008

Biografia di Benedetto XVI


Il Cardinale Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI, è nato a Marktl am Inn, diocesi di Passau (Germania), il 16 aprile del 1927 (Sabato Santo), e battezzato lo stesso giorno. Il padre, Commissario di polizia, proveniva da un’antica famiglia di agricoltori della Bassa Baviera, di condizioni economiche piuttosto modeste. La madre era figlia di artigiani di Rimsting, sul lago Chiem, e prima di sposarsi aveva lavorato come cuoca in vari hotels.

Trascorse l’infanzia e l’adolescenza in Traunstein, piccola località vicina alla frontiera con l’Austria, a 30 km. da Salisburgo. In questo contesto, che egli stesso ha definito “mozartiano”, ricevette la sua formazione cristiana, umana e culturale.

Non fu facile il periodo della sua giovinezza. La fede e l’educazione della famiglia lo prepararono ad affrontare la dura esperienza di quei tempi, in cui il regime nazista manteneva un clima di forte ostilità contro la Chiesa cattolica. Il giovane Joseph vide come i nazisti colpivano il parroco prima della celebrazione della Santa Messa.

Proprio in tale complessa situazione, egli ebbe a scoprire la bellezza e la verità della fede in Cristo; un ruolo fondamentale per questo svolse l’attitudine della sua famiglia, che sempre dette chiara testimonianza di bontà e di speranza, radicata nella consapevole appartenenza alla Chiesa.

Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale fu arruolato nei servizi ausiliari antiaerei.

Dal 1946 al 1951 studiò filosofia e teologia nella Scuola superiore di filosofia e di teologia di Frisinga e nell’università di Monaco di Baviera.

Fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1951.

Un anno dopo intraprese l’insegnamento nella Scuola superiore di Frisinga.

Nel 1953 divenne dottore in teologia con la tesi “Popolo e casa di Dio nella dottrina della Chiesa di Sant’Agostino”. Quattro anni dopo, sotto la direzione del noto professore di teologia fondamentale Gottlieb Söhngen, ottenne l’abilitazione all’insegnamento con una dissertazione su: “La teologia della storia di San Bonaventura”.

Dopo aver insegnato teologia dogmatica e fondamentale nella Scuola superiore di filosofia e teologia di Frisinga, proseguì la sua attività di docenza a Bonn, dal 1959 al 1963; a Münster, dal 1963 al 1966; e a Tubinga, dal 1966 al 1969. In quest’ultimo anno divenne cattedratico di dogmatica e storia del dogma all’Università di Ratisbona, dove ricoprì al tempo stesso l’incarico di vicepresidente dell’Università.

Dal 1962 al 1965 dette un notevole contributo al Concilio Vaticano II come “esperto”; assistette come consultore teologico del Cardinale Joseph Frings, Arcivescovo di Colonia.

Un’intensa attività scientifica lo condusse a svolgere importanti incarichi al servizio della Conferenza Episcopale Tedesca e nella Commissione Teologica Internazionale.

Nel 1972, insieme ad Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac ed altri grandi teologi, dette inizio alla rivista di teologia “Communio”.

Il 25 marzo del 1977 il Papa Paolo VI lo nominò Arcivescovo di Monaco e Frisinga e ricevette l’Ordinazione episcopale il 28 maggio. Fu il primo sacerdote diocesano, dopo 80 anni, ad assumere il governo pastorale della grande Arcidiocesi bavarese. Come motto episcopale scelse “collaboratore della verità”, ed egli stesso ne dette la spiegazione: “per un verso, mi sembrava che era questo il rapporto esistente tra il mio precedente compito di professore e la nuova missione. Anche se in modi diversi, quel che era e continuava a restare in gioco era seguire la verità, stare al suo servizio. E, d’altra parte, ho scelto questo motto perché nel mondo di oggi il tema della verità viene quasi totalmente sottaciuto; appare infatti come qualcosa di troppo grande per l’uomo, nonostante che tutto si sgretoli se manca la verità”.

Paolo VI lo creò Cardinale, con il titolo presbiterale di “Santa Maria Consolatrice al Tiburtino”, nel Concistoro del 27 giugno del medesimo anno.

Nel 1978, il Cardinale Ratzinger prese parte al Conclave, svoltosi dal 25 al 26 agosto, che elesse Giovanni Paolo I, il quale lo nominò suo Inviato Speciale al III Congresso mariologico internazionale celebratosi a Guayaquil, in Ecuador, dal 16 al 24 settembre. Nel mese di ottobre dello stesso anno prese parte al Conclave che elesse Giovanni Paolo II.

Fu relatore nella V Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1980 sul tema: “Missione della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo”, e Presidente delegato della VI Assemblea Generale Ordinaria del 1983 su “La riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa”.

Giovanni Paolo II, il 25 novembre del 1981, lo nominò Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale. Il 15 febbraio del 1982 rinunciò al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Monaco e Frisinga; il 5 aprile del 1993 venne elevato dal Pontefice all’Ordine dei Vescovi, e gli fu assegnata la sede suburbicaria di Velletri - Segni.

E’ stato Presidente della Commissione per la preparazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che, dopo sei anni di lavoro (1986–1992), ha presentato al Santo Padre il nuovo Catechismo.

Giovanni Paolo II, il 6 novembre del 1998, approvò la sua elezione a Vice Decano del Collegio cardinalizio da parte dei Cardinali dell’Ordine dei Vescovi, e, il 30 novembre del 2002, quella a Decano con la contestuale assegnazione della sede suburbicaria di Ostia.

Fu Inviato Speciale del Papa alle celebrazioni per il XII centenario dell’erezione della Diocesi di Paderborn, in Germania, che ebbero luogo il 3 gennaio 1999.

Dal 13 novembre del 2000 era Accademico onorario della Pontificia Accademia delle Scienze.

Nella Curia Romana è stato membro del Consiglio della Segreteria di Stato per i Rapporti con gli Stati; delle Congregazioni per le Chiese Orientali, per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, per i Vescovi, per l’Evangelizzazione dei Popoli, per l’Educazione Cattolica, per il Clero e delle Cause dei Santi; dei Consigli Pontifici per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e della Cultura; del Tribunale Supremo della Segnatura Apostolica; e delle Commissioni Pontificie per l’America Latina, dell’“Ecclesia Dei”, per l’Interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico e per la Revisione del Codice di Diritto Canonico Orientale.

Tra le sue numerose pubblicazioni, occupa un posto particolare il libro: “Introduzione al Cristianesimo”, silloge di lezioni universitarie pubblicate nel 1968 sulla professione della fede apostolica; “Dogma e predicazione” (1973), antologia di saggi, omelie e riflessioni dedicate alla pastorale.

Ebbe grande eco il discorso che tenne davanti all’Accademia bavarese sul tema “Perché sono ancora nella Chiesa” nel quale, con la solita sua chiarezza, affermò: “Solo nella Chiesa è possibile essere cristiano e non ai margini della Chiesa”.

Continuò ad essere abbondante la serie delle sue pubblicazioni nel corso degli anni, costituendo un punto di riferimento per tante persone, specialmente per quanti volevano approfondire lo studio della teologia. Nel 1985 pubblicò il libro-intervista: “Rapporto sulla fede” e, nel 1996, “Il sale della terra”. Ugualmente, in occasione del suo 70° genetliaco, venne edito il libro: “Alla scuola della verità”, in cui vari autori illustrano diversi aspetti della sua personalità e della sua opera.

Numerosi sono i dottorati “honoris causa” che egli ha ricevuto: dal College of St. Thomas in St. Paul (Minnesota, USA) nel 1984; dall’Università cattolica di Lima nel 1986; dall’Università cattolica di Eichstätt nel 1987; dall’Università cattolica di Lublino nel 1988; dall’Università di Navarra (Pamplona, Spagna) nel 1998; dalla Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA) nel 1999; dalla Facoltà di teologia dell’Università di Breslavia (Polonia) nel 2000.

giovedì 29 maggio 2008

San Benedetto da Norcia


Benedetto nacque a Norcia (PG) intorno al 470. Compì i suoi studi letterari a Roma, dove rischiò di farsi coinvolgere dalla corrotta gioventù romana e per questo motivo si trasferì con la sua nutrice a Enfide (l'odierna Affile). Qui compì il suo primo miracolo aggiustando un vaglio in legno. Intorno al 500 si ritirò in una grotta nei pressi di Subiaco, dove inizio la vita eremitica. Un monaco di nome Romano gli portava il necessario per vivere. Fu presto seguito da numerosi discepoli per i quali fondò nella Valle dell'Aniene numerosi monasteri. Un prete di nome Fiorenzo, invidioso di Benedetto, ne attentò la vita. Scampatone, Benedetto si trasferì a Montecassino dove fondò la celebre abbazia. Poco più di un mese prima della morte Benedetto incontrò la sorella Scolastica con la quale ebbe un famoso colloquio. Si spense il 21 marzo 547. Il corpo è custodito insieme a quello della sorella a Montecassino. Il 24 Ottobre 1964 papa Papa Paolo VI lo proclamò "Patrono d'Europa". La sua Regola riassume la tradizione monastica orientale adattandola con saggezza e discrezione al mondo latino, aprendo così una via nuova alla civiltà europea dopo il declino di quella romana. In questa scuola di servizio del Signore hanno un ruolo determinante la lettura meditata della Parola di Dio e la lode liturgica, alternata con i ritmi del lavoro in un clima di carità fraterna e di servizio reciproco. Nel solco di San Benedetto sorsero nel continente europeo e nelle isole, centri di preghiera, di cultura, di promozione umana e di ospitalità per i poveri e i pellegrini. La sua memoria, a causa della Quaresima, è stata trasferita dalla data tradizionale del 21 marzo, ritenuto il giorno della sua morte, all'11 luglio, giorno in cui fin dall'alto Medioevo in alcuni luoghi si faceva un particolare ricordo del santo.
La Medaglia di San Benedetto
Una delle devozioni più diffuse al santo di Norcia, e non solo per la notevole influenza dei monasteri benedettini, è la Croce di San Benedetto, specialmente nella forma più frequente di medaglia. Le sue origini sono antichissime, ma nono possono essere attribuite con certezza al Santo stesso. La devozione della Medaglia divenne popolare intorno al 1050, dopo la guarigione miracolosa del giovane Brunone, figlio del conte Ugo di Eginsheim in Alsazia. Brunone, secondo alcuni, fu guarito da una grave infermità, dopo che gli fu offerta la medaglia di San Benedetto. Dopo la guarigione, divenne monaco benedettino e poi papa: é san Leone IX, morto nel 1054. Tra i propagatori bisogna annoverare anche san Vincenzo de' Paoli. Sul dritto essa riporta generalmente un'immagine del Santo che regge nella mano destra una croce elevata verso il cielo e nella sinistra il libro aperto della santa Regola. Sull'altare é posto un calice dal quale esce una serpe per ricordare un episodio accaduto a San Benedetto: il Santo, con un segno di croce, avrebbe frantumato la coppa contenente il vino avvelenato datogli da monaci attentatori. Attorno alla medaglia, sono coniate queste parole: "EIUS IN OBITU NOSTRO PRESENTIA MUNIAMUR" (Possiamo essere protetti dalla sua presenza nell'ora della nostra morte).
Sul rovescio della medaglia figura, invece, la Croce di San Benedetto. Attorno ad essa compaiono le iniziali di alcuni testi molto antichi, presenti in un manoscritto del XIV sec. a testimonianza della fede nella potenza di Dio e di San Benedetto. Gli acronimi, la loro interpretazione ed significato in italiano sono:



C. S. P. B.

Crux Sancti Patris Benedicti

Croce del Santo Padre Benedetto

C. S. S. M. L.

Crux Sacra Sit Mihi Lux

La Santa Croce sia la mia luce

N. D. S. M. D.

Non Draco Sit Mihi Dux

Non sia il demonio mio condottiero

V. R. S.

Vade Retro Satana

Fatti indietro, Satana

N. S. M. V.

Numquam Suade Mibi Vana

Non mi attirare alle vanità

S. M. Q. L.

Sunt Mala Quae Libas

Sono mali le tue bevande

I. V. B.

Ipse Venena Bibas

Bevi tu stesso il tuo veleno



La tradizione attribuisce a questo simbolo un elevato potere di esorcismo e di guarigione. Occorre portare la medaglia con devozione e recitare la seguente preghiera, ricavata dalle precedenti iscrizioni:

Croce del Santo Padre Benedetto. Croce santa sii la mia luce e non sia mai il demonio mio capo. Va' indietro, Satana; non mi persuaderai mai di cose vane; sono cattive le bevande che mi offri, bevi tu stesso il tuo veleno. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Un'ultima curiosità riguarda le proporzioni dello schema della croce. Molti monasteri benedettini riportano nella loro struttura le medesime proporzioni, ad esempio nella progettazione del chiostro. L'utilizzo di queste proporzioni serviva, naturalmente, ad esorcizzare il luogo contro gli influssi malefici del Demonio. A volte, invece, bastava la sola presenza, come si può notare, ad esempio, all'interno del chiostro del monastero di Santa Scolastica, a Subiaco (RM).

sabato 24 maggio 2008

Corpus Domini


La festività del Corpus Domini ha una origine più recente di quanto sembri. La solennità cattolica del Corpus Domini (Corpo del Signore) chiude il ciclo delle feste del dopo Pasqua e vuole celebrare il mistero dell'Eucaristia ed è stata istituita grazie ad una suora che nel 1246 per prima volle celebrare il mistero dell'Eucaristia in una festa slegata dal clima di mestizia e lutto della Settimana Santa. Il suo vescovo approvò l'idea e la celebrazione dell'Eucaristia divenne una festa per tutto il compartimento di Liegi, dove il convento della suora si trovava.
In realtà la festa posa le sue radici nell’ambiente fervoroso della Gallia belgica - che San Francesco chiamava amica Corporis Domini - e in particolare grazie alle rivelazioni della Beata Giuliana di Retìne. Nel 1208 la beata Giuliana, priora nel Monastero di Monte Cornelio presso Liegi, vide durante un'estasi il disco lunare risplendente di luce candida, deformato però da un lato da una linea rimasta in ombra, da Dio intese che quella visione significava la Chiesa del suo tempo che ancora mancava di una solennità in onore del SS. Sacramento. Il direttore spirituale della beata, il Canonico di Liegi Giovanni di Lausanne, ottenuto il giudizio favorevole di parecchi teologi in merito alla suddetta visione, presentò al vescovo la richiesta di introdurre nella diocesi una festa in onore del Corpus Domini.
La richiesta fu accolta nel 1246 e venne fissata la data del giovedì dopo l'ottava della Trinità. Più tardi, nel 1262 salì al soglio pontificio, col nome di Urbano IV, l'antico arcidiacono di Liegi e confidente della beata Giuliana, Giacomo Pantaleone. Ed è a Bolsena, proprio nel Viterbese, la terra dove è stata aperta la causa suddetta che in giugno, per tradizione si tiene la festa del Corpus Domini a ricordo di un particolare miracolo eucaristico avvenuto nel 1263, che conosciamo sin dai primi anni della nostra formazione cristiana. Infatti, ci è raccontato che un prete boemo, in pellegrinaggio verso Roma, si fermò a dir messa a Bolsena ed al momento dell'Eucarestia, nello spezzare l'ostia consacrata, fu pervaso dal dubbio che essa contenesse veramente il corpo di Cristo. A fugare i suoi dubbi, dall'ostia uscirono allora alcune gocce di sangue che macchiarono il bianco corporale di lino liturgico (attualmente conservato nel Duomo di Orvieto) e alcune pietre dell'altare tuttora custodite in preziose teche presso la basilica di Santa Cristina.
Venuto a conoscenza dell'accaduto Papa Urbano IV istituì ufficialmente la festa del Corpus Domini estendendola dalla circoscrizione di Liegi a tutta la cristianità. La data della sua celebrazione fu fissata nel giovedì seguente la prima domenica dopo la Pentecoste (60 giorni dopo Pasqua). Così, l'11 Agosto 1264 il Papa promulgò la Bolla "Transiturus" che istituiva per tutta la cristianità la Festa del Corpus Domini dalla città che fino allora era stata infestata dai Patarini neganti il Sacramerito dell'Eucaristia. Già qualche settimana prima di promulgare questo importante atto - il 19 Giugno - lo stesso Pontefice aveva preso parte, assieme a numerosissimi Cardinali e prelati venuti da ogni luogo e ad una moltitudine di fedeli, ad una solenne processione con la quale il sacro lino macchiato del sangue di Cristo era stato recato per le vie della città. Da allora, ogni anno in Orvieto, la domenica successiva alla festività del Corpus Domini, il Corporale del Miracolo di Bolsena, racchiuso in un prezioso reliquiario, viene portato processionalmente per le strade cittadine seguendo il percorso che tocca tutti i quartieri e tutti i luoghi più significativi della città.
In seguito la popolarità della festa crebbe grazie al Concilio di Trento, si diffusero le processioni eucaristiche e il culto del Santissimo Sacramento al di fuori della Messa. Se nella Solennità del Giovedì Santo la Chiesa guarda all'Istituzione dell'Eucaristia, scrutando il mistero di Cristo che ci amò sino alla fine donando se stesso in cibo e sigillando il nuovo Patto nel suo Sangue, nel giorno del Corpus Domini l'attenzione si sposta sull'intima relazione esistente fra Eucaristia e Chiesa, fra il Corpo del Signore e il suo Corpo Mistico. Le processioni e le adorazioni prolungate celebrate in questa solennità, manifestano pubblicamente la fede del popolo cristiano in questo Sacramento. In esso la Chiesa trova la sorgente del suo esistere e della sua comunione con Cristo, Presente nell'Eucaristia in Corpo Sangue anima e Divinità.

mercoledì 21 maggio 2008

LA MEDAGLIA MIRACOLOSA


La Medaglia della Madonna delle Grazie, più nota come Medaglia Miracolosa, ha avuto origine in Francia, nel 1830, quando venne rivelata dalla Madonna a santa Caterina Labouré, giovane religiosa nel convento parigino delle Figlie della Carità.
Questa Medaglia è stata coniata per ordine di Maria Ss.ma stessa, come segno di amore, pegno di protezione e sorgente di grazie.
Il formato della Medaglia è ovale. In una delle facce è raffigurata la Madonna, con le braccia tese, mentre distribuisce ai fedeli grazie, rappresentate dalla luce che irradia; allo stesso tempo, col suo piede verginale schiaccia la testa dell’infernale serpente. All’intorno, l’immagine è incorniciata da questa invocazione: " O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi!"Sull’altra faccia figurano la lettera M sormontata dalla Croce, e sotto i fiammeggianti Sacri Cuori di Gesù e di Maria; questo insieme viene circondato da dodici stelle. Le apparizioni della Medaglia Miracolosa aprirono nel 1830 un ciclo di grandi manifestazioni mariane, proseguite con le apparizioni a La Salette (1846), a Lourdes (1858) e culminate infine a Fatima (1917).Per ben comprendere le origini e il significato della Medaglia, bisogna conoscere alcune cose sulla vita di santa Caterina Labouré e sul contesto storico dell’epoca in cui visse.

LA FRANCIA ALL' EPOCA DELLE APPARIZIONI
La Medaglia è stata donata alla Chiesa, in un periodo di grandi disordini e turbolenze che colpirono la Francia e l’Europa intera, un periodo quindi di grandi pericoli anche per la Chiesa. Dalla Rivoluzione Francese (1789) in poi, una catena di cospirazioni, rivolte, guerre aveva sconvolto il nostro continente e si era concretizzato in una feroce persecuzione non solo al clero ma a tutta la Chiesa.
Le rivoluzioni liberali tentavano di separare gli Stati dalla Chiesa per trasformarli in strumenti di guerra alla religione; tentavano di distruggere l’ordinamento della Cristianità per instaurare sulle sue rovine una società fondata non sul Decalogo ma su una sorta di anti-Decalogo, permettendo per legge ciò che Dio vieta come peccato e vietando per legge ciò che Dio prescrive come virtù.
In verità, dopo anni di guerre e di rivoluzioni, nell’epoca in cui avvennero le apparizioni della Medaglia, la situazione Europea sembrava essersi calmata. Ma si trattava solo di una pausa: ben presto la situazione sarebbe precipitata. Alla vigilia della nuova tempesta avvennero le apparizioni della Madonna a santa Caterina.

SANTA CATERINA LABOURE', LA SCONOSCIUTA MESSAGGERA
Per diffondere il suo messaggio la Madonna scelse un'anima semplice e pura. Caterina Labouré nacque il 2 maggio 1806 a Fain-les-Moutiers, un villaggio nella regione francese della Borgogna.
A dodici anni, ricevette la prima Comunione e sembra che da quel giorno abbia deciso di consacrare la vita a Dio. Da ragazza rifiutò numerose offerte matrimoniali, dicendo:" ho già trovato il mio sposo fin dal giorno della prima Comunione, e ormai gli ho dedicata tutta me stessa ".
La sua vocazione religiosa venne preparata da un sogno avuto a diciotto anni. Le sembrò di stare in una chiesa nella quale un vecchio sacerdote la chiamava. Spaventata ella voleva fuggire, ma il sacerdote le disse: "Figlia mia, ora tu mi sfuggi, ma un giorno mi cercherai. Dio ha progetti su di te. Non te ne dimenticare! ". Questo sogno le sembrava incomprensibile. Qualche tempo dopo però, vide un quadro raffigurante san Vincenzo de’ Paoli e riconobbe in lui il misterioso personaggio che le aveva parlato. Comprese allora che il fondatore delle Figlie della Carità la chiamava per entrare nella Congregazione delle Figlie della Carità.
Il padre di Caterina, lungi dal concederle l’autorizzazione per entrare nella vita religiosa, fece di tutto per sviarne la vocazione nella speranza di distoglierla da essa.Dopo molte prove e difficoltà, arrivata a 23 anni, Caterina ottenne infine l’autorizzazione paterna a farsi suora nella Congregazione delle Figlie della Carità e potè quindi rispondere alla chiamata del Signore. Il 21 aprile 1830 entrò come novizia dapprima a Chatillon-sur-Seine e poi nel convento parigino di rue du Bac: la sede che diventerà poi famosa per i fatti prodigiosi in essa avvenuti. La novizia si distinse subito per il suo fervore religioso e per il fatto di ricevere quotidianamente la Comunione. Cosa allora ben rara.
Ben presto Caterina cominciò ad avere visioni, durante le adorazioni del Ss. Sacramento, visioni ch’ella raccontò scrupolosamente al proprio confessore, il padre Jean-Marie Aladel. Ecco come la novizia gli riferisce una di queste visioni, avvenuta il 6 giugno 1830:"Mi è apparso il Signore come un Re sul trono, con la croce sul petto. Mi è sembrato che la croce colasse sangue fino ai piedi di Gesù. Mi è sembrato che egli venisse spogliato dei suoi ornamenti regali, che cadevano tutti a terra. Allora mi sono venuti pensieri cupi e tristi perché temo che anche il re terreno (ossia il re di Francia) verrà detronizzato e spogliato delle sue vesti regali ". La veggente quindi interpretava la scena come una premonizione che stava per arrivare un periodo critico per la Chiesa e in particolare per la Francia.
Il confessore non credette a questa visione, che riteneva illusoria. Ma solo sette settimane dopo, il 27 luglio, iniziavano a Parigi le turbolenti agitazioni della cosiddetta rivoluzione di Luglio. Essa aveva un ispirazione liberale, una direzione massonica ed un carattere profondamente anticristiano: chiese vennero profanate, conventi furono invasi, sacerdoti e religiosi furono perseguitati. La rivoluzione culminò nel rovesciamento del governo, nella deposizione del legittimo re Carlo X e nell’instaurazione della monarchia borghese. Il sogno di Caterina cominciava ad avverarsi. Ella ne avvisò il confessore che però non diede importanza a quella coincidenza.

LA PRIMA APPARIZIONE: SVENTURE PER LA FRANCIA E PER LA CHIESA
La notte tra il 18 e il 19 luglio 1830, verso le undici e mezzo, Caterina udì una voce che la chiamava per nome. Vide un misterioso bambino vestito di bianco che le disse:"alzati subito e vai nella cappella, la Santissima Vergine ti aspetta". Questo bambino che era il suo angelo custode, la condusse alla cappella, nella quale tutte le candele e le lampade erano accese. Improvvisamente il bambino esclamò:"ecco la Beatissima Vergine!". Apparve allora una meravigliosa Signora, seduta su una poltrona posta nel presbiterio. Caterina accorse da lei e s’inginocchiò sui gradini dell’altare; restò in questa posizione ad ascoltare, tenendo le mani familiarmente appoggiate sulle ginocchia della Madonna. "Quel momento fu il più dolce della mia vita e mi è impossibile descrivere tutto ciò che ho provato", affermerà poi la veggente. Durante l’apparizione che durò circa un ora e mezza, Maria le disse: " Figlia mia, il buon Dio vuole affidarti una missione. Avrai molte sofferenze da patire, ma le supererai pensando che le ricevi per glorificare il buon Dio.conoscerai il messaggio che ti viene da Lui. Verrai contrastata, ma la grazia ti aiuterà. Abbi fiducia e non temere! Rendi conto di ciò che vedrai e udirai."
A questo punto la Madonna aggiunse con un espressione molto triste: "I tempi sono malvagi. Sciagure si abbatteranno sulla Francia, il trono verrà rovesciato, il mondo intero verrà sconvolto da sventure di ogni genere. Ma venite pure ai piedi di questo altare; qui grazie verranno diffuse su tutti coloro, grandi e piccoli, che le chiederanno con fiducia e fervore."
Dopo averle parlato del futuro della sua congregazione, la Madonna riprese l’argomento: "Ci saranno morti, il clero di Parigi avrà vittime, monsignore l’arcivescovo morirà. Figlia mia, la Croce verrà disprezzata, la getteranno per terra, e allora scorrerà il sangue per le strade. Verrà nuovamente aperta la ferita al costato di Nostro Signore. Verrà il momento in cui il pericolo sarà talmente grave, da far credere che tutto sia perduto. Figlia mia, tutto il mondo sarà nella tristezza. Ma abbiate fiducia! Proprio allora io sarò con voi; avrete modo di riconoscere la mia visita".

LA SECONDA APPARIZIONE: LA PROMESSA DELLA PROTEZIONE DI MARIA
Sabato 27 novembre 1830, verso le ore diciotto, santa Caterina pregava nella cappella, quando le apparve la Beatissima Vergine all’altezza del quadro di san Giuseppe. Il suo volto con gli occhi rivolti al cielo, era magnificamente bello. Era vestita di seta bianca e teneva nelle mani una sfera dorata, che rappresentava il mondo e che offriva a Dio. I suoi piedi erano appoggiati su una semisfera. Alle mani aveva anelli con pietre preziose di varie dimensioni; quasi tutte sfavillavano e mandavano verso il basso raggi luminosi di varia intensità.
Caterina capì che i raggi rappresentavano le grazie sparse dalla Madonna sulle anime devote, mentre le gemme che restavano spente simboleggiavano le grazie che gli uomini trascuravano di chiederle. Durante questa apparizione si formò attorno ad essa come una cornice ovale, nella quale era scritta in caratteri dorati questa frase: "O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi". Allora si udì una voce che diceva:
Fai coniare una medaglia su questo modello. Tutti coloro che la terranno al collo riceveranno grandi grazie, ed esse saranno abbondanti per le persone che la terranno con fiducia.
In quel momento l’immagine parve voltarsi facendone vedere il rovescio. Apparve allora la lettera M sormontata dalla Croce, con sotto raffigurati il Sacro Cuore fiammeggiante di Gesù, incoronato di spine, e quello di Maria trapassato da una spada; l’insieme era circondato da una corona di dodici stelle che ricordavano il passo dell’Apocalisse:"Una Donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul cap".
Qual è il significato dell’immagine? I teologi ritengono che esso sia assai semplice: M = Maria Madre; I = Iesus; + = Crocifisso. Il risultato è evidente: Maria Madre di Gesù Cristo crocifisso Salvatore.

UNA DIFFUSIONE RAPIDA E PRODIGIOSA
Per quasi due anni, Caterina insistette con il suo confessore affinché la richiesta della Madonna venisse attuata, ma invano. La veggente ne soffriva molto. Ella infatti diceva che " la Beata Vergine non è apparsa per me, ma per il bene della Chiesa e della nostra Congregazione "; ogni rifiuto, anzi ogni ritardo nell’adempierne le richieste l’angosciava enormemente. Nel gennaio 1832, tuttavia il confessore di Caterina venne ricevuto in udienza dall’arcivescovo di Parigi, monsignor de Quélen. Approfittando dell’occasione, egli raccontò la faccenda delle apparizioni di rue du Bac, tacendo però il nome della veggente. L’arcivescovo vide di buon occhio l’iniziativa delle medaglie e ne incoraggiò il conio. Il padre Aladel si decise allora a far coniare le prime ventimila medaglie. Esse cominciarono a essere distribuite nel giugno 1832, proprio quando Parigi veniva colpita da una terribile epidemia di colera, che in poco tempo aveva già fatto almeno 18.400 vittime. Le figlie della carità diffusero le medaglie soprattutto ai malati. Inspiegabilmente quell’epidemia si estinse rapidamente. Fu questo il primo di una lunga serie di prodigi sia privati che pubblici, sia materiali che spirituali, attribuiti alla Medaglia Miracolosa. Anche l’arcivescovo di Parigi ne ottenne una grazia straordinaria per mezzo di essa e ne diventò quindi un entusiasta propagandista. Il celebre e santo Curato di Ars la diffuse fra i suoi parrocchiani e i suoi numerosissimi penitenti. Perfino Papa Gregorio XVI ne fu conquistato e la distribuiva alle persone che gli facevano visita. Già nel 1836, più di 15 milioni di medaglie erano state coniate e distribuite in tutto il mondo. Nel 1842 la cifra salì a 100 milioni. Da tutti i continenti giungevano notizie di conversioni, guarigioni, scampati pericoli, protezioni ricevute. Nel 1876, quando santa Caterina morì, più di un miliardo di medaglie diffondevano ormai grazie in tutto il mondo.

martedì 6 maggio 2008

La festa di Pentecoste nella Chiesa cristiana

All'interno della comunità dei discepoli di Gesù Cristo, a partire da quanto si narra in Atti 2,1-11 la Pentecoste ha perso il significato ebraico, per celebrare la discesa dello Spirito Santo, che viene ad essere visto come la nuova legge donata da Dio ai suoi fedeli, e la nascita della Chiesa.
Questa festa viene quindi detta anche Festa dello Spirito Santo, e conclude le festività del Tempo pasquale.
Che Pentecoste sia nata nel periodo apostolico è dichiarato nel settimo frammento attribuito a Sant'Ireneo. In Tertulliano (De bapt. xix) la festa appare già ben definita. Il pellegrino gallico ci dà un resoconto dettagliato del modo solenne in cui veniva osservata a Gerusalemme (Peregrin. Silviæ, ed. Geyer, iv). Le Costituzioni Apostoliche (V, xx, 17) dicono che Pentecoste dura una settimana, ma in Occidente l'ottava si cominciò a celebrare in periodo più tardivo. In Berno di Reichenau (+ 1048) appare che era discusso ai suoi tempi se Pentecoste dovesse avere o no un'ottava.
In passato i catecumeni che non potevano essere battezzati a Pasqua venivano battezzati durante la vigilia di Pentecoste, e per questo le cerimonie del sabato vigilia di Pentecoste erano simili a quelli del Sabato santo. La festa della Pentecoste (e, in alcuni stati e regioni, il Lunedi di Pentecoste) è festeggiata con particolare rilevanza nell'Europa centrale: Germania, Austria, Svizzera, Belgio, Francia, Olanda e Lussemburgo. In tutto l'Alto Adige, compreso il capoluogo Bolzano, anche il Lunedì di Pentecoste è ufficialmente giorno festivo. Al Senato della Repubblica é stato presentato un disegno di legge n. 940 per il ripristino del Lunedí di Pentecoste quale giornata festiva su tutto il territorio nazionale. Tale disegno di legge é stato ripresentato di nuovo il 29 aprile 2008 al nuovo Parlamento. Nei paesi anglosassoni è chiamata domenica in bianco (Whitsunday)) a causa delle vesti bianche indossate da coloro che venivano battezzati durante la vigilia.
In passato durante l'intera settimana i tribunali non si riunivano e il lavoro servile era vietato. Il concilio di Costanza (1094) limitò tale proibizione ai primi tre giorni della settimana. Il riposo sabbatico del martedì fu abolito nel 1771, e in molte zone di missione anche quello del lunedì, fino ad essere abrogato per l'intera Chiesa da papa Pio X nel 1911. Prima della riforma liturgica il grado liturgico del lunedì e del martedì della settimana di Pentecoste era doppio di prima classe.
La celebrazione liturgica della Pentecoste sembra risalire al I secolo, benché non ci sia prova che venisse osservata, a differenza della Pasqua; il versetto di 1 Cor 16,8 probabilmente si riferisce alla festa ebraica.
Attualmente la liturgia la celebra nel grado di solennità.
L'Ufficio di Pentecoste aveva prima della riforma liturgica un solo Notturno durante l'intera settimana dell'ottava. A Terza viene cantato il Veni Creator invece del solito inno, perché è all'ora terza che discese lo Spirito Santo.
La Messa di Pentecoste ha una sequenza, il Veni Sancte Spiritus attribuita a Papa Innocenzo III o più probabilmente a Stefano di Langhton arcivescovo di Canterbury.
Il colore dei paramenti è rosso, simbolo dell'amore dello Spirito Santo o delle lingue di fuoco.
L'invio dello Spirito Santo da parte di Gesù risorto su Maria e gli apostoli è l'ultima delle quattordici stazioni della Via Lucis cattolica.
Esso è anche il terzo dei misteri gloriosi del Santo Rosario.

sabato 26 aprile 2008

San Giuseppe


Giuseppe, secondo il Nuovo Testamento, è lo sposo di Maria e il padre putativo di Gesù. Il nome Giuseppe è la versione italiana dell'ebraico Yosef, attraverso il latino Ioseph.

Giuseppe, Maria e Gesù bambino sono anche collettivamente chiamati Sacra famiglia.

Le notizie dei Vangeli su san Giuseppe sono molto scarne. Parlano di lui Matteo e Luca: essi ci dicono che Giuseppe era un discendente del re Davide ed abitava nella piccola città di Nazaret. Riguardo alla sua professione, egli è definito in greco tèkton: secondo l'interpretazione tradizionale significa falegname, altre possibili traduzioni sono: carpentiere, carradore, fabbricatore di oggetti in legno, oppure muratore o manovale. Non è quindi chiaro se avesse una bottega propria, o se fosse dipendente, o addirittura lavorante a giornata.

Insieme a Maria, Giuseppe si spostò a Betlemme a causa di un censimento, e qui nacque Gesù; essi rimasero a Betlemme per un periodo non ben determinato, sembra da un minimo di 40 giorni (Luca 2,22;2,39) a un massimo di due anni (Matteo 2,16), dopo di che secondo Matteo fuggirono in Egitto fino alla morte del re Erode (nel 4 a.C.), quindi ritornarono a Nazaret. Luca non menziona il soggiorno in Egitto, ma concorda sul ritorno a Nazaret, dove Gesù visse fino all'inizio della sua vita pubblica.


San Giuseppe, simulacro ligneo di autore ignoto del 1738, titolare della Chiesa Madre di Catenanuova (En)Certamente Giuseppe era ancora vivo quando Gesù aveva dodici anni (vedi Luca 2,41-52); quando invece Gesù iniziò la sua vita pubblica, molto probabilmente era già morto. Infatti non è mai più menzionato dai Vangeli dopo il passo di Luca sopra citato (talvolta Gesù è chiamato "figlio di Giuseppe", ma questo non implica che fosse ancora vivente), e quando Gesù è in croce, affida Maria al suo discepolo Giovanni, il quale "da quel momento la prese nella sua casa", il che non sarebbe stato necessario se Giuseppe fosse stato in vita.

I Vangeli apocrifi forniscono altre notizie, che tuttavia vengono generalmente ritenute leggendarie. Secondo il Protovangelo di Giacomo, Giuseppe era molto anziano quando sposò Maria, e fu scelto tra gli altri pretendenti perché il suo bastone, posto fra gli altri sull'altare, fiorì miracolosamente. Per questo motivo san Giuseppe è tradizionalmente raffigurato con Gesù bambino in braccio e con in mano un bastone dal quale sbocciano dei fiori (generalmente un giglio bianco).

Poiché i Vangeli menzionano a volte dei "fratelli di Gesù", alcuni ipotizzano che Giuseppe avesse avuto altri figli da Maria o da un matrimonio precedente. La Chiesa cattolica rifiuta questa interpretazione, e sostiene che si trattasse di cugini o altri parenti stretti (in greco antico vi sono due termini distinti: adelfòi, fratelli, e kasìghnetoi, cugini, ma in ebraico una sola parola è usata per indicare sia fratelli sia cugini) oppure collaboratori.


Le qualità
Nei Vangeli non viene riportata alcuna parola di Giuseppe; vengono riportate solamente le sue azioni dalle quali traspaiono le sue qualità.

"Uomo obbediente". Conosciuto il volere di Dio attraverso un sogno, Giuseppe si appresta ad eseguirlo. E così sposa Maria anche se lei aspetta un figlio che non è suo; fugge in Egitto con Maria ed il bambino Gesù per sfuggire alla persecuzione di Erode; torna a Nazaret alla morte di Erode.
"Uomo giusto". L'evangelista Matteo parla di Giuseppe come uomo «giusto». Il termine non significa soltanto correttezza, fare ciò che è dovuto e che noi diciamo giusto. In senso biblico, «giusto» è il timorato di Dio, l'obbediente ai suoi progetti. Giuseppe è giusto in quanto cerca di adeguarsi al piano di Dio nella vita di Maria. Non rinuncia al suo amore per Maria, glielo dichiara anzi, «prendendola con sé».

Culto

San Giuseppe Patrono di Santa Maria di Licodia (CT) opera lignea di autore ignoto del XVI-XVII sec. venerato nella Chiesa Madre - festa ultima domenica di agostoLa Chiesa cattolica ricorda san Giuseppe il 19 marzo con una solennità a lui intitolata. Lo ricorda il 1° maggio col titolo di Lavoratore. Inoltre la Domenica tra il Natale ed il 1 gennaio (in caso che non ricorra la domenica il 30 dicembre) lo si festeggia insieme alla sua famiglia: la Sacra famiglia (Giuseppe, Maria e Gesù).

Il culto di san Giuseppe, padre putativo di Gesù e simbolo di umiltà e dedizione, nella Chiesa d’Oriente era praticato già attorno al IV secolo: intorno al VII secolo la chiesa Copta ricordava la sua morte il 20 luglio. In Occidente il culto ha avuto una marcata risonanza solo attorno all'anno Mille, come attestato dai martirologi, primo fra tutti quello del monastero di Richenau, ricordandolo al 19 marzo, data diventata festa universale nella Chiesa con Gregorio XV nel 1621.
La prima chiesa dedicata a san Giuseppe sembra essere quella di Bologna eretta nel 1130.
Nel 1621 i Carmelitani posero l'intero ordine sotto il suo protettorato.
L'8 dicembre 1870 Pio IX lo proclamò patrono della Chiesa universale, dichiarando esplicitamente la sua superiorità su tutti i santi, seconda solo a quella della Madonna.
Papa Leone XIII scrisse la prima enciclica interamente riguardante il santo: la Quamquam pluries, del 15 agosto 1889.
Il 26 ottobre 1921, Benedetto XV estese la festa della Sacra Famiglia a tutta la Chiesa.
La festa di Giuseppe artigiano fu istituita nel 1955 da Pio XII e fissata il 1° maggio: la festa dei lavoratori fino a quel momento era appannaggio della cultura social-comunista.
Nel 1962 Giovanni XXIII introdusse il suo nome nel canone della Messa, oltre ad affidargli lo svolgimento del Concilio Vaticano II. Fino al 1977 il giorno in cui la Chiesa cattolica celebra San Giuseppe era considerato in Italia festivo anche agli effetti civili ma con legge 5 marzo 1977 n. 54, questo riconoscimento fu abolito e da allora il 19 marzo divenne un giorno feriale come tutti gli altri.

venerdì 18 aprile 2008

San Marco Evangelista


Si celebra il 25 Aprile ed è tradizione che in questo giorno i bambini capenati ricevano la Prima Comunione.
Alla fine della cerimonia religiosa, c'è una processione con la statua del Santo, preceduta dai bambini della Prima Comunione, che arriva, partendo dalla Chiesa Parrocchiale, fino alla chiesetta dedicata al Santo, molto distante dal paese. Sul sagrato della cappella, il sacerdote benedice i campi e anche dei dolci particolari fatti per l'occasione e chiamati "lepericchio" e "sposateila".
Questi dolci hanno forme particolari: il lepericchio è destinato agli uomini ed è rotondo, con un uovo in basso, al centro le lettere S. M. E. (San Marco Evangelista) e un buco nella parte superiore dove si può infilare la mano; la sposatella, invece, riservata alle donne, ha la forma di una fanciulla, con le mani sui fianchi, con un vestito decorato con confettini di zucchero colorato e per occhi due chicchi di pepe.
Tutte e due i dolci sono decorati con vistosi nastri di raso e sono portati in processione da tutti gli abitanti del paese.

venerdì 11 aprile 2008

San Gabriele dell'Addolorata


« Voglio fare a pezzi me stesso, voglio fare solo il volere di Dio, non il mio. Possa essere sempre fatto il più adorabile, più amabile, più perfetto volere di Dio »
(San Gabriele dell'Addolorata)

San Gabriele dell'Addolorata, al secolo Francesco Possenti (Assisi, 1° marzo 1838 – Isola del Gran Sasso d'Italia, 27 febbraio 1862), è stato un religioso italiano della Congregazione della Passione di Gesù Cristo. Nel 1920 è stato proclamato santo da papa Benedetto XV: la sua memoria liturgica viene celebrata il 27 febbraio.
Undicesimo di tredici figli, Francesco nacque ad Assisi, città di cui il padre Sante era sindaco e che allora faceva parte dello Stato Pontificio retto da Papa Pio IX. Fu battezzato il giorno stesso della sua nascita nella stessa fonte in cui lo fu San Francesco d'Assisi, di cui gli venne imposto il nome.

Francesco conduceva una vita normale per un giovane. Era noto per la sua personalità affettuosa ed estroversa, il suo amore per il ballo, la caccia ed il teatro. Rischiò più volte la vita nelle sue spedizioni di caccia. Durante una malattia, ancora ragazzino, promise di diventare un prete se fosse guarito. Guarì due volte, ma due volte ritardò questo impegno. Francesco andava bene a scuola, nonostante un'infanzia in cui vide la morte di tre fratelli e della madre. Come un normale ragazzo della sua età Francesco attirava l'attenzione delle ragazze di Spoleto, città in cui la sua famiglia si era trasferita da Assisi.
Durante la processione dell'icona della Madre Addolorata, Francesco capì che la felicità non l'avrebbe trovata nel matrimonio, bensì nella vita sacerdotale. La notte in cui il padre aveva organizzato la sua festa di fidanzamento, Francesco partì per iniziare il suo noviziato Passionista. Il viaggio fu ritardato dai parenti che, in buona fede ed istigati dal padre, cercarono di dissuaderlo dall'entrare nell'ordine. Ciò nonostante, fu in grado di vincere tutti i loro argomenti e di persuaderli della natura genuina della sua vocazione religiosa.

Francesco prese i voti nella comunità Passionista, assumendo il nome di 'Gabriele dell'Addolorata', che rifletteva la sua devozione -radicata in lui fin dall'infanzia da un'immaginetta della Pietà che la madre conservava in casa- per la Madonna Addolorata. Durante il noviziato coltivò un grande amore per il Cristo Crocifisso e la Madonna Addolorata. Infatti, oltre al voto di diffondere la devozione al Cristo Crocifisso, comune a tutti i Passionisti, Gabriele prese anche quello di diffondere la devozione per la Madonna dell'Addolorata. I suoi scritti riflettono questa sua stretta relazione con Dio e con la Madonna. In particolare, nelle Risoluzioni descrive in dettaglio la via che seguì per raggiungere tale unità con la Passione di Cristo e la perfezione della regola passionista.
Venne presto colpito dalla tubercolosi, ma mantenne tutte le sue forme abituali di mortificazione del corpo, impolorò di essere portato alla Messa, e mantenne la sua abituale allegria, al punto che gli altri novizi erano desiderosi di passare tempo al suo capezzale. Gabriele si rassegnò totalmente alla sua morte imminente, e si dice che abbia persino pregato per avere una malattia devastante che lo aiutasse a raggiungere la perfezione. Prima che potesse venire ordinato sacerdote, Gabriele morì, all'età di 24 anni, nel convento passionista di Isola del Gran Sasso (TE) stringendo al petto un'immagine della Madonna Addolorata.
Benedetto XV ha canonizzato Gabriele nel 1920 e lo ha dichiarato patrono della gioventù cattolica. Nel 1959, Giovanni XXIII lo ha nominato patrono dell'Abruzzo, dove passò gli ultimi due anni della sua vita. La Chiesa invoca anche la sua protezione per gli studenti, i seminaristi, i novizi e gli ecclesiastici.

Ogni anno numerosi pellegrini si recano nel Santuario di San Gabriele ad Isola del Gran Sasso per visitare la sua tomba ed il convento dove visse gli ultimi anni. Il culto di san Gabriele è diffuso soprattutto fra i giovani cattolici italiani, ed emigranti italiani ne hanno diffuso il culto anche negli USA, in America Centrale e Meridionale. Il culto di san Gabriele viene diffuso anche dall'ordine Passionista. Numerose persone hanno riferito di miracoli ottenuti attraverso l'intercessione di san Gabriele. Santa Gemma Galgani sostenne che l'intercessione di san Gabriele la aveva curata dalla malattia e l'aveva condotta ad una vocazione passionista. Ogni anno, quando mancano 100 giorni all'inizio dell'esame di stato delle scuole medie superiori, migliaia di studenti dell'Abruzzo si recano al santuario per assistere alla messa e pregare per il buon esito dell'esame.

Il Santuario di San Gabriele dell'Addolorata è un santuario abruzzese, che si trova ai piedi del Gran Sasso, nel comune di Isola del Gran Sasso d'Italia, in provincia di Teramo.

Ci sono 4 strutture principali: il convento in cui c'è la sede dei passionisti, la vecchia chiesa in cui è morto San Gabriele dell'Addolorata, la nuova chiesa in cemento armato ed acciaio, che in genere viene aperta nei giorni festivi per accogliere l'alto numero di pellegrini, e la sede dell'Eco di San Gabriele, la rivista mensile collegata all'attività del santuario.

Verso il 1215, secondo una tradizione mai smentita, San Francesco d'Assisi fondò un convento per il suo ordine francescano, nel comune di Isola del Gran Sasso d'Italia, che vi rimase fino al tempo delle soppressioni napoleoniche; tale convento è l'attuale Santuario di San Gabriele.

Sembra che il santo di Assisi trovò alle falde del Gran Sasso un'edicola dedicata alla Madonna Annunziata da cui, probabilmente nel 1216 iniziò la costruzione di un convento e di una chiesa dedicata all'Immacolata.

Nel 1809 il convento fu abbandonato dai seguaci di Francesco, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi del periodo napoleonico e il loro posto fu preso nel 1847 dai Passionisti.

Restano oggi, dell'originario edificio, il Pozzo di San Francesco e, al piano terra di quello che un tempo era il convento, refettorio e chiostro con i portali in pietra del XVI secolo e con una serie di affreschi del XVII secolo che raffigurano scene della vita di San Francesco.

Il Santuario di San Gabriele dell'Addolorata è una meta di pellegrinaggio molto cara ai giovani, due gli appuntamenti principali, uno nel mese di Marzo, a cento giorni dall'esame di stato, per prendere il diploma di scuola media superiore, in cui migliaia di studenti provenienti dall'Abruzzo e dalle Marche, arrivano al santuario, per pregare per un buon esito dell'esame, ed un altro in Agosto, in cui viene formata una tendopoli in cui giovani (ma anche meno giovani) si accampano per cinque giorni, dando vita ad un meeting religioso.
Il moderno santuario, realizzato su progetto della scuola Gio Ponti e completato dall'architetto Eugenio Abruzzini ospita pregevoli esempi di arte sacra contemporanea di artisti come Enrico Accatino, Ugolino da Belluno, Tito Amodei.

venerdì 28 marzo 2008

Padre Pio da Pietrelcina



Padre Pio da Pietrelcina (nato Francesco Forgione; Pietrelcina, 25 maggio 1887 – San Giovanni Rotondo, 23 settembre 1968) è stato un presbitero e francescano italiano.

Membro dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, è venerato come santo dalla Chiesa cattolica, che ne celebra la memoria liturgica il 23 settembre, anniversario della morte. È stato destinatario, ancora in vita, di una venerazione popolare di imponenti proporzioni, anche in seguito alla fama di taumaturgo da lui acquisita derivante da presunte capacità soprannaturali attribuitegli, ma è stato anche fatto oggetto di forti critiche e di sospetti in ambienti ecclesiastici e non.

Il frate scelse il nome religioso di Pio per onorare il santo martire venerato nell'attuale chiesa di Sant'Anna in Pietrelcina, anche se, in seguito, il suo onomastico sarà celebrato nella memoria di san Pio V.

Gli agiografi descrivono la personalità di Padre Pio come simpatica e ricca di umanità, anche se apparentemente burbera e scostante, di temperamento piuttosto sanguigno. Fra le caratteristiche che gli vengono riconosciute, oltre all'abitudine di burlarsi degli amici, significativa è sicuramente una personalità esposta a frequenti e repentini cambi di umore. Amava intrattenere rapporti epistolari, arrivando a scrivere migliaia di lettere, raccolte dopo la sua morte in numerosi e spessi volumi
Francesco Forgione nacque il 25 maggio 1887 a Pietrelcina, un piccolo comune alle porte di Benevento. Fu battezzato il giorno successivo nella chiesa di Sant'Anna. Gli venne dato il nome Francesco per desiderio della madre, devota a San Francesco d'Assisi [3].

Il padre Grazio Maria Forgione, nato nel 1860, e la madre Maria Giuseppa De Nunzio, nata nel 1859, erano sposati da sei anni ed avevano già avuto tre figli, di cui due già morti, alla nascita di Francesco.

Il 27 settembre 1889 riceve la Comunione e la Cresima dall'allora arcivescovo di Benevento Donato Maria dell'Olio.

Il padre, contadino, possedeva un piccolo appezzamento di terra che però non gli dava il necessario per sostenere la famiglia, e per due volte fu costretto ad emigrare in America in cerca di fortuna. La madre era una donna molto credente e le sue convinzioni ebbero una grande influenza sulla formazione spirituale del futuro frate [4]. Secondo le testimonianze del tempo [5], il ragazzo cresceva tranquillo e sereno, era bravo ed obbediente.

Francesco non frequentò le scuole in maniera regolare perché doveva rendersi utile in famiglia lavorando la terra. Il suo primo maestro fu un contadino che aveva fatto la quinta elementare, il secondo un pettinatore di canapa, ed entrambi svolgevano le loro lezioni di sera. Solo quando ebbe dodici anni cominciò a studiare con metodo, sotto la guida di un vero insegnante, il sacerdote don Domenico Tizzani, che, in un biennio, gli fece svolgere tutto il programma delle elementari. Subito dopo Francesco passò alla scuola per gli studi ginnasiali.

Il desiderio di diventare sacerdote si manifestò molto presto e fu sollecitato dalla conoscenza di un frate del convento di Morcone, fra Camillo, che periodicamente passava per Pietrelcina a raccogliere offerte. Le pratiche per l'entrata in convento furono iniziate nella primavera del 1902, quando Francesco aveva 14 anni, ma la sua prima domanda ebbe esito negativo. Solo nell'autunno del 1902 arrivò l'assenso.

Il 1° gennaio del 1903, dopo la Comunione, Francesco raccontò di aver avuto una visione che gli confermava e chiariva la sua vocazione alla continua lotta col maligno [6]. La notte del 5 gennaio, l'ultima che passava con la sua famiglia, disse di aver avuto un'altra visione in cui Dio e Maria lo incoraggiavano e lo assicuravano della loro predilezione [7]. La mattina del 6 gennaio, dopo aver ascoltato la messa nella chiesa parrocchiale di Pietrelcina, accompagnato dal suo maestro Angelo Caccavo e dal sacerdote don Nicola Caruso, Francesco venne ricevuto al noviziato dei Cappuccini della provincia religiosa di Foggia, a Morcone (Benevento) [8]. Il 22 gennaio dello stesso anno, a 15 anni, Francesco vestì i panni di probazione del novizio cappuccino e diventò fra Pio.

Concluso l'anno del noviziato, fra Pio emise la professione dei voti semplici (povertà, castità ed obbedienza) il 22 gennaio del 1904. Tre giorni dopo si recò a Sant'Elia a Pianisi per intraprendere gli studi ginnasiali. Il 27 gennaio 1907 emise la professione dei voti solenni. Seguì studi classici e di filosofia e nel novembre del 1908 raggiunse Montefusco, dove proseguì i suoi studi di teologia. Il 18 luglio del 1909, ricevette l'ordine del diaconato, nel noviziato di Morcone. Fu ordinato sacerdote il 10 agosto 1910 nel Duomo di Benevento, da mons. Paolo Schinosi [9].

In questi anni è attestata la comparsa sulle sue mani delle stimmate, che lo caratterizzeranno per il resto della vita. Ne diede comunicazione per la prima volta l'8 settembre del 1911, in una lettera indirizzata al padre spirituale di San Marco in Lamis: qui il frate parla di un fenomeno che si va ripetendo da quasi un anno, taciuto soltanto perché vinto "sempre da quella maledetta vergogna" (Epist. I, 234). Il 7 dicembre 1911 fece ritorno a Pietrelcina per ragioni di salute, restandovi, salvo qualche breve interruzione, sino al 17 febbraio 1916 (Diario A, 255).

Sempre a causa della sua salute cagionevole, il 25 febbraio 1915 ottenne il permesso di risiedere fuori dal convento, presso la sua casa natale casa, mantenendo l'abito cappuccino. Il 10 ottobre 1915 fra Pio rispose alle domande perentorie, rivoltegli da padre Agostino da San Marco in Lamis, affermando di aver ricevuto le stimmate, "visibili, specie in una mano", e che, pregando il Signore, il fenomeno scomparve, ma non il dolore che rimase "acutissimo" (Epist. I, 669). Rivelò anche di aver subìto quasi ogni settimana, da alcuni anni, la coronazione di spine e la flagellazione (Ibidem).

Sempre lo stesso anno, il 6 novembre, fu chiamato alle armi e si presentò al distretto militare di Benevento (Epist: I, 684-686). Il 6 dicembre venne assegnato alla decima compagnia sanità di Napoli. Svolse il servizio con molte licenze per motivi di salute sino ad essere definitivamente riformato tre anni più tardi, a causa di una broncoalveolite doppia, il 16 marzo 1918 con determinazione del direttore dell'ospedale principale di Napoli (Epist. I, 1005).

Nel frattempo, il 17 febbraio 1916 fra Pio giunse a Foggia, restandovi sette mesi circa e dimorando nel convento di Sant'Anna. La sera del 28 luglio, accompagnato da padre Paolino da Casacalenda, fra Pio arrivò per la prima volta a San Giovanni Rotondo. Pur sentendosi meglio in questo luogo, dopo una settimana circa scese di nuovo a respirare l'aria afosa di Foggia, poiché il permesso chiesto al padre provinciale, anche se non necessario, tardava a venire (Epist. I, 796s).

Fra Pio il 13 agosto scrisse perciò al provinciale, chiedendo di "passare un po' di tempo a San Giovanni Rotondo", dove Gesù gli assicurava che sarebbe stato meglio, per sollevare un po' il fisico e tenersi pronto ad altre prove alle quali Egli volesse assoggettarlo (Epist. I, 798). Il 4 settembre 1916 tornò quindi "provvisoriamente" al convento di San Giovanni Rotondo, aspettando l'arrivo del padre provinciale, per la decisione della sua stabile dimora. Fra Pio venne infine lasciato in questo convento, con l'ufficio di direttore spirituale del seminario serafico (Epist. I, 815ss).
La comparsa delle stigmate (1918-1920)
Nell'agosto del 1918 fra Pio affermò di avere le prime visioni di un personaggio che lo trafiggeva con una lancia, lasciandogli una ferita costantemente aperta (vedi transverberazione). Poco tempo dopo, in seguito ad una ulteriore visione, fra Pio affermò di aver ricevuto delle stigmate. Tali lesioni vennero variamente interpretate: come segno di una particolare santità, o come una patologia della cute (per es. piaghe da psoriasi), o addirittura come auto-inflitte.

Le prime manifestazioni risalgono al 1910 quando il religioso, a causa della sua inspiegabile malattia, aveva lasciato il convento e viveva a casa sua a Pietrelcina. Ogni giorno, dopo aver celebrato la messa, se ne andava in una località della campagna detta Piana Romana, dove suo fratello Michele aveva costruito una capanna per permettergli di pregare e meditare restando all'aria aperta, che giovava molto ai suoi polmoni malati. Al suo confessore rivelò che il fenomeno delle stigmate cominciò a manifestarsi proprio in quel luogo, nel pomeriggio del 7 settembre 1910. Il fenomeno si manifestò con maggior intensità un anno dopo nel settembre 1911, allora il frate scrisse al suo direttore spirituale: In mezzo al palmo delle mani è apparso un po' di rosso, grande quanto la forma di un centesimo, accompagnato da un forte ed acuto dolore. Questo dolore è più sensibile alla mano sinistra. Anche sotto i piedi avverto un po' di dolore. Allo stesso tempo cominciarono a circolare voci secondo le quali [10] il suo corpo aveva cominciato ad emanare un inspiegabile profumo di gelsomino.

La notizia della comparsa delle stigmate fece il giro del mondo e repentinamente San Giovanni Rotondo fu meta di pellegrinaggio da parte di persone che speravano di ottenere grazie. Il merito di alcune conversioni e guarigioni inaspettate fu attribuito dai pellegrini all'intercessione del frate presso Dio. La popolarità di padre Pio e di San Giovanni Rotondo crebbe ancora grazie al passa-parola e la località dovette cominciare ad attrezzarsi per l'accoglienza di un numero di visitatori sempre maggiore.

La situazione divenne imbarazzante per alcuni ambienti della Chiesa cattolica [11]: il Vaticano infatti non aveva notizie precise su cosa stesse realmente accadendo; le scarne informazioni ricevute ben si prestavano ad alimentare il timore di una macchinazione, di fatto sommovente interessi economici, eventualmente perpetrata sfruttando il nome della Chiesa e la tonaca. Un primo inconcludente rapporto fu stilato dal Padre Generale dei cappuccini, il quale a sua volta aveva inviato Giorgio Festa. Questi propese per la soprannaturalità del fenomeno, ma proprio il suo entusiasmo fece dubitare della sua credibilità. Si commissionarono perciò ulteriori indagini, molte delle quali condotte in incognito.


Le indagini (1919-1923)
Il primo medico a studiare le stigmate di Padre Pio fu il professore Luigi Romanelli, primario dell'ospedale civile di Barletta, per ordine del padre superiore Provinciale, nei giorni 15 e 16 maggio 1919. Nella sua relazione fra le altre cose scrisse:
Nel 1920 padre Agostino Gemelli, medico, psicologo e consulente del Sant'Uffizio, fu incaricato dal cardinale Merry Del Val di visitare Padre Pio ed eseguire “un esame clinico delle ferite”. Il Segretario del Sant'Uffizio, chiamato in causa per via dei sospetti su presunte attività scandalose del cappuccino, scelse il Gemelli, è dato supporre, sia per le sue conoscenze scientifiche di altissimo livello, sia per i suoi studi specialistici sui "fenomeni mistici", che aveva condotti sin dal 1913.

"Perciò - pur essendosi recato nel Gargano di propria iniziativa, senza che alcuna autorità ecclesiastica glielo avesse chiesto - Gemelli non esitò a fare della sua lettera privata al Sant'Uffizio una sorta di perizia ufficiosa su padre Pio" (Sergio Luzzatto, Padre Pio, pag. 60).

Il Gemelli volle invece esprimersi compiutamente in merito e volle incontrare il frate, nonostante una malcelata ritrosia di questi. Padre Pio, infatti, mostrò nei confronti del nuovo investigatore un atteggiamento di netta chiusura, non alleviando le polemiche, nonostante l'approccio iniziale del messo vaticano fosse stato di buona apertura sul piano personale.

Il frate rifiutò la visita adducendo che mancava l’autorizzazione scritta del Sant'Uffizio. Furono vane le proteste di padre Gemelli che, incaricato dal Sant'Uffizio e inviato di persona dal cardinal Merry Del Val riteneva di avere il diritto di effettuare un esame medico delle stigmate. Guarino[13] interpreta questo rifiuto come un'implicita ammissione di colpa da padre di Padre Pio. Il frate, supportato dai suoi superiori, condizionò l'esame ad un permesso da richiedersi per via gerarchica, disconoscendo le credenziali di padre Agostino Gemelli, che comunque era in missione ufficiale. Questi abbandonò dunque il convento, irritato ed offeso.

Padre Gemelli espresse quindi la diagnosi:

« È un bluff… Padre Pio ha tutte le caratteristiche somatiche dell'isterico e dello psicopatico… Quindi, le ferite che ha sul corpo... Fasulle… Frutto di un’azione patologica morbosa… Un ammalato si procura le lesioni da sé… Si tratta di piaghe, con carattere distruttivo dei tessuti… tipico della patologia isterica »


e più brevemente lo chiamò "psicopatico, autolesionista ed imbroglione"; i suoi giudizi, che come si è visto non potevano contare su un esame clinico rifiutatogli, avrebbero pur tuttavia pesantemente condizionato per l'autorevolezza della fonte la vicenda del frate.

Come risultato di questa vicenda, il 31 maggio 1923, arrivò un Decreto vero e proprio in cui si pronunciava la condanna esplicita. Il Sant'Uffizio dichiarava dei fatti legati alla vita di padre Pio ed esortava i fedeli a non credere e a non andare a San Giovanni Rotondo.Il decreto venne pubblicato dall' Osservatore Romano organo di stampa del Vaticano, il 5 luglio 1923 e subito ripreso dai giornali di tutto il mondo. Padre Pio era dichiarato ufficialmente imbroglione ed impostore.

Il 15 dicembre del 1924 il dott. Giorgio Festa, chiese alle autorità ecclesiastiche l'autorizzazione a sottoporre il Padre ad un nuovo esame clinico per uno studio ulteriore e più aggiornato, ma non l'ottenne.

L'inchiesta sul frate si chiuse con l'arrivo del quinto e definitivo decreto di condanna (23 maggio 1931) con l'invito ai fedeli di non considerare come sovrannaturali le manifestazioni psichiatriche certificate dal Gemelli, ma i più fedeli sostenitori di Padre Pio non considerano il divieto di Roma vincolante. A Padre Pio venne vietata la celebrazione della messa in pubblico e l'esercizio della confessione.


La revoca delle restrizioni e le ulteriori indagini (1933-1968) [modifica]
Nel 1933 Pio XI revocò le restrizioni precedentemente imposte a padre Pio. Una fonte indipendente suggerisce però che, formalmente, il decreto ufficiale di sconfessione di Padre Pio non sarebbe mai stato revocato.[14].Infatti il Sant'Uffizio non ritrattò i suoi decreti e, ufficialmente, padre Pio continuò a essere condannato dalla Chiesa. A San Giovanni Rotondo accorrevano comunque gente comune, ma anche personaggi famosi. Nel 1938 arrivò Maria José di Savoia che volle farsi fotografare accanto a padre Pio. Giunsero i reali di Spagna, la regina del Portogallo in esilio, Maria Antonia di Borbone, Zita di Borbone-Parma, Giovanna di Savoia Ludovico di Borbone Parma, Eugenio di Savoia e tanti altri. Nel 1950 il numero di persone, in particolare donne, che si volevano confessare era talmente imponente, che venne organizzato un sistema di prenotazioni. Il 9 gennaio 1940 iniziò la costruzione del grande ospedale Casa Sollievo della Sofferenza con le offerte dei fedeli provenienti da tutto il mondo[15]

Papa Giovanni XXIII ordinò ulteriori indagini su Padre Pio, inviando mons. Carlo Maccari: nello spirito del Concilio Vaticano II si voleva intervenire con decisione verso forme di fede popolare considerate arcaiche. All’inizio dell’estate 1960, Papa Giovanni viene informato da monsignor Pietro Parente, assessore del Sant’Uffizio, del contenuto di alcune bobine registrate a San Giovanni Rotondo. Da mesi Roncalli assume informazioni sulla cerchia delle donne intorno a Padre Pio, si è appuntato i nomi di tre fedelissime: Cleonilde Morcaldi, Tina Bellone e Olga Ieci», più una misteriosa contessa. Il Papa annota il 25 giugno 1960, su quattro foglietti rimasti inediti fino al 2007 e rivelati da Sergio Luzzatto: «Stamane da mgr Parente, informazioni gravissime circa P.P. e quanto lo concerne a S. Giovanni Rotondo. L’informatore aveva la faccia e il cuore distrutto». E «Con la grazia del Signore io mi sento calmo e quasi indifferente come innanzi ad una dolorosa e vastissima infatuazione religiosa il cui fenomeno preoccupante si avvia ad una soluzione provvidenziale. Mi dispiace di P.P. che ha pur un’anima da salvare, e per cui prego intensamente» annota il Pontefice. «L’accaduto—cioè la scoperta per mezzo di filmine, si vera sunt quae referentur, dei suoi rapporti intimi e scorretti con le femmine che costituiscono la sua guardia pretoriana sin qui infrangibile intorno alla sua persona— fa pensare ad un vastissimo disastro di anime, diabolicamente preparato, a discredito della S. Chiesa nel mondo, e qui in Italia specialmente. Nella calma del mio spirito, io umilmente persisto a ritenere che il Signore faciat cum tentatione provandum, e dall’immenso inganno verrà un insegnamento a chiarezza e a salute di molti». Che, sempre il 25 giugno, annota ancora: «Motivo di tranquillità spirituale per me, e grazia e privilegio inestimabile è il sentirmi personalmente puro da questa contaminazione che da ben 40 anni circa ha intaccato centinaia di migliaia di anime istupidite e sconvolte in proporzioni inverosimili».[16]

Nel 1964, il nuovo Papa Paolo VI concesse personalmente ma ufficiosamente a Padre Pio da Pietrelcina l'Indulto (reintegro) per continuare a celebrare, anche pubblicamente, la Santa Messa secondo il rito di San Pio V, sebbene, dalla Quaresima del 1965 fosse in attuazione la riforma liturgica. Contemporaneamente, molteplici attività finanziare gestite da Padre Pio passarono in gestione alla Santa Sede.

Il 23 settembre 1968 Padre Pio morì all'età di 81 anni. Ai suoi funerali parteciparono più di centomila persone giunte da ogni parte d'Italia.
La canonizzazione
Le pratiche giuridiche preliminari del processo di beatificazione inizieranno un anno dopo la morte del Padre, nel 1969, ma incontrarono molti ostacoli, da parte di coloro che erano stati nemici dichiarati di Padre Pio. Furono ascoltati decine di testimoni e raccolti 104 volumi di disposizioni e documenti, e nel 1979 tutto il materiale fu inviato a Roma al vaglio degli esperti del Papa. Il procedimento che portò alla canonizzazione ebbe inizio con il nihil obstat del 29 novembre 1982. Il 20 marzo 1983 iniziò il processo diocesano per la sua canonizzazione. Il 21 gennaio 1990 Padre Pio venne proclamato venerabile, fu beatificato il 2 maggio 1999 e proclamato santo il 16 giugno 2002 in piazza San Pietro da papa Giovanni Paolo II come san Pio da Pietrelcina. La sua festa liturgica viene celebrata il 23 settembre.

Tra i segni miracolosi che gli vengono attribuiti troviamo le "stigmate" che portò per 50 anni (20 settembre 1918 - 23 settembre 1968), il dono della bilocazione e della capacità di leggere nei cuori e nella mente delle persone. Tra i molti miracoli che gli vengono attribuiti c'è quello della guarigione del piccolo Matteo Pio Colella di San Giovanni Rotondo, sul quale è stato celebrato il processo canonico che ha portato poi alla elevazione agli altari di San Pio.

Tra i racconti di bilocazione che lo avrebbero visto protagonista c'è quello fornito da Luigi Orione, secondo il quale nel 1925, mentre si trovava in piazza San Pietro per i festeggiamenti in onore di Teresa di Lisieux, gli sarebbe apparso inaspettatamente Padre Pio da Pietrelcina, che in realtà non si mosse mai dal convento che lo ospitava dal 1918 sino alla morte.


I sospetti
La vicenda di Padre Pio fu sempre accompagnata da un lato da manifestazioni di fede popolare ineguagliate per la loro intensità, e dall'altro da sospetti anche di alte personalità della Chiesa.

Di Padre Pio si sospettava innanzitutto una motivazione volta a procacciare un risultato economico (ancorché indiretto) da donazioni e lasciti attraverso una mitizzazione della persona. Questo sospetto fu in parte attenuato quando il frate designò la Chiesa di Roma come erede universale di tutte le sue cose. Parimenti, i flussi di denaro riguardanti le iniziative culminate nella costruzione della Casa Sollievo della Sofferenza, continuarono ad essere oggetto di illazioni e di scontro con le gerarchie ecclesiastiche. Il commercio di pezzuole apparentemente macchiate dalle stigmate (in realtà il sangue risultò poi essere sangue di gallina), andava, stando ai risultati dell'indagine, molto bene. A seguito dell'indagine in questione alcuni frati che avevano tradito il voto di povertà furono spostati altrove. Riguardo alle stigmate, alcuni rapporti medici indicarono una possibile causa non soprannaturale: il medico napoletano Vincenzo Tangaro, che incontrò Padre Pio ed ebbe cura di osservarne le mani, scrisse in un articolo pubblicato dal Mattino: «Le stigmate sono superficiali e presentano un alone dal colore caratteristico della tintura di iodio». Altri medici, osservando il fenomeno, non furono in grado di determinarne la causa con certezza, ma parlarono in ogni caso di un possibile fenomeno artificiale e/o patologico. A titolo d'esempio, il professor Amico Bignami inviato dal Sant'Uffizio ad esaminare le stigmate scrisse nella sua relazione: «Le [stigmate]…rappresentano un prodotto patologico, sulla cui genesi sono possibili le seguenti ipotesi: a) …determinate artificialmente o volontariamente; b) …manifestazione di uno stato morboso; c) …in parte il prodotto di uno stato morboso e in parte artificiale… Possiamo… pensare che… siano state mantenute artificialmente con un mezzo chimico, per esempio la tintura di iodio. Ho notato... una pigmentazione bruna dovuta alla tintura di iodio. È noto che la tintura di iodio vecchia… diventa fortemente irritante e caustica». (riportato da Mario Guarino, vedi bibliografia). Secondo quanto successivamente riportato da un biografo, lo stesso professor Bignami diede in seguito ordine «di fasciare e suggellare le ferite alla presenza di due testimoni e di controllare i suggelli delle stesse alla presenza degli stessi testimoni, per otto giorni, affinché si potesse avere la certezza che le ferite non erano state affatto toccate… L’ottavo giorno in cui furono definitivamente tolte le fasce al Padre Pio, mentre Egli celebrava la Messa, colava tanto sangue dalle mani che fummo costretti a mandare dei fazzoletti perché il Padre potesse asciugarlo»[18].

Nuovi dubbi sull'origine soprannaturale delle stigmate vengono dal libro di Sergio Luzzatto, in cui si riporta la testimonianza del 1919 di un farmacista a cui Padre Pio ordinò dell'acido fenico, adatto per la sua causticità a procurare lacerazioni nella pelle simili alle stigmate [19].

Lo psichiatra Luigi Cancrini (Università La Sapienza di Roma), più recentemente, ha tentato di classificare Padre Pio secondo il DSM-IV (edizione aggiornata del manuale internazionale dei disturbi mentali). Secondo questa teoria le stigmate sarebbero quindi particolari sintomi di "conversione somatica" (vedi bibliografia), ovvero la moderna definizione dei disturbi somatici generati da una patologia psichiatrica di tipo isterico.

Nelle biografie che riportano le testimonianze di persone che ebbero modo di assistere di persona alla preparazione del corpo per la sepoltura, sulla salma di Padre Pio non ci sarebbe stata più alcuna traccia delle stigmate.


Le malattie
Nel diario di padre Agostino da San Marco in Lamis, direttore spirituale di padre Pio, si legge che nel 1892, quando il giovane Francesco Forgione aveva solo 5 anni era affetto da diverse malattie. A 6 anni venne colpito da una grave enterite, che lo costrinse al letto per un lungo periodo. A 10 anni si ammalò di febbre tifoidea. Nel 1904, fra' Pio venne inviato, con gli altri giovani che insieme a lui avevano superato l'anno di prova di noviziato, a Sant'Elia a Pianisi in provincia di Campobasso, per iniziare il periodo di formazione. Ma quasi subito cominciò a star male accusando inappetenza, insonnia, spossatezza, svenimenti improvvisi e terribili emicranie. Vomitava spesso e riusciva a nutrirsi soltanto con del latte. Gli agiografi raccontano che proprio in quel periodo, insieme ai malanni fisici, cominciarono a manifestarsi fenomeni a detta dei testimoni inspiegabili. Secondo i loro racconti, di notte, nella sua stanza, si udivano rumori sospetti a volte urli o ruggiti, durante la preghiera, fra' Pio restava come intontito, quasi fosse assente(va ricordato che fenomeni di questo tipo sono frequentemente descritti, nelle agiografie di santi e mistici di ogni tempo, e secondo la psichiatria contemporanea sono spiegabili come sintomi di psicosi o schizofrenia.). Qualche confratello disse addirittura di averlo visto in estasi, sollevato da terra.[21] Nel giugno del 1905 la salute del frate era talmente compromessa che i superiori decisero di mandarlo in un convento di montagna, nella speranza che il cambiamento d'aria gli facesse bene. Le condizioni di salute però, peggioravano ed allora i medici consigliarono di farlo tornare nel suo paese. Anche qui però il suo stato di salute peggiorò.

Negli anni giovanili padre Pio fu anche colpito da "bronchite asmatica", di cui continuò a soffrire fino alla morte. Aveva anche una calcolosi renale grave, con coliche frequenti. Un'altra malattia molto dolorosa fu una specie di gastrite cronica, che poi si trasformò in ulcera. Soffrì di infiammazioni dell'occhio, del naso, dell'orecchio e della gola, e infine di rinite e otite croniche. Nell'estate del 1915, il religioso dovette lasciare Pietrelcina per adempiere al servizio militare. Aveva fatto la visita di leva nel 1907 ed era stato dichiarato abile ma lasciato a casa con un congedo illimitato, fu però richiamato ed il 6 novembre del 1915 si presentò al distretto militare di Benevento, e venne assegnato alla Decima compagnia sanità di Napoli con il numero di matricola 2094/25. Ma dopo circa un mese a causa di continui disturbi cui andava soggetto, venne mandato in licenza per 30 giorni.Tornato in servizio fu sottoposto ad altre visite mediche e rimandato ancora in licenza a per 6 mesi. Trascorse questo periodo di licenza in un convento di Foggia.Ma anche li il religioso stava male. Si decise quindi di spostarlo a San Giovanni Rotondo, un paesino sul Gargano a 600 m. di altezza, dove anche nei mesi caldi faceva relativamente fresco. Arrivò in questo convento il 28 luglio del 1916. A dicembre riprese il servizio militare, ma fu rimandato a casa per altri 2 mesi. Al rientro venne giudicato idoneo e destinato alla caserma di Sales in Napoli,dove rimase fino al marzo del 1917, quando dopo una visita all'ospedale di Napoli gli fu diagnosticata una "tubercolosi polmonare" accertata dall'esame radiologico e mandato a casa con un congedo definitivo. Nel 1925 fu operato per un ernia inguinale, e un po' dopo sul collo si formò una grossa cisti che dovette essere asportata. Un terzo intervento lo subì all'orecchio, si era formato un epitelioma, l'esame istologico eseguito a Roma disse che si trattava di una forma tumorale maligna. Dopo l'operazione padre Pio fu sottoposto a terapia radiologica, che ebbe successo, sembra, in sole due sedute[22] Nel 1956 fu colpito da una grave "pleurite essudativa", la malattia venne accertata radiologicamente dal professore Cataldo Cassano che estrasse personalmente il liquido sieroso dal corpo del Padre. Rimase a letto per 4 mesi consecutivi. Negli anni della vecchiaia il Padre fu tormentato dall'artrite e dall'artrosi.


Le ipertermie
Un fenomeno misterioso che si sarebbe manifestato nel corpo di Padre Pio furono le febbri alte. Tale evento sconcertò alcuni dei medici che in qualche modo si erano interessati alla sua salute. I primi ad osservarle furono i medici dell'ospedale militare di Napoli durante una visita di controllo. La febbre era così alta che il termometro clinico non era in grado di misurarla perché andava fuori scala.Il primo a misurare con esattezza il grado di temperatura della febbre di padre Pio fu un medico di Foggia, quando il frate era ospite di un convento del luogo e continuava a stare male. Il medico ricorse ad un termometro da bagno che registrò una temperatura di 48°. Lo studio scientifico di quelle febbri altissime fu ripreso dal dott. Giorgio Festa nel 1920. Aveva sentito parlare di quell'anomalia e riteneva il fenomeno impossibile. Incominciò a misurargli la temperatura con metodo, due volte al giorno, e diede ordine ai superiori del convento di fare altrettanto in sua assenza(il che senza dubbio suggerisce alcuni dubbi sulla validità di queste misurazioni). I risultati furono giorni in cui la temperatura era di 36,2°-36.5°, giorni in cui arrivava a 48°-48,5°. Il Padre quando era colto da temperature così elevate, appariva molto sofferente, ed agitato sul suo letto, ma senza delirio e senza comuni disturbi che di solito accompagnavano alterazioni febbrili notevoli. Dopo uno o due giorni tutto rientrava nel suo stato normale, e al terzo giorno lo si vedeva nuovamente nel confessionale. Il fenomeno da un punto di vista scientifico era inammissibile, temperature così elevate in una persona umana erano considerate come annunziatori di morte, ma nell'organismo di Padre Pio non solamente non avrebbero dato luogo ad alcun fatto secondario di qualsiasi gravità ma, al terzo giorno, il Padre tornava sereno e tranquillo. Occorre ricordare che già febbri superiori ai 42°C provocano danni cerebrali . La scienza medica considera quindi temperature corporee di 48°-48,5°C incompatibili con la vita umana. Va tuttavia sottolineata la possibilità, con degli artifizi, di procurare un improvviso e apparente aumento della temperatura comporea, a livello meramente locale.


Ricognizione canonica
Il 6 gennaio 2008 il vescovo Domenico D'Ambrosio annunciò durante la messa nel santuario di Santa Maria delle Grazie che nel mese di aprile 2008 il corpo di Padre Pio sarebbe stato riesumato per una ricognizione canonica con l'esposizione alla pubblica venerazione sino al mese di settembre 2008 in vista del quarantesimo anniversario della sua morte. Nella notte tra il 2 e 3 marzo 2008, è stata riaperta la bara che contiene le spoglie mortali di san Pio. Secondo le dichiarazioni dei presenti, alcune parti del corpo sono ben conservate dopo 40 anni dal decesso [29].


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