La dottrina dell'indulgenza è nata in ambito cristiano e si riferisce alla credenza nella possibilità di cancellare una parte ben precisa delle conseguenze di un peccato, dal peccatore che abbia confessato sinceramente il suo errore e sia stato perdonato tramite il sacramento della confessione. A seguito della riforma protestante, che contestò questa dottrina sostenendo che essa non abbia un fondamento nella Bibbia, rimase un uso prettamente cattolico.
L’indulgenza può essere parziale o plenaria cioè può liberare in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati; è attualmente disciplinata dai documenti Indulgentiarum doctrina e Manuale delle indulgenze.
Il Concilio di Trento usò grande rigore nel terminare gli abusi abolendo le questue e i quaestores di indulgenze. La pubblicazione di queste ultime fu riservata al vescovo e i due membri del Capitolo, da lui incaricati di ricevere le offerte spontanee dei fedeli, non potevano prelevare nessuna quota, anche minima, per loro. Dal XVI secolo ai giorni nostri il sistema delle indulgenze si andò semplificando e il Papato riuscì ad evitare gli abusi passati ponendo grande accento sulla necessità del pentimento, del perdono dato da Dio a seguito della confessione, del valore dell'indulgenza sulla sola pena temporale e della spontaneità delle offerte.
Ancora oggi l'indulgenza è in uso nella religione cattolica, che la considera una parte importante dell'economia della salvezza delle anime. L'indulgenza cancella gli effetti negativi di un peccato che sia stato sinceramente confessato con l'intento onesto di non ripeterlo ed aiuta il peccatore a fortificarsi moralmente e cambiare vita, eliminando da sé progressivamente il male interiore che dovrà ripudiare completamente.
La dottrina del tesoro della Chiesa resta in vigore, insegnando che il bene operato da alcuni (Gesù, Maria, i santi) torna a vantaggio di tutti. Secondo tale dottrina, il tesoro della Chiesa viene amministrato dalla stessa a beneficio di chi è in vita e per tramite dei vivi a beneficio delle anime dei defunti che stanno purificandosi nel Purgatorio. L'indulgenza chiesta dai vivi per i loro defunti aiuta la purificazione di chi in Purgatorio "attende" di essere ammesso in Paradiso. Questo è il nocciolo del dogma della comunione dei santi: le preghiere e le opere di bontà che tutti possono fare, valgono per tutti gli uomini, per tutte le anime e vanno a combattere il male che gli stessi uomini commettono.
Si chiama indulgenza plenaria quella che libera per intero dalla pena temporale dovuta per i peccati; indulgenza parziale quella che ne libera solo in parte. Un tempo ogni indulgenza parziale era accompagnata da un certo numero di giorni e di anni che ne specificava il valore: dicendo "100 giorni di indulgenza" si intendeva che quella indulgenza liberasse dalla pena che si sarebbe altrimenti dovuta scontare con 100 giorni di Purgatorio. In questo modo si introduceva un sistema troppo tecnico e automatico, che snaturava il concetto stesso di Purgatorio, di cui non è possibile indicare un luogo o una durata.
Oggi le indulgenze parziali non sono più distinte le une dalle altre e, per quanto riguarda il loro valore, "si è ritenuto stabilire che la remissione della pena temporale, che il fedele acquista con la sua azione, serva di misura per la remissione di pena che l'autorità ecclesiastica liberamente aggiunge con l'indulgenza parziale". Quindi compiendo un'opera buona a cui è annessa una indulgenza parziale, un fedele ottiene una remissione di pena per il bene stesso che ha compiuto e altrettanta remissione grazie all'indulgenza amministrata dalla Chiesa.
Per ottenere una indulgenza plenaria o parziale un cristiano, completamente distaccato dal peccato anche veniale, deve:
1)confessarsi, per ottenere il perdono dei peccati;
2)fare la comunione eucaristica, per essere spiritualmente unito a Cristo;
3)pregare secondo le intenzioni del Papa, per rafforzare il legame con la Chiesa;
4)compiere una delle opere buone a cui è annessa l'indulgenza. Alcune di queste opere ottengono una indulgenza plenaria, altre una indulgenza parziale.
Indulgenze plenarie ottenibili ogni giorno
Adorazione eucaristica, per almeno mezz'ora
Akathistos o Paraclisis
Lettura o ascolto della Sacra Scrittura, per almeno mezz'ora
Pio esercizio della Via Crucis
Rosario mariano
Visita in forma di pellegrinaggio alle basiliche patriarcali di Roma
Indulgenze plenarie concesse in determinati giorni
1 gennaio
Settimana per l'unità dei cristiani
Tutti i venerdì di Quaresima
Giovedì Santo
Venerdì Santo
Sabato Santo
Solennità di Pentecoste
Solennità del Corpo e Sangue di Cristo
Solennità del Sacro Cuore di Gesù
Solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo
2 agosto
Tutti i giorni dal l° fino all'8 novembre
Commemorazione di tutti i fedeli defunti
Solennità di Cristo Re
31 dicembre
Indulgenze plenarie concesse per circostanze particolari
Benedizione papale
Celebrazioni giubilari delle ordinazioni
Congresso eucaristico
Esercizi spirituali
Giornata universalmente dedicata a celebrare qualche fine religioso
Giorno anniversario del proprio battesimo
Giorno della consacrazione della famiglia
Giorno della dedicazione della chiesa o dell'altare
Giorno fissato per una chiesa stazionale
In punto di morte
Nella celebrazione liturgica del fondatore di Istituti di vita consacrata e di Società di vita apostolica
Nella solennità del titolare di una basilica minore, di una chiesa cattedrale, di un santuario, di una chiesa parrocchiale
Pellegrinaggio
Prima Comunione
Prima Messa
Processione eucaristica
Sacre missioni
Sinodo diocesano.
Una volta all'anno, in un giorno scelto liberamente
Visita pastorale
Tempo Ordinario
domenica 30 dicembre 2007
domenica 23 dicembre 2007
Natale 2007
Ogni anno tutti ci prepariamo per festeggiare il giorno di Natale: ci prepariamo a fare il cenone, compriamo i regali e aspettiamo Babbo Natale tutti felici e contenti. Ma dimentichiamo che questo giorno è dedicato alla nascita di Gesù Bambino, magari non andiamo a Messa e non ci ricordiamo nemmeno di fare una preghiera per salutare Dio che nasce in una stalla e non è accolto da nessuno perchè siamo intenti a mangiare al caldo, però mentre noi brindiamo c'è anche chi non festeggia perchè è solo, è povero, ammalato, isolato o dimenticato. Almeno ricordiamoci di Gesù che magari è quel povero che muore di freddo, quel vecchio ammalato che non festeggiano.
Andiamo in chiesa, salutiamo il Signore come facciamo gli auguri ai nostri cari e facciamogli compagnia per qualche minuto. Buone feste
I ministranti
Andiamo in chiesa, salutiamo il Signore come facciamo gli auguri ai nostri cari e facciamogli compagnia per qualche minuto. Buone feste
I ministranti
sabato 22 dicembre 2007
La data di nascita di Gesù
Non si conosce l'esatta data di nascita di Gesù, né l'anno, né il mese e il giorno.
La nascita di Gesù si festeggia il 25 dicembre, una data tradizionale scelta per motivi simbolici e teologici legati al significato che ha per i cristiani questo evento.
Il calcolo di Dionigi il Piccolo
Dionigi il Piccolo era un dotto monaco scita che viveva a Roma: circa nel 525 egli calcolò, in base alle indicazioni dei Vangeli e della tradizione, la data di nascita di Gesù, ponendola al 754 dalla fondazione di Roma; inoltre introdusse l'usanza di contare gli anni ab incarnatione Domini nostri Jesu Christi ("dall'incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo"). Questo calcolo fu approvato dal papa Giovanni II e, a partire dall'VIII secolo, adottato in tutto il mondo cristiano su impulso di studiosi come Beda il Venerabile. Questo calcolo viene tuttora utilizzato per la numerazione degli anni del calendario gregoriano, il calendario attualmente in uso nei paesi occidentali, sebbene è ormai fatto accertato che fosse sbagliato. Gesù infatti è nato con ogni probabilità tra il 7 e il 4 a.C., anno certo di morte di Erode il Grande, mandante della celebre "Strage degli innocenti".
Dionigi stabilisce quindi che l'anno di nascita di Gesù sia l'1 dopo Cristo, che corrisponde anche al LX anno consolare dall'elezione per la prima volta di Gaio Giulio Cesare a console; inoltre in base a questo conteggio l'anno 248 di Diocleziano (bisestile) corrispondeva all'anno 532 di Cristo.
È da sottolineare perciò come l'opinione comune che indica come anno di nascita di Gesù l'anno zero sia errata, in quanto lo zero non era conosciuto in Europa a quell'epoca. Dionigi infatti fece precedere immediatamente l'anno 1 dopo Cristo dall'1 avanti Cristo.
I Vangeli
I Vangeli non specificano l'anno di nascita di Gesù, ma forniscono alcune informazioni dalle quali si può tentare di estrapolare una data:
il Vangelo secondo Matteo afferma che Gesù nacque durante il regno di Erode il Grande (Matteo 2,1). Luca conferma in parte questa indicazione: afferma infatti che l'annuncio dell'arcangelo Gabriele a Zaccaria avvenne "al tempo di Erode" (Luca 1,5), ma non specifica se questi fosse ancora in vita al momento della nascita di Gesù, circa quindici mesi dopo.
Luca riferisce che Gesù nacque mentre Giuseppe e Maria si trovavano a Betlemme per partecipare a un censimento indetto dall'imperatore Augusto quando Quirinio era governatore della Siria (Luca 2,1-2).
Più avanti, Luca specifica che la predicazione di Giovanni il Battista iniziò nel quindicesimo anno di impero di Tiberio (l'anno 28 o, secondo altri, il 26) e che in quel momento Gesù aveva "circa trent'anni" (3,1;3,23).
Matteo aggiunge che i Magi osservarono la "stella" che li indusse a mettersi in cammino due anni prima del loro arrivo a Gerusalemme (Matteo 2,16). Alcuni ne deducono che Gesù sia nato almeno due anni prima della morte di Erode. Questa deduzione però è scarsamente fondata in quanto non vi è certezza che Gesù sia effettivamente nato in concomitanza con l'apparire della stella.
I vangeli di Marco e Giovanni, invece, non danno alcuna informazione sulla nascita di Gesù: essi infatti iniziano il racconto dalla predicazione di Giovanni Battista, con Gesù già adulto.
In base alle indicazioni fornite da Giuseppe Flavio, una parte degli storici collocano generalmente la morte di Erode nel 4 a.C.: questo è perciò ritenuto un terminus ante quem per la nascita di Gesù, vale a dire che non può essere nato dopo quell'anno. Anche per questo ne consegue che il calcolo di Dionigi il Piccolo non può essere corretto.
L'indicazione di Luca sul censimento solleva un'ulteriore problema rispetto a questa datazione: infatti risulta che Quirinio divenne governatore solo nel 6 d.C., dopo la deposizione di Archelao, e in quell'occasione bandì un censimento di cui riferisce Giuseppe Flavio. Tertulliano però riporta che l'imperatore Augusto aveva bandito un precedente censimento nel 7 a.C., quindi prima della morte di Erode. Probabilmente Luca, che scrive decenni più tardi, ha confuso le date dei due censimenti; oppure, secondo alcuni storici, Quirinio tenne il governatorato della Siria per due mandati non consecutivi, il primo dei quali coprì il censimento del 7 avanti Cristo. O ancora, secondo la recente ipotesi dei biblisti della scuola esegetica di Madrid, il passo di Luca sarebbe la traduzione errata di una presunta fonte in lingua aramaica, che parlava in realtà di un censimento precedente a quello di Quirinio.
La stella di Betlemme
Sono stati fatti diversi tentativi di identificare la "stella" vista dai Magi (Matteo 2,1-12) con un evento astronomico noto: questo consentirebbe di determinare con maggiore precisione la data della nascita di Gesù.
Il primo tentativo, in ordine di tempo, fu quello di identificare la "stella" con la cometa di Halley; essa tuttavia passò nel 12 a.C., il che sembra essere troppo presto. In tempi recenti è stato proposto che si sia trattato di un allineamento planetario: da questa ipotesi si ottiene una datazione compresa tra il 7 e il 6 a.C. Secondo altri potrebbe essere stata una nova: gli annali astronomici cinesi e coreani riportano un evento simile nel 5 a.C.
Giorno di nascita
Sul giorno di nascita i Vangeli forniscono una sola indicazione chiara:
Zaccaria ebbe la visione dell'arcangelo Gabriele mentre serviva nel Tempio di Gerusalemme durante il turno della classe sacerdotale di Abia, alla quale apparteneva (Luca 1,5;1,8). Gesù nacque circa 15 mesi dopo (sei mesi tra il concepimento di Giovanni e quello di Gesù (Luca 1,26) più nove mesi di gravidanza).
Conoscendo il calendario dei turni di servizio delle classi sacerdotali, ne potremmo ricavare con una certa precisione in che periodo dell'anno nacque Gesù. Alcuni studiosi, tuttavia, ritengono probabile che il turno di Zaccaria si sia svolto verso la fine di settembre[1][2]: Tra questi va ricordato lo studio di un docente ebreo dell'Università di Gerusalemme, il professor Shemarjahu Talmon, il quale nel 2003 è riuscito a calcolare l'esatto ordine cronologico di servizio al Tempio delle classi sacerdotali basandosi sui rotoli di Qumran. La classe di Abia, alla quale apparteneva Zaccaria, era in servizio nella seconda metà di settembre. Caso vuole che gli ortodossi festeggino ancor'oggi l'annuncio dell'arcangelo Gabriele a Zaccaria il 23 settembre. Prenderebbe forza, in questo caso, l'ipotesi che tale data possa essere stata tramandata da una tradizione antica e avere un fondamento reale.
Altri, però, osservano che la notte in cui nacque Gesù, vi erano dei pastori che custodivano il loro gregge all'aperto (Luca 2,18). È improbabile che ciò avvenisse durante l'inverno, quando le temperature a Betlemme sono piuttosto basse. In base a questo ragionamento, Gesù sarebbe probabilmente nato in un periodo più caldo dell'anno.
La presenza dei pastori può però essere letta diversamente: nel periodo autunnale ed invernale alla periferia delle città si trovavano i recinti di pecore. Con l'inizio dell'autunno finiscono i pascoli estivi, lontani dai centri urbani. L'erba dei territori vicino alle città è stata già falciata e fornirà il fieno che nutrirà il bestiame durante l'inverno. Inoltre tra settembre e marzo c'è il periodo di gestazione delle pecore che in marzo partoriranno i nuovi agnelli. Che all'epoca nella regione vi fosse sia il periodo dei pascoli montani e dell'ovile, in cui il bestiame confluisce alla fine del periodo estivo sembrerebbe riflesso in questo passo di Geremia: «Gregge di pecore sperdute era il mio popolo, i loro pastori le avevano sviate, le avevano fatte smarrire per i monti; esse andavano di monte in colle, avevano dimenticato il loro ovile» (Ger 50,6).
La presenza di pastori a Betlemme durante la stagione invernale e per il controllo del bestiame sia di giorno che di notte, per evitare aggressioni da parte di predatori, sia perché a Betlemme era convenuta molta gente per il censimento e quindi bisognava prevenire anche eventuali furti di bestiame potrebbe quindi non essere in contraddizione con la nascita di Gesù nel mese di dicembre.
La nascita di Gesù si festeggia il 25 dicembre, una data tradizionale scelta per motivi simbolici e teologici legati al significato che ha per i cristiani questo evento.
Il calcolo di Dionigi il Piccolo
Dionigi il Piccolo era un dotto monaco scita che viveva a Roma: circa nel 525 egli calcolò, in base alle indicazioni dei Vangeli e della tradizione, la data di nascita di Gesù, ponendola al 754 dalla fondazione di Roma; inoltre introdusse l'usanza di contare gli anni ab incarnatione Domini nostri Jesu Christi ("dall'incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo"). Questo calcolo fu approvato dal papa Giovanni II e, a partire dall'VIII secolo, adottato in tutto il mondo cristiano su impulso di studiosi come Beda il Venerabile. Questo calcolo viene tuttora utilizzato per la numerazione degli anni del calendario gregoriano, il calendario attualmente in uso nei paesi occidentali, sebbene è ormai fatto accertato che fosse sbagliato. Gesù infatti è nato con ogni probabilità tra il 7 e il 4 a.C., anno certo di morte di Erode il Grande, mandante della celebre "Strage degli innocenti".
Dionigi stabilisce quindi che l'anno di nascita di Gesù sia l'1 dopo Cristo, che corrisponde anche al LX anno consolare dall'elezione per la prima volta di Gaio Giulio Cesare a console; inoltre in base a questo conteggio l'anno 248 di Diocleziano (bisestile) corrispondeva all'anno 532 di Cristo.
È da sottolineare perciò come l'opinione comune che indica come anno di nascita di Gesù l'anno zero sia errata, in quanto lo zero non era conosciuto in Europa a quell'epoca. Dionigi infatti fece precedere immediatamente l'anno 1 dopo Cristo dall'1 avanti Cristo.
I Vangeli
I Vangeli non specificano l'anno di nascita di Gesù, ma forniscono alcune informazioni dalle quali si può tentare di estrapolare una data:
il Vangelo secondo Matteo afferma che Gesù nacque durante il regno di Erode il Grande (Matteo 2,1). Luca conferma in parte questa indicazione: afferma infatti che l'annuncio dell'arcangelo Gabriele a Zaccaria avvenne "al tempo di Erode" (Luca 1,5), ma non specifica se questi fosse ancora in vita al momento della nascita di Gesù, circa quindici mesi dopo.
Luca riferisce che Gesù nacque mentre Giuseppe e Maria si trovavano a Betlemme per partecipare a un censimento indetto dall'imperatore Augusto quando Quirinio era governatore della Siria (Luca 2,1-2).
Più avanti, Luca specifica che la predicazione di Giovanni il Battista iniziò nel quindicesimo anno di impero di Tiberio (l'anno 28 o, secondo altri, il 26) e che in quel momento Gesù aveva "circa trent'anni" (3,1;3,23).
Matteo aggiunge che i Magi osservarono la "stella" che li indusse a mettersi in cammino due anni prima del loro arrivo a Gerusalemme (Matteo 2,16). Alcuni ne deducono che Gesù sia nato almeno due anni prima della morte di Erode. Questa deduzione però è scarsamente fondata in quanto non vi è certezza che Gesù sia effettivamente nato in concomitanza con l'apparire della stella.
I vangeli di Marco e Giovanni, invece, non danno alcuna informazione sulla nascita di Gesù: essi infatti iniziano il racconto dalla predicazione di Giovanni Battista, con Gesù già adulto.
In base alle indicazioni fornite da Giuseppe Flavio, una parte degli storici collocano generalmente la morte di Erode nel 4 a.C.: questo è perciò ritenuto un terminus ante quem per la nascita di Gesù, vale a dire che non può essere nato dopo quell'anno. Anche per questo ne consegue che il calcolo di Dionigi il Piccolo non può essere corretto.
L'indicazione di Luca sul censimento solleva un'ulteriore problema rispetto a questa datazione: infatti risulta che Quirinio divenne governatore solo nel 6 d.C., dopo la deposizione di Archelao, e in quell'occasione bandì un censimento di cui riferisce Giuseppe Flavio. Tertulliano però riporta che l'imperatore Augusto aveva bandito un precedente censimento nel 7 a.C., quindi prima della morte di Erode. Probabilmente Luca, che scrive decenni più tardi, ha confuso le date dei due censimenti; oppure, secondo alcuni storici, Quirinio tenne il governatorato della Siria per due mandati non consecutivi, il primo dei quali coprì il censimento del 7 avanti Cristo. O ancora, secondo la recente ipotesi dei biblisti della scuola esegetica di Madrid, il passo di Luca sarebbe la traduzione errata di una presunta fonte in lingua aramaica, che parlava in realtà di un censimento precedente a quello di Quirinio.
La stella di Betlemme
Sono stati fatti diversi tentativi di identificare la "stella" vista dai Magi (Matteo 2,1-12) con un evento astronomico noto: questo consentirebbe di determinare con maggiore precisione la data della nascita di Gesù.
Il primo tentativo, in ordine di tempo, fu quello di identificare la "stella" con la cometa di Halley; essa tuttavia passò nel 12 a.C., il che sembra essere troppo presto. In tempi recenti è stato proposto che si sia trattato di un allineamento planetario: da questa ipotesi si ottiene una datazione compresa tra il 7 e il 6 a.C. Secondo altri potrebbe essere stata una nova: gli annali astronomici cinesi e coreani riportano un evento simile nel 5 a.C.
Giorno di nascita
Sul giorno di nascita i Vangeli forniscono una sola indicazione chiara:
Zaccaria ebbe la visione dell'arcangelo Gabriele mentre serviva nel Tempio di Gerusalemme durante il turno della classe sacerdotale di Abia, alla quale apparteneva (Luca 1,5;1,8). Gesù nacque circa 15 mesi dopo (sei mesi tra il concepimento di Giovanni e quello di Gesù (Luca 1,26) più nove mesi di gravidanza).
Conoscendo il calendario dei turni di servizio delle classi sacerdotali, ne potremmo ricavare con una certa precisione in che periodo dell'anno nacque Gesù. Alcuni studiosi, tuttavia, ritengono probabile che il turno di Zaccaria si sia svolto verso la fine di settembre[1][2]: Tra questi va ricordato lo studio di un docente ebreo dell'Università di Gerusalemme, il professor Shemarjahu Talmon, il quale nel 2003 è riuscito a calcolare l'esatto ordine cronologico di servizio al Tempio delle classi sacerdotali basandosi sui rotoli di Qumran. La classe di Abia, alla quale apparteneva Zaccaria, era in servizio nella seconda metà di settembre. Caso vuole che gli ortodossi festeggino ancor'oggi l'annuncio dell'arcangelo Gabriele a Zaccaria il 23 settembre. Prenderebbe forza, in questo caso, l'ipotesi che tale data possa essere stata tramandata da una tradizione antica e avere un fondamento reale.
Altri, però, osservano che la notte in cui nacque Gesù, vi erano dei pastori che custodivano il loro gregge all'aperto (Luca 2,18). È improbabile che ciò avvenisse durante l'inverno, quando le temperature a Betlemme sono piuttosto basse. In base a questo ragionamento, Gesù sarebbe probabilmente nato in un periodo più caldo dell'anno.
La presenza dei pastori può però essere letta diversamente: nel periodo autunnale ed invernale alla periferia delle città si trovavano i recinti di pecore. Con l'inizio dell'autunno finiscono i pascoli estivi, lontani dai centri urbani. L'erba dei territori vicino alle città è stata già falciata e fornirà il fieno che nutrirà il bestiame durante l'inverno. Inoltre tra settembre e marzo c'è il periodo di gestazione delle pecore che in marzo partoriranno i nuovi agnelli. Che all'epoca nella regione vi fosse sia il periodo dei pascoli montani e dell'ovile, in cui il bestiame confluisce alla fine del periodo estivo sembrerebbe riflesso in questo passo di Geremia: «Gregge di pecore sperdute era il mio popolo, i loro pastori le avevano sviate, le avevano fatte smarrire per i monti; esse andavano di monte in colle, avevano dimenticato il loro ovile» (Ger 50,6).
La presenza di pastori a Betlemme durante la stagione invernale e per il controllo del bestiame sia di giorno che di notte, per evitare aggressioni da parte di predatori, sia perché a Betlemme era convenuta molta gente per il censimento e quindi bisognava prevenire anche eventuali furti di bestiame potrebbe quindi non essere in contraddizione con la nascita di Gesù nel mese di dicembre.
domenica 16 dicembre 2007
Domenica Gaudete
L'espressione Domenica Gaudete indica, nel calendario liturgico della Chiesa Cattolica, la terza domenica di Avvento.
Essa può capitare in un giorno compreso tra l'11 e 17 dicembre a seconda della collocazione del Natale rispetto alla domenica.
Il termine Gaudete significa dal latino gioite, rallegratevi e compare nell'introito della Messa prevista per questa domenica:
« Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino. »
In questa domenica può essere utilizzato il colore liturgico rosa al posto del viola previsto per il periodo di avvento.
Un tempo questa domenica voleva essere per i fedeli una breve sosta nel cammino di penitenza che il tempo di avvento richiedeva, con la possibilità anche di interrompere il lungo digiuno. Il Rosa quindi, pur rimanendo legato al Viola della penitenza, era alleviato dal Bianco dell'imminente solennità del Natale.
Essa può capitare in un giorno compreso tra l'11 e 17 dicembre a seconda della collocazione del Natale rispetto alla domenica.
Il termine Gaudete significa dal latino gioite, rallegratevi e compare nell'introito della Messa prevista per questa domenica:
« Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino. »
In questa domenica può essere utilizzato il colore liturgico rosa al posto del viola previsto per il periodo di avvento.
Un tempo questa domenica voleva essere per i fedeli una breve sosta nel cammino di penitenza che il tempo di avvento richiedeva, con la possibilità anche di interrompere il lungo digiuno. Il Rosa quindi, pur rimanendo legato al Viola della penitenza, era alleviato dal Bianco dell'imminente solennità del Natale.
martedì 4 dicembre 2007
Il presepe
Il termine presepe (o più correttamente (notare le diverse voci dei dizionari) presepio) deriva dal latino praesaepe, cioè greppia, mangiatoia, composto da prae = innanzi e saepes = recinto, ovvero luogo che ha davanti un recinto. Nel significato comune il presepe indica la scena della nascita di Cristo, derivata dalle sacre rappresentazioni medievali.
Il presepe antico
Per comprendere il significato originario del presepe, occorre chiarire la figura del lari (lares familiares), profondamente radicata nella cultura etrusca e latina.
I larii erano gli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sul buon andamento della famiglia. Ogni antenato veniva rappresentato con una statuetta, di terracotta o di cera, chiamata sigillum (da signum = segno, effigie, immagine).
Le statuette venivano collocate in apposite nicchie e, in particolari occasioni, onorate con l'accensione di una fiammella.
In prossimità del Natale si svolgeva la festa detta Sigillaria (20 dicembre), durante la quale i parenti si scambiavano in dono i sigilla dei familiari defunti durante l'anno.
In attesa del Natale, il compito dei bimbi delle famiglie riunite nella casa patriarcale, era di lucidare le statuette e disporle, secondo la loro fantasia, in un piccolo recinto nel quale si rappresentava un ambiente bucolico in miniatura.
Nella vigilia del Natale, dinnanzi al recinto del presepe, la famiglia si riuniva per invocare la protezione degli avi e lasciare ciotole con cibo e vino.
Il mattino seguente, al posto delle ciotole, i bambini trovavano giocattoli e dolci, "portati" dai loro trapassati nonni e bisnonni.
Dopo l'assunzione del potere nell'impero (IV secolo), in pochi secoli i cristiani tramutarono le feste tradizionali in feste cristiane, mantenendone i riti e le date, ma mutando i nomi ed i significati religiosi.
Essendo una tradizione molto antica e particolarmente sentita (perché rivolta al ricordo dei familiari defunti), il presepe sopravvisse nella cultura rurale con il significato originario almeno fino al XV secolo e, in alcune regioni italiane, ben oltre.
Il presepe moderno
La sacra Famiglia: San Giuseppe, la Madonna e il BambinoSolitamente questa locuzione viene usata per la ricostruzione tradizionale della natività di Gesù Cristo durante il periodo natalizio.
Si riproducono tutti i personaggi e i posti della tradizione, dalla grotta alle stelle, dai Re Magi ai pastori, dal bue e l'asinello agli agnelli, e così via.
La rappresentazione può essere sia vivente che iconografica.
I presepi popolari più conosciuti sono quelli di San Gregorio Armeno a Napoli.
Evoluzione del presepe moderno
Il presepio di Piazza di Spagna a Roma La tradizione, tutta italiana, del Presepe risale all'epoca di San Francesco d'Assisi che nel 1223 realizzò a Greccio la prima rappresentazione vivente della Natività. Sebbene esistessero anche precedentemente immagini e rappresentazioni della nascita del Cristo, queste non erano altro che "sacre rappresentazioni" delle varie liturgie celebrate nel periodo medievale.
Il primo presepe scolpito a tutto tondo di cui si ha notizia è quello realizzato da Arnolfo di Cambio fra il 1290 e il 1292. Le statue rimanenti si trovano nel Museo Liberiano della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Nel XV secolo si diffuse l'usanza di collocare nelle chiese grandi statue permanenti, tradizione che si diffuse anche per tutto il XVI secolo. Uno dei più antichi, tuttora esistenti, è il presepe monumentale della Basilica di Santo Stefano a Bologna, che viene allestito ogni anno per Natale.
Dal XVII secolo il presepe iniziò a diffondersi anche nelle case dei nobili sotto forma di "soprammobili" o di vere e proprie cappelle in miniatura anche grazie all'invito del papa durante il Concilio di Trento poiché ammirava la sua capacità di trasmettere la fede in modo semplice e vicino al sentire popolare. Nel XVIII secolo, addirittura, a Napoli si scatenò una vera e propria competizione fra famiglie su chi possedeva il presepe più bello e sfarzoso: i nobili impegnavano per la loro realizzazione intere camere dei loro appartamenti ricoprendo le statue di capi finissimi di tessuti pregiati e scintillanti gioielli autentici. Nello stesso secolo a Bologna, altra città italiana che vanta un'antica tradizione presepistica, venne istituita la Fiera di Santa Lucia quale mercato annuale delle statuine prodotte dagli artigiani locali, che viene ripetuta ogni anno, ancora oggi, dopo oltre due secoli.
Con i secoli successivi il presepe occupò anche gli appartamenti dei borghesi e del popolino, ovviamente in maniera meno appariscente, resistendo fino ai giorni nostri.
Attualmente, si vanno diffondendo anche i presepi meccanici, con movimento sincronizzato dei personaggi. Ecco alcuni esempi:
Presepe meccanico di San Pietro del Gallo (Cuneo)
Presepe meccanico di Vecchiazzano (Forlì)
Presepe meccanico di Pallerone (Aulla).
Simbologia e origine delle ambientazioni
Natività
Questa scena - ricavata a nicchia da un più vasto presepe di ambientazione genovese fra Seicento e Settecento - ha in sé una singolare autocitazione: raffigura, infatti, un gruppo di popolane intente a vendere materiali per realizzare presepi
Il Presepe, come gran parte dell'arte sacra, è una rappresentazione che utilizza largamente simboli per trasmettere il messaggio della Natività. Per questo, nei personaggi e nelle ambientazioni, attinge largamente anche ai Vangeli apocrifi e da arcane tradizioni dimenticate. I Vangeli canonici infatti parlano della natività in modo molto vago tralasciando molti particolari scenografici.
Tanto per citarne alcuni, il bue a l'asinello, simboli immancabili di ogni presepe, derivano da un'antica profezia di Isaia che dice "Il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l'asino la greppia del suo padrone". Sebbene Isaia non si riferisse assolutamente alla nascita del Cristo, l'immagine dei due animali venne utilizzata comunque come simbolo degli ebrei (rappresentati dal bue) e dei pagani (rappresentati dall'asino).
Anche la stalla o la grotta in cui Maria e Giuseppe avrebbero dato alla luce il Messia non compare nei Vangeli canonici: sebbene Luca citi i pastori e la mangiatoia, nessuno dei quattro evangelisti parla esplicitamente di una grotta o di una stalla. Anche quest'informazione arriva dai Vangeli apocrifi. Tuttavia, l'immagine della grotta è un ricorrente simbolo mistico e religioso per molti popoli soprattutto del settore mediorientale: del resto si credeva che anche Mitra, una divinità persiana venerata anche tra i soldati romani, fosse nato in una grotta il 25 dicembre.
I Re Magi, invece, derivano dal Vangelo dell'infanzia armeno. In particolare, questo vangelo colma le lacune che invece Matteo non risolve, ovvero il numero e il nome di questi sapienti orientali: il vangelo in questione fa i nomi di tre sacerdoti persiani: Melkon, Gaspar e Balthasar, anche se non manca chi vede in essi un persiano (recante in dono oro), un arabo meridionale (recante l'incenso) e un etiope (recante la mirra).
Così i re magi entrarono nel presepe, sia incarnando le ambientazioni esotiche sia come simbolo delle tre popolazioni del mondo allora conosciuto, ovvero Europa, Asia e Africa.
Tuttavia, alcuni aspetti derivano da tradizioni molto più recenti. Il presepe napoletano, per esempio, aggiunge alla scena molti personaggi popolari, osterie, commercianti e case tipiche dei borghi agricoli, tutti elementi palesemente anacronistici. Questa è comunque una caratteristica di tutta l'arte sacra, che, almeno fino al XX secolo, ha sempre rappresentato gli episodi della vita di Cristo con costumi ed ambientazioni contemporanee all'epoca di realizzazione dell'opera. Nel presepe bolognese, invece, vengono aggiunti alcuni personaggi tipici, la Meraviglia, il Dormiglione e, di recente, la Curiosa.
Il presepe antico
Per comprendere il significato originario del presepe, occorre chiarire la figura del lari (lares familiares), profondamente radicata nella cultura etrusca e latina.
I larii erano gli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sul buon andamento della famiglia. Ogni antenato veniva rappresentato con una statuetta, di terracotta o di cera, chiamata sigillum (da signum = segno, effigie, immagine).
Le statuette venivano collocate in apposite nicchie e, in particolari occasioni, onorate con l'accensione di una fiammella.
In prossimità del Natale si svolgeva la festa detta Sigillaria (20 dicembre), durante la quale i parenti si scambiavano in dono i sigilla dei familiari defunti durante l'anno.
In attesa del Natale, il compito dei bimbi delle famiglie riunite nella casa patriarcale, era di lucidare le statuette e disporle, secondo la loro fantasia, in un piccolo recinto nel quale si rappresentava un ambiente bucolico in miniatura.
Nella vigilia del Natale, dinnanzi al recinto del presepe, la famiglia si riuniva per invocare la protezione degli avi e lasciare ciotole con cibo e vino.
Il mattino seguente, al posto delle ciotole, i bambini trovavano giocattoli e dolci, "portati" dai loro trapassati nonni e bisnonni.
Dopo l'assunzione del potere nell'impero (IV secolo), in pochi secoli i cristiani tramutarono le feste tradizionali in feste cristiane, mantenendone i riti e le date, ma mutando i nomi ed i significati religiosi.
Essendo una tradizione molto antica e particolarmente sentita (perché rivolta al ricordo dei familiari defunti), il presepe sopravvisse nella cultura rurale con il significato originario almeno fino al XV secolo e, in alcune regioni italiane, ben oltre.
Il presepe moderno
La sacra Famiglia: San Giuseppe, la Madonna e il BambinoSolitamente questa locuzione viene usata per la ricostruzione tradizionale della natività di Gesù Cristo durante il periodo natalizio.
Si riproducono tutti i personaggi e i posti della tradizione, dalla grotta alle stelle, dai Re Magi ai pastori, dal bue e l'asinello agli agnelli, e così via.
La rappresentazione può essere sia vivente che iconografica.
I presepi popolari più conosciuti sono quelli di San Gregorio Armeno a Napoli.
Evoluzione del presepe moderno
Il presepio di Piazza di Spagna a Roma La tradizione, tutta italiana, del Presepe risale all'epoca di San Francesco d'Assisi che nel 1223 realizzò a Greccio la prima rappresentazione vivente della Natività. Sebbene esistessero anche precedentemente immagini e rappresentazioni della nascita del Cristo, queste non erano altro che "sacre rappresentazioni" delle varie liturgie celebrate nel periodo medievale.
Il primo presepe scolpito a tutto tondo di cui si ha notizia è quello realizzato da Arnolfo di Cambio fra il 1290 e il 1292. Le statue rimanenti si trovano nel Museo Liberiano della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Nel XV secolo si diffuse l'usanza di collocare nelle chiese grandi statue permanenti, tradizione che si diffuse anche per tutto il XVI secolo. Uno dei più antichi, tuttora esistenti, è il presepe monumentale della Basilica di Santo Stefano a Bologna, che viene allestito ogni anno per Natale.
Dal XVII secolo il presepe iniziò a diffondersi anche nelle case dei nobili sotto forma di "soprammobili" o di vere e proprie cappelle in miniatura anche grazie all'invito del papa durante il Concilio di Trento poiché ammirava la sua capacità di trasmettere la fede in modo semplice e vicino al sentire popolare. Nel XVIII secolo, addirittura, a Napoli si scatenò una vera e propria competizione fra famiglie su chi possedeva il presepe più bello e sfarzoso: i nobili impegnavano per la loro realizzazione intere camere dei loro appartamenti ricoprendo le statue di capi finissimi di tessuti pregiati e scintillanti gioielli autentici. Nello stesso secolo a Bologna, altra città italiana che vanta un'antica tradizione presepistica, venne istituita la Fiera di Santa Lucia quale mercato annuale delle statuine prodotte dagli artigiani locali, che viene ripetuta ogni anno, ancora oggi, dopo oltre due secoli.
Con i secoli successivi il presepe occupò anche gli appartamenti dei borghesi e del popolino, ovviamente in maniera meno appariscente, resistendo fino ai giorni nostri.
Attualmente, si vanno diffondendo anche i presepi meccanici, con movimento sincronizzato dei personaggi. Ecco alcuni esempi:
Presepe meccanico di San Pietro del Gallo (Cuneo)
Presepe meccanico di Vecchiazzano (Forlì)
Presepe meccanico di Pallerone (Aulla).
Simbologia e origine delle ambientazioni
Natività
Questa scena - ricavata a nicchia da un più vasto presepe di ambientazione genovese fra Seicento e Settecento - ha in sé una singolare autocitazione: raffigura, infatti, un gruppo di popolane intente a vendere materiali per realizzare presepi
Il Presepe, come gran parte dell'arte sacra, è una rappresentazione che utilizza largamente simboli per trasmettere il messaggio della Natività. Per questo, nei personaggi e nelle ambientazioni, attinge largamente anche ai Vangeli apocrifi e da arcane tradizioni dimenticate. I Vangeli canonici infatti parlano della natività in modo molto vago tralasciando molti particolari scenografici.
Tanto per citarne alcuni, il bue a l'asinello, simboli immancabili di ogni presepe, derivano da un'antica profezia di Isaia che dice "Il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l'asino la greppia del suo padrone". Sebbene Isaia non si riferisse assolutamente alla nascita del Cristo, l'immagine dei due animali venne utilizzata comunque come simbolo degli ebrei (rappresentati dal bue) e dei pagani (rappresentati dall'asino).
Anche la stalla o la grotta in cui Maria e Giuseppe avrebbero dato alla luce il Messia non compare nei Vangeli canonici: sebbene Luca citi i pastori e la mangiatoia, nessuno dei quattro evangelisti parla esplicitamente di una grotta o di una stalla. Anche quest'informazione arriva dai Vangeli apocrifi. Tuttavia, l'immagine della grotta è un ricorrente simbolo mistico e religioso per molti popoli soprattutto del settore mediorientale: del resto si credeva che anche Mitra, una divinità persiana venerata anche tra i soldati romani, fosse nato in una grotta il 25 dicembre.
I Re Magi, invece, derivano dal Vangelo dell'infanzia armeno. In particolare, questo vangelo colma le lacune che invece Matteo non risolve, ovvero il numero e il nome di questi sapienti orientali: il vangelo in questione fa i nomi di tre sacerdoti persiani: Melkon, Gaspar e Balthasar, anche se non manca chi vede in essi un persiano (recante in dono oro), un arabo meridionale (recante l'incenso) e un etiope (recante la mirra).
Così i re magi entrarono nel presepe, sia incarnando le ambientazioni esotiche sia come simbolo delle tre popolazioni del mondo allora conosciuto, ovvero Europa, Asia e Africa.
Tuttavia, alcuni aspetti derivano da tradizioni molto più recenti. Il presepe napoletano, per esempio, aggiunge alla scena molti personaggi popolari, osterie, commercianti e case tipiche dei borghi agricoli, tutti elementi palesemente anacronistici. Questa è comunque una caratteristica di tutta l'arte sacra, che, almeno fino al XX secolo, ha sempre rappresentato gli episodi della vita di Cristo con costumi ed ambientazioni contemporanee all'epoca di realizzazione dell'opera. Nel presepe bolognese, invece, vengono aggiunti alcuni personaggi tipici, la Meraviglia, il Dormiglione e, di recente, la Curiosa.
Storia e significato del dogma dell'Immacolata Concezione
Per comprendere come si è giunti alla definizione del dogma dell'Immacolata Concezione non si può partire dalla Scrittura, ma occorre collocarsi nel contesto della fede ecclesiale, quello che definiamo sensus fidei, che ha un ruolo determinante anche nei primi dogmi mariani, ma che ha un ruolo preponderante nel caso specifico dello sviluppo del dogma dell'Immacolata.
Quando parliamo di sensus fidei, intendiamo quella capacità, che è propria di tutto il popolo fedele, di sviluppare le virtualità contenute in un dato rivelato. È quanto Gesù affermava che ci sarebbe stato concesso con il dono dello Spirito: «Vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,13). Il Concilio vede concorrere nel sensus fidei tre elementi fondamentali: la riflessione dei fedeli, l'esperienza spirituale, la predicazione dei vescovi (Dei Verbum 8). Sono proprio questi gli elementi che emergono nella lunga storia del dogma dell'Immacolata.
L'influsso prioritario della fede popolare
È un fatto che la fede popolare nell'Immacolata Concezione della Vergine precede la riflessione teologica e il Magistero, che come sappiamo si pronuncia definitivamente nel 1854. Come si esprime questa fede popolare? Bisogna ricorrere a indicazioni di ordine diverso.
Una prima indicazione viene dal Protovangelo di Giacomo (II sec.), un vangelo apocrifo che, nello stile fantasioso che gli è proprio, rappresenta la prima presa di coscienza intuitiva della santità perfetta e originale di Maria fin dalla sua concezione. Nella polemica pelagiana sia Agostino che i suoi oppositori sembrano, a proposito di Maria, influenzati dalla pietà popolare. Nel De natura e gratia Agostino riferisce, ad esempio, un'espressione di Giuliano di Eclano († 454) che lui stesso condivide: «la pietà impone di riconoscere Maria senza peccato». Sappiamo che l'opinione di Agostino circa l'Immacolata Concezione, tuttavia, è negativa a causa del principio dell'assoluta necessità della redenzione per tutti gli uomini. Nella posizione agostiniana, negativa per motivi teologici circa l'Immacolata Concezione ma rispettosa della pietà popolare, si intravede un contrasto fra dottrina dei colti e intuito del popolo che si risolverà con la vittoria di quest'ultimo.
Nell' XI sec. abbiamo la testimonianza di un teologo, Eadmero († 1134) che difende la fede popolare rispetto alla scienza dei dotti. Nel 1435, durante il concilio di Basilea, il canonico Giovanni di Romiroy si appella alla devozione popolare per indurre i padri conciliari a porre fine alla controversia circa l'Immacolata Concezione per non scandalizzare il popolo cristiano che si sente offeso quando sente affermare che Maria è stata macchiata dalla colpa originale.
Nel corso dei secoli la fede popolare si conferma a favore dell'Immacolata Concezione nonostante l'opposizione di una parte della teologia. È del XVII sec. la testimonianza di un oppositore dell'Immacolata Concezione, Melchior Cano, il quale rivendica ai teologi non al popolo la facoltà di discernere tale verità. Egli afferma che se ciò spettasse al popolo la questione sarebbe già risolta a favore dell'Immacolata Concezione. In questo stesso secolo nascono diverse confraternite sotto il titolo dell'Immacolata Concezione e diverse espressioni artistiche. Un fatto singolare è il cosiddetto «voto del sangue». In alcune università nasce l'iniziativa di fare voto di difendere tale verità fino all'effusione del sangue.
Alfonso Maria de Liguori († 1787) affermerà che esistono due motivi che garantiscono la verità di questa dottrina: il consenso dei fedeli e la celebrazione universale della festa dell'Immacolata. A incentivare il senso dei fedeli concorsero alcuni fattori, quali la predicazione popolare, soprattutto dei Francescani, alcuni catechismi, alcune apparizioni mariane, non ultima quella di rue du Bac (1830) a santa Caterina Labourè, e, soprattutto l'introduzione della festa dell'Immacolata nell'Italia meridionale fin dal IX sec., universalmente dal 1708. Questa pietà popolare svolse un ruolo efficace nella storia del dogma, vincendo le difficoltà teologiche e contribuendo a determinare quel factum ecclesiae, cioè la realtà viva della prassi ecclesiale a cui si richiamerà Pio IX come primo motivo della definizione dogmatica.
Il ruolo illuminante della teologia
Quale fu il ruolo della teologia nello sviluppo del dogma? Non certo quello trainante, ma quello altrettanto importante di «controllo» della fede popolare. Si trattava infatti di armonizzare la fede popolare con l'insieme dei dati rivelati dando a questa verità una formulazione teologica corretta.
È inutile cercare nella patristica riferimenti espliciti all'Immacolata Concezione della Vergine.
Tuttavia, l'elaborazione della figura morale di Maria, la convinzione unanime della sua santità ed esenzione da peccati attuali, è il terreno su cui poteva sbocciare l'idea dell'Immacolata Concezione.
Per i Padri orientali Maria è la «Panaghia», la tutta santa, santificata dallo Spirito Santo. In occidente l'esplicitazione della dottrina sull'Immacolata è dovuta a Pelagio († 422) e a Giuliano di Eclano, tuttavia si tratta di una formulazione non armonizzata con gli altri dati della fede. Il caso di Maria appariva un caso di autosalvezza, sganciata dall'unica salvezza di Cristo.
Agostino, pur volendo mantenere Maria lontana quando si tratta di peccato, non può ammettere alcuna salvezza al di fuori di Cristo. Riconduce, pertanto, Maria all'alveo della condizione umana inficiata dalla colpa originale e bisognosa di redenzione affermando che ella sarebbe stata concepita nel peccato per esserne poi subito liberata. Indubbiamente il riferimento alla redenzione è il tema centrale con cui dovrà confrontarsi, d'ora in avanti, la verità dell'Immacolata Concezione. O questa è un caso di salvezza operata da Cristo o è inaccettabile.
L'esigenza di non sganciare Maria dalla redenzione di Cristo indusse teologi medievali quali Anselmo di Canterbury († 1109), Bernardo di Chiaravalle († 1153), Alberto Magno († 1280), Tommaso d'Aquino († 1274), Bonaventura da Bagnoregio († 1274) ad affermare che Maria venne purificata dal peccato originale in cui era stata concepita.
Solo mediante l'attiva riflessione di alcuni teologi si è spianata la strada verso l'affermazione dell'Immacolata Concezione della Vergine quale effetto dell'azione salvifica di Cristo. Il primo ad affermare senza equivoci che Maria è esente da ogni peccato originale è Pascasio Radberto († 865), ma il primo teologo dell'Immacolata è Eadmero († 1134), discepolo di Anselmo di Canterbury. Egli ritiene conveniente alla Madre di Cristo tale condizione e afferma che Dio «poteva, voleva e la fece» immacolata, nonostante sia nata nella nostra natura umana decaduta. Egli parla, come il suo maestro Anselmo, di redenzione anticipata non ancora di redenzione preservativa.
Questo concetto fu elaborato in forma completa dal francescano Giovanni Duns Scoto († 1308). Per Scoto l'Immacolata Concezione non è un'eccezione alla redenzione di Cristo, ma un caso di perfetta e più efficace azione salvifica dell'unico mediatore. Ella fu preservata dal peccato da Cristo. Ella è, in realtà, il caso più perfetto di salvezza operata da Cristo. La precisazione di Scoto è decisiva nello sviluppo della dottrina circa l'Immacolata Concezione e, man mano, si diffonde fra i teologi.
L'intervento del Magistero
Globalmente va affermato che il Magistero ha posto delle pietre miliari lungo il cammino di chiarificazione di tale dottrina.
* Sisto IV († 1484) proibì a macolisti e immacolisti di accusarsi vicendevolmente di eresia e adottò ufficialmente per Roma la festa della Concezione e ne approvò il nuovo formulario in cui era già chiaramente espresso il privilegio mariano.
* Il Concilio di Trento (1546), senza definire l'Immacolata Concezione dichiarò, tuttavia, di non voler includere Maria nel peccato originale.
* Alessandro VII (1661) si dichiara favorevole all'Immacolata Concezione e vieta di attaccarla sotto qualunque forma.
* Clemente XI (1708) contribuisce alla fede nell'Immacolata Concezione estendendone la festaalla Chiesa universale.
Questi interventi magisteriali trovano il loro punto di arrivo nella proclamazione del dogma da parte del beato Pio IX nel 1854.
Quale fu l'iter seguito dal Papa?
* Nel 1848 istituisce una commissione teologica per studiare ancora questa verità e, soprattutto, esprimersi sulla possibilità di definire il dogma. Non tutti furono d'accordo sull'opportunità della definizione. Antonio Rosmini suggerì al Papa di interrogare tutti i vescovi.
* L'anno successivo, infatti, il Papa pubblica l'enciclica Ubi primum in cui chiede a tutti i vescovi di esprimersi sulla definibilità del dogma. La risposta fu amplissimamente favorevole.
* L' 8 dicembre 1854 il Papa proclama il dogma con la bolla Ineffabilis Deus. La formula della definizione è la seguente: «...Dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina la quale ritiene che la beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare privilegio di Dio onnipotente ed in vista dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, sia stata preservata immune da ogni macchia della colpa originale, è rivelata da Dio e perciò da credersi fermamente e costantemente da tutti i fedeli».
Possiamo notare che la definizione è elaborata in forma negativa: non riguarda direttamente la santità di Maria, né la sua preservazione dalla concupiscenza, ma unicamente la sua immunità dal peccato originale. La bolla suppone, ma non definisce che Maria è redenta da Cristo, limitandosi adaffermare la dipendenza assoluta da Lui.
Fondamenti biblici
Abbiamo detto giustamente che non si può partire dai fondamenti biblici. Ora, però è necessario ritornare alla Scrittura, perché una verità di fede deve avere un solido fondamento nella Scrittura.
La bolla Ineffabilis Deus riferendosi alla Scrittura non la legge direttamente, ma fa riferimento, continuamente, alla Scrittura commentata dai Padri e Scrittori ecclesiastici. L'argomento biblico, pertanto, non risulta a sé stante, ma è conglobato nella tradizione. Leggiamo, ad esempio, «la dottrina dell'immacolata concezione... a giudizio dei padri è contenuta nella sacra Scrittura».
Ma quali sono questi brani scritturistici letti nella tradizione?
Dell'Antico Testamento si richiama anzitutto Gn 3,15: «Porrò inimicizia fra te e la donna». Dal protovangelo si passa alle figure bibliche maggiormente ricorrenti nei padri, quindi ai testi sapienziali letti nella liturgia, a numerosi scritti dei profeti.
Del Nuovo Testamento è dato speciale risalto a Lc 1,28: «Piena di grazia» e a Lc 1,42: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo».
La Ineffabilis Deus insegna che la Scrittura, se letta con gli occhi della Chiesa, rivela una pienezza di senso che non emerge dalla semplice formulazione del testo, cioè della sola lettera.
La Scrittura contiene germi di cui la Chiesa, guidata dallo Spirito, ha man mano svelato il senso fino a giungere a maturare la propria fede nell'immacolata concezione della Vergine.
Quando parliamo di sensus fidei, intendiamo quella capacità, che è propria di tutto il popolo fedele, di sviluppare le virtualità contenute in un dato rivelato. È quanto Gesù affermava che ci sarebbe stato concesso con il dono dello Spirito: «Vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,13). Il Concilio vede concorrere nel sensus fidei tre elementi fondamentali: la riflessione dei fedeli, l'esperienza spirituale, la predicazione dei vescovi (Dei Verbum 8). Sono proprio questi gli elementi che emergono nella lunga storia del dogma dell'Immacolata.
L'influsso prioritario della fede popolare
È un fatto che la fede popolare nell'Immacolata Concezione della Vergine precede la riflessione teologica e il Magistero, che come sappiamo si pronuncia definitivamente nel 1854. Come si esprime questa fede popolare? Bisogna ricorrere a indicazioni di ordine diverso.
Una prima indicazione viene dal Protovangelo di Giacomo (II sec.), un vangelo apocrifo che, nello stile fantasioso che gli è proprio, rappresenta la prima presa di coscienza intuitiva della santità perfetta e originale di Maria fin dalla sua concezione. Nella polemica pelagiana sia Agostino che i suoi oppositori sembrano, a proposito di Maria, influenzati dalla pietà popolare. Nel De natura e gratia Agostino riferisce, ad esempio, un'espressione di Giuliano di Eclano († 454) che lui stesso condivide: «la pietà impone di riconoscere Maria senza peccato». Sappiamo che l'opinione di Agostino circa l'Immacolata Concezione, tuttavia, è negativa a causa del principio dell'assoluta necessità della redenzione per tutti gli uomini. Nella posizione agostiniana, negativa per motivi teologici circa l'Immacolata Concezione ma rispettosa della pietà popolare, si intravede un contrasto fra dottrina dei colti e intuito del popolo che si risolverà con la vittoria di quest'ultimo.
Nell' XI sec. abbiamo la testimonianza di un teologo, Eadmero († 1134) che difende la fede popolare rispetto alla scienza dei dotti. Nel 1435, durante il concilio di Basilea, il canonico Giovanni di Romiroy si appella alla devozione popolare per indurre i padri conciliari a porre fine alla controversia circa l'Immacolata Concezione per non scandalizzare il popolo cristiano che si sente offeso quando sente affermare che Maria è stata macchiata dalla colpa originale.
Nel corso dei secoli la fede popolare si conferma a favore dell'Immacolata Concezione nonostante l'opposizione di una parte della teologia. È del XVII sec. la testimonianza di un oppositore dell'Immacolata Concezione, Melchior Cano, il quale rivendica ai teologi non al popolo la facoltà di discernere tale verità. Egli afferma che se ciò spettasse al popolo la questione sarebbe già risolta a favore dell'Immacolata Concezione. In questo stesso secolo nascono diverse confraternite sotto il titolo dell'Immacolata Concezione e diverse espressioni artistiche. Un fatto singolare è il cosiddetto «voto del sangue». In alcune università nasce l'iniziativa di fare voto di difendere tale verità fino all'effusione del sangue.
Alfonso Maria de Liguori († 1787) affermerà che esistono due motivi che garantiscono la verità di questa dottrina: il consenso dei fedeli e la celebrazione universale della festa dell'Immacolata. A incentivare il senso dei fedeli concorsero alcuni fattori, quali la predicazione popolare, soprattutto dei Francescani, alcuni catechismi, alcune apparizioni mariane, non ultima quella di rue du Bac (1830) a santa Caterina Labourè, e, soprattutto l'introduzione della festa dell'Immacolata nell'Italia meridionale fin dal IX sec., universalmente dal 1708. Questa pietà popolare svolse un ruolo efficace nella storia del dogma, vincendo le difficoltà teologiche e contribuendo a determinare quel factum ecclesiae, cioè la realtà viva della prassi ecclesiale a cui si richiamerà Pio IX come primo motivo della definizione dogmatica.
Il ruolo illuminante della teologia
Quale fu il ruolo della teologia nello sviluppo del dogma? Non certo quello trainante, ma quello altrettanto importante di «controllo» della fede popolare. Si trattava infatti di armonizzare la fede popolare con l'insieme dei dati rivelati dando a questa verità una formulazione teologica corretta.
È inutile cercare nella patristica riferimenti espliciti all'Immacolata Concezione della Vergine.
Tuttavia, l'elaborazione della figura morale di Maria, la convinzione unanime della sua santità ed esenzione da peccati attuali, è il terreno su cui poteva sbocciare l'idea dell'Immacolata Concezione.
Per i Padri orientali Maria è la «Panaghia», la tutta santa, santificata dallo Spirito Santo. In occidente l'esplicitazione della dottrina sull'Immacolata è dovuta a Pelagio († 422) e a Giuliano di Eclano, tuttavia si tratta di una formulazione non armonizzata con gli altri dati della fede. Il caso di Maria appariva un caso di autosalvezza, sganciata dall'unica salvezza di Cristo.
Agostino, pur volendo mantenere Maria lontana quando si tratta di peccato, non può ammettere alcuna salvezza al di fuori di Cristo. Riconduce, pertanto, Maria all'alveo della condizione umana inficiata dalla colpa originale e bisognosa di redenzione affermando che ella sarebbe stata concepita nel peccato per esserne poi subito liberata. Indubbiamente il riferimento alla redenzione è il tema centrale con cui dovrà confrontarsi, d'ora in avanti, la verità dell'Immacolata Concezione. O questa è un caso di salvezza operata da Cristo o è inaccettabile.
L'esigenza di non sganciare Maria dalla redenzione di Cristo indusse teologi medievali quali Anselmo di Canterbury († 1109), Bernardo di Chiaravalle († 1153), Alberto Magno († 1280), Tommaso d'Aquino († 1274), Bonaventura da Bagnoregio († 1274) ad affermare che Maria venne purificata dal peccato originale in cui era stata concepita.
Solo mediante l'attiva riflessione di alcuni teologi si è spianata la strada verso l'affermazione dell'Immacolata Concezione della Vergine quale effetto dell'azione salvifica di Cristo. Il primo ad affermare senza equivoci che Maria è esente da ogni peccato originale è Pascasio Radberto († 865), ma il primo teologo dell'Immacolata è Eadmero († 1134), discepolo di Anselmo di Canterbury. Egli ritiene conveniente alla Madre di Cristo tale condizione e afferma che Dio «poteva, voleva e la fece» immacolata, nonostante sia nata nella nostra natura umana decaduta. Egli parla, come il suo maestro Anselmo, di redenzione anticipata non ancora di redenzione preservativa.
Questo concetto fu elaborato in forma completa dal francescano Giovanni Duns Scoto († 1308). Per Scoto l'Immacolata Concezione non è un'eccezione alla redenzione di Cristo, ma un caso di perfetta e più efficace azione salvifica dell'unico mediatore. Ella fu preservata dal peccato da Cristo. Ella è, in realtà, il caso più perfetto di salvezza operata da Cristo. La precisazione di Scoto è decisiva nello sviluppo della dottrina circa l'Immacolata Concezione e, man mano, si diffonde fra i teologi.
L'intervento del Magistero
Globalmente va affermato che il Magistero ha posto delle pietre miliari lungo il cammino di chiarificazione di tale dottrina.
* Sisto IV († 1484) proibì a macolisti e immacolisti di accusarsi vicendevolmente di eresia e adottò ufficialmente per Roma la festa della Concezione e ne approvò il nuovo formulario in cui era già chiaramente espresso il privilegio mariano.
* Il Concilio di Trento (1546), senza definire l'Immacolata Concezione dichiarò, tuttavia, di non voler includere Maria nel peccato originale.
* Alessandro VII (1661) si dichiara favorevole all'Immacolata Concezione e vieta di attaccarla sotto qualunque forma.
* Clemente XI (1708) contribuisce alla fede nell'Immacolata Concezione estendendone la festaalla Chiesa universale.
Questi interventi magisteriali trovano il loro punto di arrivo nella proclamazione del dogma da parte del beato Pio IX nel 1854.
Quale fu l'iter seguito dal Papa?
* Nel 1848 istituisce una commissione teologica per studiare ancora questa verità e, soprattutto, esprimersi sulla possibilità di definire il dogma. Non tutti furono d'accordo sull'opportunità della definizione. Antonio Rosmini suggerì al Papa di interrogare tutti i vescovi.
* L'anno successivo, infatti, il Papa pubblica l'enciclica Ubi primum in cui chiede a tutti i vescovi di esprimersi sulla definibilità del dogma. La risposta fu amplissimamente favorevole.
* L' 8 dicembre 1854 il Papa proclama il dogma con la bolla Ineffabilis Deus. La formula della definizione è la seguente: «...Dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina la quale ritiene che la beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare privilegio di Dio onnipotente ed in vista dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, sia stata preservata immune da ogni macchia della colpa originale, è rivelata da Dio e perciò da credersi fermamente e costantemente da tutti i fedeli».
Possiamo notare che la definizione è elaborata in forma negativa: non riguarda direttamente la santità di Maria, né la sua preservazione dalla concupiscenza, ma unicamente la sua immunità dal peccato originale. La bolla suppone, ma non definisce che Maria è redenta da Cristo, limitandosi adaffermare la dipendenza assoluta da Lui.
Fondamenti biblici
Abbiamo detto giustamente che non si può partire dai fondamenti biblici. Ora, però è necessario ritornare alla Scrittura, perché una verità di fede deve avere un solido fondamento nella Scrittura.
La bolla Ineffabilis Deus riferendosi alla Scrittura non la legge direttamente, ma fa riferimento, continuamente, alla Scrittura commentata dai Padri e Scrittori ecclesiastici. L'argomento biblico, pertanto, non risulta a sé stante, ma è conglobato nella tradizione. Leggiamo, ad esempio, «la dottrina dell'immacolata concezione... a giudizio dei padri è contenuta nella sacra Scrittura».
Ma quali sono questi brani scritturistici letti nella tradizione?
Dell'Antico Testamento si richiama anzitutto Gn 3,15: «Porrò inimicizia fra te e la donna». Dal protovangelo si passa alle figure bibliche maggiormente ricorrenti nei padri, quindi ai testi sapienziali letti nella liturgia, a numerosi scritti dei profeti.
Del Nuovo Testamento è dato speciale risalto a Lc 1,28: «Piena di grazia» e a Lc 1,42: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo».
La Ineffabilis Deus insegna che la Scrittura, se letta con gli occhi della Chiesa, rivela una pienezza di senso che non emerge dalla semplice formulazione del testo, cioè della sola lettera.
La Scrittura contiene germi di cui la Chiesa, guidata dallo Spirito, ha man mano svelato il senso fino a giungere a maturare la propria fede nell'immacolata concezione della Vergine.
domenica 25 novembre 2007
IL TEMPO DI AVVENTO
Nel tempo in cui incomincia a determinarsi l'esigenza di un periodo di preparazione alle feste della manifestazione del Signore, la Chiesa aveva già fissato le modalità di preparazione alle feste pasquali. Nel IV secolo il tempo pasquale e quaresimale avevano già assunto una configurazione vicinissima a quella attuale.
L'origine del tempo di Avvento è più tardiva, infatti viene individuata tra il IV e il VI secolo. La prima celebrazione del Natale a Roma è del 336, ed è proprio verso la fine del IV secolo che si riscontra in Gallia e in Spagna un periodo di preparazione alla festa del Natale.
Per quanto la prima festa di Natale sia stata celebrata a Roma, qui si verifica un tempo di preparazione solo a partire dal VI secolo. Senz'altro non desta meraviglia il fatto che l'Avvento nasca con una configurazione simile alla quaresima, infatti la celebrazione del Natale fin dalle origini venne concepita come la celebrazione della risurrezione di Cristo nel giorno in cui si fa memoria della sua nascita. Nel 380 il concilio di Saragozza impose la partecipazione continua dei fedeli agli incontri comunitari compresi tra il 17 dicembre e il 6 gennaio.
In seguito verranno dedicate sei settimane di preparazione alle celebrazioni natalizie. In questo periodo, come in quaresima, alcuni giorni vengono caratterizzati dal digiuno. Tale arco di tempo fu chiamato "quaresima di s. Martino", poiché il digiuno iniziava l'11 novembre. Di ciò è testimone s. Gregorio di Tours, intorno al VI secolo.
La teologia dell'Avvento ruota attorno a due prospettive principali. Da una parte con il termine "adventus" (= venuta, arrivo) si è inteso indicare l'anniversario della prima venuta del Signore; d'altra parte designa la seconda venuta alla fine dei tempi.
Il Tempo di Avvento ha quindi una doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all'attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi.
Il Tempo di Avvento comincia dai primi Vespri della domenica che capita il 30 novembre o è la più vicina a questa data, e termina prima dei primi Vespri di Natale. E' caratterizzato da un duplice itinerario - domenicale e feriale - scandito dalla proclamazione della parola di Dio.
1. Le domeniche
Le letture del Vangelo hanno nelle singole domeniche una loro caratteristica propria: si riferiscono alla venuta del Signore alla fine dei tempi (I domenica), a Giovanni Battista (Il e III domenica); agli antefatti immediati della nascita del Signore (IV domenica). Le letture dell'Antico Testamento sono profezie sul Messia e sul tempo messianico, tratte soprattutto dal libro di Isaia. Le letture dell'Apostolo contengono esortazioni e annunzi, in armonia con le caratteristiche di questo tempo.
2. Le ferie
Si ha una duplice serie di letture: una dall'inizio dell'Avvento fino al 16 dicembre, l'altra dal 17 al 24. Nella prima parte dell'Avvento si legge il libro di Isaia, secondo l'ordine del libro stesso, non esclusi i testi di maggior rilievo, che ricorrono anche in domenica. La scelta dei Vangeli di questi giorni è stata fatta in riferimento alla prima lettura. Dal giovedì della seconda settimana cominciano le letture del Vangelo su Giovanni Battista; la prima lettura è invece o continuazione del libro di Isaia, o un altro testo, scelto in riferimento al Vangelo. Nell'ultima settimana prima del Natale, si leggono brani del Vangelo di Matteo (cap. 1) e di Luca (cap. 1) che propongono il racconto degli eventi che precedettero immediatamente la nascita del Signore. Per la prima lettura sono stati scelti, in riferimento al Vangelo, testi vari dell'Antico Testamento, tra cui alcune profezie messianiche di notevole importanza.
Come si è appena visto, il tempo di Avvento guida il cristiano attraverso un duplice itinerario: "È tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all'attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi" (Norme per l'anno liturgico e il calendario, 39: Messale p. LVI). Nella liturgia delle prime tre domeniche e nelle ferie sino al 16 dicembre si può notare l'insistenza sul tema della seconda venuta di Gesù alla fine dei tempi, mentre nei giorni compresi tra il 17 e il 24 tutta la liturgia è ormai tesa verso la celebrazione della nascita del Figlio di Dio. La novena di Natale cade pienamente nel secondo periodo dell'Avvento.
Le novene sono celebrazioni popolari che nell'arco dei secoli hanno affiancato le "liturgie ufficiali". Esse sono annoverate nel grande elenco dei "pii esercizi". "I pii esercizi - afferma J. Castellano - si sono sviluppati nella pietà occidentale del medioevo e dell'epoca moderna per coltivare il senso della fede e della devozione verso il Signore, la Vergine, i santi, in un momento in cui il popolo rimaneva lontano dalle sorgenti della bibbia e della liturgia o in cui, comunque, queste sorgenti rimanevano chiuse e non nutrivano la vita del popolo cristiano".
La novena di Natale, pur non essendo "preghiera ufficiale" della Chiesa, costituisce un momento molto significativo nella vita delle nostre comunità cristiane. Proprio perché non è una preghiera ufficiale essa può essere realizzata secondo diverse usanze, ma un indiscusso "primato" spetta alla novena tradizionale, nella notissima melodia gregoriana nata sul testo latino ma diffusa anche nella versione italiana curata dai monaci benedettini di Subiaco.
La domanda che ogni operatore pastorale dovrebbe porsi di anno in anno è: "come posso valorizzare la novena di Natale per il cammino di fede della mia comunità?".
Può infatti capitare che tale novena continui a conservare intatta la caratteristica di "popolarità" venendo però a mancare la dimensione ecclesiale, celebrativa e spirituale. Tali dimensioni vanno recuperate e valorizzate per non far scadere la novena in "fervorino pre-natalizio".
1. Recupero della dimensione ecclesiale-assembleare
Pur non essendo - come si è detto - una preghiera ufficiale della Chiesa, la novena può costituire un momento ecclesiale molto significativo. Molti vi partecipano perché "attratti" dalla "novena in latino" (le chiese in cui la si canta in "lingua ufficiale" sono gremite!) e vi si recano per una forma di godimento personale che pone radici nella nostalgia dei tempi passati e non nel desiderio di condividere un momento di approfondimento della propria fede. È bene che i partecipanti prendano coscienza che sono radunati per una celebrazione che ha lo scopo di preparare il cuore del cristiano a vivere degnamente la celebrazione del Natale.
2. Recupero della dimensione celebrativa
La novena di Natale è molto vicina alla celebrazione dei vespri. Va pertanto realizzata attraverso una saggia utilizzazione dei simboli della preghiera serale: la luce e l'incenso. È bene che vi sia una proclamazione della parola e una breve riflessione. L'intervento in canto dell'assemblea va preparato e guidato. È utile ricordare che l'esposizione del SS. Sacramento col solo scopo di impartire la benedizione eucaristica - usanza frequente nelle novene di Natale - è vietata (Rito del culto eucaristico n. 97).
3. Recupero della dimensione spirituale
La novena di natale è una "antologia biblica" ricca di nutrimento per lo spirito. È quindi l'occasione per proporre non una spiritualità devozionale ma ispirata profondamente dalla Parola di Dio. Non è l'occasione per fare "bel canto" ma per lasciarsi coinvolgere esistenzialmente dalla Parola di Dio cantata.
L'origine del tempo di Avvento è più tardiva, infatti viene individuata tra il IV e il VI secolo. La prima celebrazione del Natale a Roma è del 336, ed è proprio verso la fine del IV secolo che si riscontra in Gallia e in Spagna un periodo di preparazione alla festa del Natale.
Per quanto la prima festa di Natale sia stata celebrata a Roma, qui si verifica un tempo di preparazione solo a partire dal VI secolo. Senz'altro non desta meraviglia il fatto che l'Avvento nasca con una configurazione simile alla quaresima, infatti la celebrazione del Natale fin dalle origini venne concepita come la celebrazione della risurrezione di Cristo nel giorno in cui si fa memoria della sua nascita. Nel 380 il concilio di Saragozza impose la partecipazione continua dei fedeli agli incontri comunitari compresi tra il 17 dicembre e il 6 gennaio.
In seguito verranno dedicate sei settimane di preparazione alle celebrazioni natalizie. In questo periodo, come in quaresima, alcuni giorni vengono caratterizzati dal digiuno. Tale arco di tempo fu chiamato "quaresima di s. Martino", poiché il digiuno iniziava l'11 novembre. Di ciò è testimone s. Gregorio di Tours, intorno al VI secolo.
La teologia dell'Avvento ruota attorno a due prospettive principali. Da una parte con il termine "adventus" (= venuta, arrivo) si è inteso indicare l'anniversario della prima venuta del Signore; d'altra parte designa la seconda venuta alla fine dei tempi.
Il Tempo di Avvento ha quindi una doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all'attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi.
Il Tempo di Avvento comincia dai primi Vespri della domenica che capita il 30 novembre o è la più vicina a questa data, e termina prima dei primi Vespri di Natale. E' caratterizzato da un duplice itinerario - domenicale e feriale - scandito dalla proclamazione della parola di Dio.
1. Le domeniche
Le letture del Vangelo hanno nelle singole domeniche una loro caratteristica propria: si riferiscono alla venuta del Signore alla fine dei tempi (I domenica), a Giovanni Battista (Il e III domenica); agli antefatti immediati della nascita del Signore (IV domenica). Le letture dell'Antico Testamento sono profezie sul Messia e sul tempo messianico, tratte soprattutto dal libro di Isaia. Le letture dell'Apostolo contengono esortazioni e annunzi, in armonia con le caratteristiche di questo tempo.
2. Le ferie
Si ha una duplice serie di letture: una dall'inizio dell'Avvento fino al 16 dicembre, l'altra dal 17 al 24. Nella prima parte dell'Avvento si legge il libro di Isaia, secondo l'ordine del libro stesso, non esclusi i testi di maggior rilievo, che ricorrono anche in domenica. La scelta dei Vangeli di questi giorni è stata fatta in riferimento alla prima lettura. Dal giovedì della seconda settimana cominciano le letture del Vangelo su Giovanni Battista; la prima lettura è invece o continuazione del libro di Isaia, o un altro testo, scelto in riferimento al Vangelo. Nell'ultima settimana prima del Natale, si leggono brani del Vangelo di Matteo (cap. 1) e di Luca (cap. 1) che propongono il racconto degli eventi che precedettero immediatamente la nascita del Signore. Per la prima lettura sono stati scelti, in riferimento al Vangelo, testi vari dell'Antico Testamento, tra cui alcune profezie messianiche di notevole importanza.
Come si è appena visto, il tempo di Avvento guida il cristiano attraverso un duplice itinerario: "È tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all'attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi" (Norme per l'anno liturgico e il calendario, 39: Messale p. LVI). Nella liturgia delle prime tre domeniche e nelle ferie sino al 16 dicembre si può notare l'insistenza sul tema della seconda venuta di Gesù alla fine dei tempi, mentre nei giorni compresi tra il 17 e il 24 tutta la liturgia è ormai tesa verso la celebrazione della nascita del Figlio di Dio. La novena di Natale cade pienamente nel secondo periodo dell'Avvento.
Le novene sono celebrazioni popolari che nell'arco dei secoli hanno affiancato le "liturgie ufficiali". Esse sono annoverate nel grande elenco dei "pii esercizi". "I pii esercizi - afferma J. Castellano - si sono sviluppati nella pietà occidentale del medioevo e dell'epoca moderna per coltivare il senso della fede e della devozione verso il Signore, la Vergine, i santi, in un momento in cui il popolo rimaneva lontano dalle sorgenti della bibbia e della liturgia o in cui, comunque, queste sorgenti rimanevano chiuse e non nutrivano la vita del popolo cristiano".
La novena di Natale, pur non essendo "preghiera ufficiale" della Chiesa, costituisce un momento molto significativo nella vita delle nostre comunità cristiane. Proprio perché non è una preghiera ufficiale essa può essere realizzata secondo diverse usanze, ma un indiscusso "primato" spetta alla novena tradizionale, nella notissima melodia gregoriana nata sul testo latino ma diffusa anche nella versione italiana curata dai monaci benedettini di Subiaco.
La domanda che ogni operatore pastorale dovrebbe porsi di anno in anno è: "come posso valorizzare la novena di Natale per il cammino di fede della mia comunità?".
Può infatti capitare che tale novena continui a conservare intatta la caratteristica di "popolarità" venendo però a mancare la dimensione ecclesiale, celebrativa e spirituale. Tali dimensioni vanno recuperate e valorizzate per non far scadere la novena in "fervorino pre-natalizio".
1. Recupero della dimensione ecclesiale-assembleare
Pur non essendo - come si è detto - una preghiera ufficiale della Chiesa, la novena può costituire un momento ecclesiale molto significativo. Molti vi partecipano perché "attratti" dalla "novena in latino" (le chiese in cui la si canta in "lingua ufficiale" sono gremite!) e vi si recano per una forma di godimento personale che pone radici nella nostalgia dei tempi passati e non nel desiderio di condividere un momento di approfondimento della propria fede. È bene che i partecipanti prendano coscienza che sono radunati per una celebrazione che ha lo scopo di preparare il cuore del cristiano a vivere degnamente la celebrazione del Natale.
2. Recupero della dimensione celebrativa
La novena di Natale è molto vicina alla celebrazione dei vespri. Va pertanto realizzata attraverso una saggia utilizzazione dei simboli della preghiera serale: la luce e l'incenso. È bene che vi sia una proclamazione della parola e una breve riflessione. L'intervento in canto dell'assemblea va preparato e guidato. È utile ricordare che l'esposizione del SS. Sacramento col solo scopo di impartire la benedizione eucaristica - usanza frequente nelle novene di Natale - è vietata (Rito del culto eucaristico n. 97).
3. Recupero della dimensione spirituale
La novena di natale è una "antologia biblica" ricca di nutrimento per lo spirito. È quindi l'occasione per proporre non una spiritualità devozionale ma ispirata profondamente dalla Parola di Dio. Non è l'occasione per fare "bel canto" ma per lasciarsi coinvolgere esistenzialmente dalla Parola di Dio cantata.
venerdì 23 novembre 2007
La Giornata Nazionale della Colletta Alimentare
"Banco Alimentare" è una rete di organizzazioni senza scopo di lucro che ha come finalità la raccolta delle eccedenze di produzione, agricole e dell'industria specialmente alimentare e la redistribuzione delle stesse ad Enti ed iniziative di aiuto ai poveri ed agli emarginati.
La Fondazione Banco Alimentare Onlus raccoglie le eccedenze alimentari e le ridistribuisce ad Enti ed iniziative che, in Italia, si occupano di assistenza e di aiuto ai poveri ed agli emarginati.
Per questo si pone al servizio, da un lato, delle aziende del settore che abbiano problemi di stock ed eccedenze perfettamente commestibili e, dall'altro, delle Associazioni ed Enti assistenziali che distribuiscono ai propri assistiti pasti o generi alimentari in via continuativa.
La rete Banco Alimentare è allora il tramite ideale perché l'eventuale "spreco" della filiera agro-alimentare diventi ricchezza per gli enti assistenziali che ogni giorno, con impegno e dedizione, accolgono i più poveri tra noi.
La Giornata Nazionale della Colletta Alimentare nasce come un gesto di condivisione dei bisogni a livello popolare: i volontari invitano le persone che stanno per fare la spesa al supermercato ad acquistare alcuni generi alimentari di prima necessità per offrirli a chi ne ha bisogno.
Nella storia di "Banco Alimentare" in Europa, questo evento nasce nel 1987 in Francia, per poi propagarsi ulteriormente negli altri Paesi europei dove esiste "Banco Alimentare".
In Italia questa esperienza inizia nel 1997 con un primo risultato di 1.600 tonnellate, per arrivare dopo 10 anni a 8.422 tonnellate di alimenti raccolti. Il giorno è, ogni anno, l'ultimo sabato di novembre, essendo questa la scadenza abituale concordata con la Fédération Européenne des Banques Alimentaires.
giovedì 22 novembre 2007
L'ANNO LITURGICO
Per parlare di anno liturgico è importante precisare i due termini: Anno e Liturgico.
L'anno è lo svolgersi del tempo. I vari giorni, momenti, mesi costituiscono l'anno.
Liturgico deriva da "Liturgia" servizio cultuale da rendere a Dio. La Liturgia è il culto della chiesa (del popolo di Dio); culto significa un insieme di gesti che esprimono sentimenti ed atteggiamenti profondi.
Ma per comprenderci meglio diciamo che l'anno liturgico è la celbrazione nel tempo (celebrazione = fare con gesti ciò che noi pensiamo o viviamo) di tutto il mistero della salvezza portata da Cristo, è il celebrare la vita di Cristo, con al centro , momento fondante ed importantissimo <>. Allora l'anno liturgico è un insieme di feste, cioè giorni caratterizzati da una celebrazione liturgica di determinati avvenimenti della vita di Cristo.
L'anno liturgico non è scandito a mesi ma a periodi distinti tra loro da uno speciale rapporto con diversi momenti del mistero di Cristo e della Chiesa.
Si hanno pertanto 5 periodi in ordine progressivo: Avvento e Natale. Quaresima e Pasqua. Tempo ordinario.
Importante è sottolineare che questi periodi sono veramente un aiuto datoci per poter comprendere e vivere sempre meglio l'incontro con il Signore.
La nostra vita di adulti e di giovani non ci può far accettare una fede superficiale ed abitudinaria. Bisogna che riusciamo a "Personalizzare", (come si fa con un amico) il rapporto con Dio e in particolare co Gesù Cristo. L'anno liturgico, le varie feste, i vari "ricordi" della vita di Gesù ha giusto significato.
Avvento
L'avvento è un tempo di preparazione ed ha in se due caratteristiche:
1° Ricorda la prima venuta del Figlio di Dio nell'umiltà della grotta di Betlemme.
2° Preannuncia la sua seconda venuta nella gloria.
Natale
Il natale è il tempo in cui meditiamo e guardiamo con gioia Dio che si è fatto uomo, bambino in Gesù.
Ammiriamo anche le sua prime manifestazioni (nell'Epifania si manifesta a tutto il mondo per mezzo e nel simbolo dei 3 Magi; la presentazione al Tempio etc...
Proprio in questo momento comprendiamo che Lui è venuto per salvarci.
A questo punto incontriamo anche Maria come Madre di Dio.
E' importante per noi la figura di Maria perchè ci è di esempio.
Quaresima
La Quaresima è un periodo che è aperto e in funzione della Pasqua, specialmente della veglia di Pasqua che si fa la notte del Sabato Santo.
E' un periodo di preparazione, di impegno, di conversione cioè di cambiamento di qualcosa della nostra vita.
Gesù va incontro alla morte, ne è consapevole di ciò, ma lo fa per noi, perchè noi riusciamo a salvarci e ad essere felici.
Parò vuole che noi facciamo qualcosa, proprio perchè ci vuole suoi collaboratori. Allora è in questo periodo che una volta i catecumeni (coloro che ricevevano il Battesimo la notte di Pasqua) si preparavano con la penitenza, con i digiuni, e assieme a loro tutti coloro che erano peccatori. E' il tempo in cui l'impegno nostro di migliorare deve farsi più forte perchè possiamo diventare con Gesù uomini nuovi, felici, che non hanno più paura di niente.
Pasqua
La Pasqua è il vertice dell'anno liturgico: è il punto centrale della salvezza dell'umanità. Si celebra la Resurrezione di Gesù e la sua glorificazione (Ascenzione). E' il momento nel quale celebriamo la distruzione del peccato della paura e della morte e della vittoria vera della vita. E' pasquale anche la Pentecoste: Gesù continua la sua presenza nel mondo e nella storia grazie allo Spirito Santo che è dato in dono a coloro che credono in Lui.
Con il dono dello Spirito Santo prende sviluppo la Chiesa che si offre al mondo e diventa annunziatrice di Gesù a tutti gli uomini.
Tempo Ordinario
E' un lungo periodo diviso in due tappe:
la prima si trova tra Natale e Quaresima;
la seconda, più ampia, da Pentecoste all'Avvento.
Si celebra globalmente il mistero di Cristo, ripreso ed approfondito nei suoi aspetti.
Si comprende meglio e si riflette sul suo messaggio e sul messaggio che Lui da ai suoi amici.
Sono 33-34 settimane e aiutano i credenti a vivere il messaggio di Gesù nella vita di ogni giorno.
L'anno è lo svolgersi del tempo. I vari giorni, momenti, mesi costituiscono l'anno.
Liturgico deriva da "Liturgia" servizio cultuale da rendere a Dio. La Liturgia è il culto della chiesa (del popolo di Dio); culto significa un insieme di gesti che esprimono sentimenti ed atteggiamenti profondi.
Ma per comprenderci meglio diciamo che l'anno liturgico è la celbrazione nel tempo (celebrazione = fare con gesti ciò che noi pensiamo o viviamo) di tutto il mistero della salvezza portata da Cristo, è il celebrare la vita di Cristo, con al centro , momento fondante ed importantissimo <
L'anno liturgico non è scandito a mesi ma a periodi distinti tra loro da uno speciale rapporto con diversi momenti del mistero di Cristo e della Chiesa.
Si hanno pertanto 5 periodi in ordine progressivo: Avvento e Natale. Quaresima e Pasqua. Tempo ordinario.
Importante è sottolineare che questi periodi sono veramente un aiuto datoci per poter comprendere e vivere sempre meglio l'incontro con il Signore.
La nostra vita di adulti e di giovani non ci può far accettare una fede superficiale ed abitudinaria. Bisogna che riusciamo a "Personalizzare", (come si fa con un amico) il rapporto con Dio e in particolare co Gesù Cristo. L'anno liturgico, le varie feste, i vari "ricordi" della vita di Gesù ha giusto significato.
Avvento
L'avvento è un tempo di preparazione ed ha in se due caratteristiche:
1° Ricorda la prima venuta del Figlio di Dio nell'umiltà della grotta di Betlemme.
2° Preannuncia la sua seconda venuta nella gloria.
Natale
Il natale è il tempo in cui meditiamo e guardiamo con gioia Dio che si è fatto uomo, bambino in Gesù.
Ammiriamo anche le sua prime manifestazioni (nell'Epifania si manifesta a tutto il mondo per mezzo e nel simbolo dei 3 Magi; la presentazione al Tempio etc...
Proprio in questo momento comprendiamo che Lui è venuto per salvarci.
A questo punto incontriamo anche Maria come Madre di Dio.
E' importante per noi la figura di Maria perchè ci è di esempio.
Quaresima
La Quaresima è un periodo che è aperto e in funzione della Pasqua, specialmente della veglia di Pasqua che si fa la notte del Sabato Santo.
E' un periodo di preparazione, di impegno, di conversione cioè di cambiamento di qualcosa della nostra vita.
Gesù va incontro alla morte, ne è consapevole di ciò, ma lo fa per noi, perchè noi riusciamo a salvarci e ad essere felici.
Parò vuole che noi facciamo qualcosa, proprio perchè ci vuole suoi collaboratori. Allora è in questo periodo che una volta i catecumeni (coloro che ricevevano il Battesimo la notte di Pasqua) si preparavano con la penitenza, con i digiuni, e assieme a loro tutti coloro che erano peccatori. E' il tempo in cui l'impegno nostro di migliorare deve farsi più forte perchè possiamo diventare con Gesù uomini nuovi, felici, che non hanno più paura di niente.
Pasqua
La Pasqua è il vertice dell'anno liturgico: è il punto centrale della salvezza dell'umanità. Si celebra la Resurrezione di Gesù e la sua glorificazione (Ascenzione). E' il momento nel quale celebriamo la distruzione del peccato della paura e della morte e della vittoria vera della vita. E' pasquale anche la Pentecoste: Gesù continua la sua presenza nel mondo e nella storia grazie allo Spirito Santo che è dato in dono a coloro che credono in Lui.
Con il dono dello Spirito Santo prende sviluppo la Chiesa che si offre al mondo e diventa annunziatrice di Gesù a tutti gli uomini.
Tempo Ordinario
E' un lungo periodo diviso in due tappe:
la prima si trova tra Natale e Quaresima;
la seconda, più ampia, da Pentecoste all'Avvento.
Si celebra globalmente il mistero di Cristo, ripreso ed approfondito nei suoi aspetti.
Si comprende meglio e si riflette sul suo messaggio e sul messaggio che Lui da ai suoi amici.
Sono 33-34 settimane e aiutano i credenti a vivere il messaggio di Gesù nella vita di ogni giorno.
lunedì 19 novembre 2007
PREGHIERA DEL CHIERICHETTO
Signore Gesù,
l'amore che vogliamo a Te
non sia fatto di belle parole
ma di fatti concreti,
di scelte coraggiose
vissute giorno per giorno
in attenzione ai tuoi esempi,
alla tua Parola.
Rendici ragazzi generosi
che sanno donarsi con gioia.
Rendici ragazzi semplici e poveri
che sanno aver bisogno degli altri.
Rendici ragazzi aperti
che sanno ascoltare gli altri
e capire le loro esigenze.
Signore, donaci la capacità
di non rifiutare mai
il servizio che ci viene richiesto.
Donaci la gioia di vedere contenti
quelli che ci stanno vicino.
Donaci un cuore grande come il tuo
che sa dimenticare
le offese ricevute.
Aiutaci a vivere
come Tu ci hai insegnato.
Amen.
l'amore che vogliamo a Te
non sia fatto di belle parole
ma di fatti concreti,
di scelte coraggiose
vissute giorno per giorno
in attenzione ai tuoi esempi,
alla tua Parola.
Rendici ragazzi generosi
che sanno donarsi con gioia.
Rendici ragazzi semplici e poveri
che sanno aver bisogno degli altri.
Rendici ragazzi aperti
che sanno ascoltare gli altri
e capire le loro esigenze.
Signore, donaci la capacità
di non rifiutare mai
il servizio che ci viene richiesto.
Donaci la gioia di vedere contenti
quelli che ci stanno vicino.
Donaci un cuore grande come il tuo
che sa dimenticare
le offese ricevute.
Aiutaci a vivere
come Tu ci hai insegnato.
Amen.
venerdì 16 novembre 2007
Cosa vuol dire servire ?
Il servire nella Chiesa non è collegato ad uno stipendio, ad un benessere che si può raggiungere: servire nella Chiesa significa seguire l'esempio di Gesù. Servire significa in un certo senso dare la vita come Gesù che “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Marco 10,45). Oggi, forse, nessuno ci chiede di dare la vita fisicamente... ma non è forse dare la vita anche sacrificare un pò del proprio tempo o imparare ad amare l'amico che non ci sta simpatico...?
La Chiesa, cioè noi tutti battezzati, è chiamata ad “avere in sé gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Filippesi 2,5). In Gesù abbiamo la figura del servo fedele, capace di fare della sua vita un dono d'amore a Dio e ai fratelli. “Vi ho dato l'esempio perché come ho fatto io facciate anche voi” (Giovanni 13,15): siamo chiamati a fare anche noi della nostra vita un capolavoro d'amore, perché nell'amore (quello vero) sta il senso di tutto. E l'amore è anche servizio concreto, pensato, fatto con i muscoli e non solo di belle parole…
All'interno della Chiesa c'è anche una forma particolare di servizio, quello liturgico. Esso ha alcuni aspetti particolari che occorre chiarire affinchè questo servizio sia un segno per gli altri:
• Uno spirito di servizio: se scorriamo le pagine dei vangeli ci accorgiamo che tutto ciò che fa Gesù è intriso di amore, un esempio concreto di servizio lo vediamo quando lava i piedi ai discepoli (Gv 13,1-17). Questo spirito di servizio è disponibilità, generosità, capacità di amare gli altri che sono un riflesso dell'amore di Dio per me. Dio è amore (1Giovanni 4,16): siamo chiamati allora a vivere la vita sul ritmo di Dio, certi che c'è più gioia nel dare che nel ricevere (Atti 20,35)
• Se lo stile è quello dell'amore allora al primo posto non c'è la quantità ma qualità. Non conta ciò che si fa o non si fa, ma lo spirito con cui si fa. Non importa il ruolo che si compie ma la certezza che nulla è piccolo di ciò che è fatto per amore.
• Se c'è questo spirito di servizio allora non si scade nell'esibizionismo, ma c'è la certezza che anche la sola presenza è un segno per gli altri. Un segno che dice gioia, magari, o capacità di donare qualcosa, fosse anche solo un po' del proprio tempo…
• Se tutti poi viviamo con questo spirito di servizio d'amore allora faremo a gara nel rispettarci a vicenda e sapremo che ciascuno di noi è una nota di una grande melodia che Dio va scrivendo. Una nota stonata rovina la melodia e non fa vedere la bellezza della nota stessa. Sta a noi allora vivere a ritmo di dono...
• Infine vivere questo stile vuol dire che si almeno un po' fatto esperienza di chi è Dio: un Dio che ha cura di tutti. Ecco allora la capacità di imparare a entrare in amicizia con Dio attraverso una preghiera fatta non solo di formule ma soprattutto di capacità di ascolto del suo progetto d'amore su ciascuno di noi.
La Chiesa, cioè noi tutti battezzati, è chiamata ad “avere in sé gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Filippesi 2,5). In Gesù abbiamo la figura del servo fedele, capace di fare della sua vita un dono d'amore a Dio e ai fratelli. “Vi ho dato l'esempio perché come ho fatto io facciate anche voi” (Giovanni 13,15): siamo chiamati a fare anche noi della nostra vita un capolavoro d'amore, perché nell'amore (quello vero) sta il senso di tutto. E l'amore è anche servizio concreto, pensato, fatto con i muscoli e non solo di belle parole…
All'interno della Chiesa c'è anche una forma particolare di servizio, quello liturgico. Esso ha alcuni aspetti particolari che occorre chiarire affinchè questo servizio sia un segno per gli altri:
• Uno spirito di servizio: se scorriamo le pagine dei vangeli ci accorgiamo che tutto ciò che fa Gesù è intriso di amore, un esempio concreto di servizio lo vediamo quando lava i piedi ai discepoli (Gv 13,1-17). Questo spirito di servizio è disponibilità, generosità, capacità di amare gli altri che sono un riflesso dell'amore di Dio per me. Dio è amore (1Giovanni 4,16): siamo chiamati allora a vivere la vita sul ritmo di Dio, certi che c'è più gioia nel dare che nel ricevere (Atti 20,35)
• Se lo stile è quello dell'amore allora al primo posto non c'è la quantità ma qualità. Non conta ciò che si fa o non si fa, ma lo spirito con cui si fa. Non importa il ruolo che si compie ma la certezza che nulla è piccolo di ciò che è fatto per amore.
• Se c'è questo spirito di servizio allora non si scade nell'esibizionismo, ma c'è la certezza che anche la sola presenza è un segno per gli altri. Un segno che dice gioia, magari, o capacità di donare qualcosa, fosse anche solo un po' del proprio tempo…
• Se tutti poi viviamo con questo spirito di servizio d'amore allora faremo a gara nel rispettarci a vicenda e sapremo che ciascuno di noi è una nota di una grande melodia che Dio va scrivendo. Una nota stonata rovina la melodia e non fa vedere la bellezza della nota stessa. Sta a noi allora vivere a ritmo di dono...
• Infine vivere questo stile vuol dire che si almeno un po' fatto esperienza di chi è Dio: un Dio che ha cura di tutti. Ecco allora la capacità di imparare a entrare in amicizia con Dio attraverso una preghiera fatta non solo di formule ma soprattutto di capacità di ascolto del suo progetto d'amore su ciascuno di noi.
giovedì 15 novembre 2007
Le altre chiese
S. LEONE
La chiesetta è inglobata nel vecchio cimitero costruito nel 1880 attorno ad essa.
Le prime documentazioni scritte sulla costruzione risalgono al '200 e si tratta di due atti: il primo è del 1218 ed è la conferma del possesso dei beni del Monastero di S. Paolo, firmata da Papa Onoro III: tra i beni citati c'è anche: "EccJesiam Sanctì Leonis de Liprignano, cum suis pertinentis": (la chiesa di S. Leone da Leprignano con i suoi annessi). Il secondo documento è del 1259 ed è un atto giuridico in cui viene citato come testimone un "Presbiter Cinctius Sancti Leonis de Liprignano".
Iconostasi (VIII sec. d.C.)
Queste documentazioni, pur essendo le più antiche, non sono però sufficienti a darci la data della costruzione dell'edificio, che risale certamente a un periodo precedente.
La dedica a S. Leone si riferisce a S. Leone Magno, il papa che nel V sec. fermò l'invasione di Attila e dei suoi Unni, contro Roma.
L'edificio probabilmente sorse su un precedente impianto, forse un tempio, di epoca romana, come accade per le più antiche chiese medioevali.
L'aspetto attuale delta chiesa è dovuto ai recenti restauri che hanno ripristinato l'aspetto originale, demolendo la sacrestia, che era stata ricavata all'interno.
La chiesa ha sulla facciata una porta rettangolare, con una cornice di pietra bianca del luogo, lavorata con fregi a croce greca in rilievo.
Sulle pareti laterali si notano alcune finestre a arco rotondo con transenne sempre in pietra locale. Nella parete posteriore, si nota un'abside costruita con tufetti del XIII secolo con una cornice con numerosi pezzi di marmo evidentemente riusati.
La costruzione ha due navate divise da arcate di larghezza diversa. Tutti gli elementi sono originali ad eccezione della navata sinistra che franò per cedimento del terreno e fu ricostruita nel sec. V quando furono eseguiti anche gli affreschi.
Alcuni elementi, come le transenne traforate delle finestre, senza incassi per i vetri e il riuso, per la costruzione dell'abside, di materiale sicuramente tardo-romano e i motivi della cornice della porta, fanno attribuire la costruzione della chiesetta all'VIII-IX sec. d.C.
Con la costruzione del cimitero, il livello del terreno fu abbassato, per cui vennero portate alla luce le fondazioni della chiesa e si dovette costruire una scala per accedere all'edificio. Nel blocco di fondazione, che fu portato alla luce, furono ricavati degli ambienti usati come ossuario.
La chiesa, oltre ad avere la particolarità - cosa rara e singolare - di essere divisa in due navate, ha all'interno un recinto presbiterale (iconostasi) che taglia trasversalmente tutta la navata con l'abside.
Questo è uno dei pochissimi esempi di iconostasi dei primi secoli del Medioevo, rimasta intatta e nel luogo originale.
Essa è composta di due pilastrini quadrati, posti all'estremità, scolpiti su tre facce e altri due intermedi più bassi, di forma ottagonale. I quattro pilastrini sono uniti da un architrave che al centro s'incurva per formare un'arcatella. Le parti laterali sono nella metà inferiore chiuse da lastre marmoree (plutei) decorate. Nella parte superiore sono state aggiunte delle colonnine a doppio fuso rovescio, durante i restauri rinascimentali che un'iscrizione ci permette di datare al 1520. Questi restauri si resero necessari per un cedimento delle fondazioni.
Nelle lastre di chiusura si notano alcune discordanze e differenze di misure ma tutta l'opera è sicuramente omogenea e contemporanea, e queste variazioni non sono dovute a restauri come invece verrebbe fatto di pensare.
L'iconostasi presenta un particolare architettonico assai interessante: la fusione dell'elemento a cancellata, derivante dalla recinzione, usata fin dall'epoca romana e alta solo un metro (in legno o un semplice muretto a trafori), usata nelle case e negli edifici pubblici per isolare la zona dedicata agli dei, e la trabeazione, sostenuta da pilastri o colonne, con l'archetto a sesto rialzato; sono tipici elementi questi, del cerimoniale imperiale, assunti poi nell'apparato della liturgia trionfale della Chiesa del IV-V sec. d.C.
L'iconostasi è tutta lavorata a bassorilievo: il motivo fondamentale è la treccia, usata in varie figure geometriche. I plutei presentano tre diverse decorazioni: intrecci a tondi ed asta; quadrati contenenti grappoli, fioroni; intrecci e tondi con fioroni, croci, dischi, foglie e uccelli.
Anche lungo la trabeazione, l'archetto e i pilastri, si snoda la decorazione a tondi con fioroni e grappoli.
Il tema iconografico della trabeazione con archetto sottolineava l'alta dignità imperiale: lo si trova nel palazzo di Diocleziano a Spalato e a Costantinopoli. In ambiente basilicale lo si trova diffuso in Oriente già dal V-VI sec. d.C.
Il recinto di Capena, però, ha un rapporto più diretto con Roma: con alcuni frammenti di un setto presbiteriale appartenenti alla Basilica Vaticana, del cui arco però, se ne conosce l'esistenza tramite delle fonti storiche che lo ricordano.
Per quanto riguarda la decorazione, molto diffusa nell'VIII-IX sec. d.C., il confronto più significativo lo si ha con i frammenti marmorei del Monastero del Monte Soratte.
Forse questa coincidenza è dovuta ad un momento storico assai importante avvenuto nel territorio Collinense, che contribuì a fare affluire nella zona maestranze rinomate, arricchendole con opere d'arte; quando Papa Zaccaria, destinò Carlomanno, il figlio del potente Carlo Martello, al romitorio del Monte Soratte.
Nella chiesa si possono ancora ammirare numerosi affreschi. Quelli nella zona absidata sono i più antichi: alcuni, come i frammenti nella parete attigua all'ingresso e una figura dell'abside risalgono addirittura al 1000. Gli altri furono eseguiti forse nella stessa epoca, ma ciò che oggi vediamo è il risultato di restauri eseguiti nel primo Rinascimento.
Particolare dell'Annunciazione I dipinti della volta dell'abside sono sormontati da una cornice con motivi a trecce e al centro dall'Agnus Dei.
I personaggi rappresentati sono: al centro il Redentore Benedicente, con un'iconografia molto arcaica. Alla sua destra ci sono S. Paolo e S. Scolastica, alla sua sinistra, S. Pietro e S. Leone Magno.
Ai lati della volta ci sono due scene sacre: a sinistra un'Annunciazione, a destra due Santi di cui non è certa l'identificazione.
Sotto la volta, ai fianchi della finestrella dell'abside, in quattro riquadri metopali, divisi tra loro dalla stessa cornice a intreccio, si notano da sinistra S. Giovanni Battista; una Santa recante un'ampolla e un rotolo di bende: forse è la Maddalena; a destra, subito dopo la finestra, ci sono S. Luca e l'Arcangelo S. Michele.
Ai lati delle quattro metope, in altri riquadri, si ammirano a sinistra S. Liberato - come avverte l'epigrafe sottostante - e, in una posizione più in basso rispetto al primo, il dipinto datato al X sec., di una donna, forse un'imperatrice bizantina, considerata Santa.
A destra, ci sono un G. Giuliano molto rovinato e una Madonna che allatta il Bambino.
All'entrata, sempre nella stanza absidata, si notano alcuni frammenti di dipinti del X sec. d.C.: il primo raffigurante una Madonna con Bambino, e l'altro un motivo geometrico.
Nell'altra navata, c'è un affresco che occupa tutta una parete ed ha al centro la Vergine con il Bambino: alla sua estrema destra, ormai quasi cancellato, c'è un personaggio che recava un giglio: torse San Giuseppe, poi si nota benissimo S. Paolo.
A sinistra S. Leone e un altro personaggio in veste ecclesiastica non identificabile.
Tutto il complesso degli affreschi fu commissionato da una certa Suffia, come attesta un'iscrizione posta nella volta dell'abside ai piedi del Redentore, con caratteri del XIV sec.: "Queste peture a facte fare Suffia".
S. ANTONIO
È dedicata a S. Antonio Abate, uno dei santi più popolari dell'antichità, fondatore dell'Ascetismo.
Si trova al centro del paese, posta in alto su una piattaforma, alla quale si accede tramite due scalinate laterali perfettamente simmetriche, al centro delle quali - in una nicchia - è conservata la testa marmorea di un leone risalente al periodo romano.
Ai piedi delle scalinate, ci sono quattro colonne marmoree: sulla colonna più in basso, a destra, è ancora conservata un'antica catena: la tradizione vuole che questa catena delimitasse la zona franca: chiunque la oltrepassava e si rifugiava all'interno del complesso godeva dell'immunità giuridica.
Dagli anni '50, la chiesa non è più adibita al culto.
La costruzione risale agli inizi del XVIII sec. La facciata ha un timpano con lesene laterali di stucco che terminano con capitelli corinzi.
Anche il portale è a timpano con stucchi. Sopra il portale c'è un'apertura rotonda e sulla sommità del timpano ci sono tre monti raggruppati e sormontati da una croce di ferro. È lo stemma della Congregazione Cassinese.
Leone millenario
Sulla parete destra che si affaccia sul paese, c'è una meridiana, come era consuetudine in gran parte delle chiese dell'epoca. Sopra la meridiana c'è una piccola poesia con la data del 1834: "Ritorna il sole fra l'ombra smarrita, ma non ritorna più l'età fiodta". A.D. MDCCCXXXIV.
L'interno, ad aula, è semplice e spoglio e ormai privo di ornamenti. Restano solo l'affresco nell'abside che rappresenta il Creatore con i quattro Evangelisti.
S. MARIA DELLE GRAZIE
La chiesa, decentrata rispetto al paese, è dedicata all'Assunta, ma, grazie anche ai numerosi miracoli attribuitigli, di cui alle pareti sono conservati i numerosi ex-voto, è comunemente chiamata Madonna delle Grazie.
Fu costruita agli inizi del XVIII sec., come informa la lapide posta all'interno, sull'ingresso, ma forse su un impianto più antico.
La facciata è molto semplice e lineare e ha un timpano con due finestrelle laterali, quasi a piano terra.
Successivamente fu aggiunto il piccolo pronao davanti.
Al centro del timpano, è inserita nella muratura una mattonella in ceramica raffigurante una Madonna con Bambino, dell'800, di produzione locale.
L'interno, ad aula, ha ai due lati altari con decorazioni a stucchi policromi e marmo: sul lato destro, su l'unico altare costruito in una nicchia a forma di croce, era custodito un prezioso crocefisso ligneo, che è stato recentemente trafugato.
Tutta la chiesa è affrescata e i dipinti furono eseguiti ai primi del '900 da Costantini e Carosi.
Sull'altare c'è un'edicola con stucchi di angeli e raggi dipinti.
Interno con i due baldacchini All'interno si possono ammirare due splendidi baldacchini, costruiti nel '700 in legno rivestito d'oro zecchino. Uno è di stile barocco e vi si ammirava l'immagine di una Madonna dipinta su tavola, di probabile Scuola Senese, purtroppo anch'essa trafugata pochi anni fa, e sostituita ora da un altro dipinto su tavola, molto fedele all'iconografia della Madonna originale. L'altro baldacchino, in cui è contenuta la copia del S. Salvatore, imita in piccolo quello in pietra di Arnolfo di Cambio che si trova nella basilica di San Paolo fuori le mura a Roma di puro stile gotico, realizzato da Camponesi.
S. MARCO EVANGELISTA
La piccola cappella si trova fuori dal paese ed è meta di una suggestiva processione il 25 Aprile.
Fu costruita nel 1882, come ricorda la lapide posta all'interno. È in puro stile neoclassicista con la facciata spoglia ed un piccolo timpano sormontato da una croce.
È sormontata da una singolare cupoletta ellissoide, assomiglia infatti ad un guscio d'uovo, che è forse il risultato di un'influenza dello stile floreale.
L'interno è privo di decorazioni e non ha elementi di rilievo.
La chiesetta è inglobata nel vecchio cimitero costruito nel 1880 attorno ad essa.
Le prime documentazioni scritte sulla costruzione risalgono al '200 e si tratta di due atti: il primo è del 1218 ed è la conferma del possesso dei beni del Monastero di S. Paolo, firmata da Papa Onoro III: tra i beni citati c'è anche: "EccJesiam Sanctì Leonis de Liprignano, cum suis pertinentis": (la chiesa di S. Leone da Leprignano con i suoi annessi). Il secondo documento è del 1259 ed è un atto giuridico in cui viene citato come testimone un "Presbiter Cinctius Sancti Leonis de Liprignano".
Iconostasi (VIII sec. d.C.)
Queste documentazioni, pur essendo le più antiche, non sono però sufficienti a darci la data della costruzione dell'edificio, che risale certamente a un periodo precedente.
La dedica a S. Leone si riferisce a S. Leone Magno, il papa che nel V sec. fermò l'invasione di Attila e dei suoi Unni, contro Roma.
L'edificio probabilmente sorse su un precedente impianto, forse un tempio, di epoca romana, come accade per le più antiche chiese medioevali.
L'aspetto attuale delta chiesa è dovuto ai recenti restauri che hanno ripristinato l'aspetto originale, demolendo la sacrestia, che era stata ricavata all'interno.
La chiesa ha sulla facciata una porta rettangolare, con una cornice di pietra bianca del luogo, lavorata con fregi a croce greca in rilievo.
Sulle pareti laterali si notano alcune finestre a arco rotondo con transenne sempre in pietra locale. Nella parete posteriore, si nota un'abside costruita con tufetti del XIII secolo con una cornice con numerosi pezzi di marmo evidentemente riusati.
La costruzione ha due navate divise da arcate di larghezza diversa. Tutti gli elementi sono originali ad eccezione della navata sinistra che franò per cedimento del terreno e fu ricostruita nel sec. V quando furono eseguiti anche gli affreschi.
Alcuni elementi, come le transenne traforate delle finestre, senza incassi per i vetri e il riuso, per la costruzione dell'abside, di materiale sicuramente tardo-romano e i motivi della cornice della porta, fanno attribuire la costruzione della chiesetta all'VIII-IX sec. d.C.
Con la costruzione del cimitero, il livello del terreno fu abbassato, per cui vennero portate alla luce le fondazioni della chiesa e si dovette costruire una scala per accedere all'edificio. Nel blocco di fondazione, che fu portato alla luce, furono ricavati degli ambienti usati come ossuario.
La chiesa, oltre ad avere la particolarità - cosa rara e singolare - di essere divisa in due navate, ha all'interno un recinto presbiterale (iconostasi) che taglia trasversalmente tutta la navata con l'abside.
Questo è uno dei pochissimi esempi di iconostasi dei primi secoli del Medioevo, rimasta intatta e nel luogo originale.
Essa è composta di due pilastrini quadrati, posti all'estremità, scolpiti su tre facce e altri due intermedi più bassi, di forma ottagonale. I quattro pilastrini sono uniti da un architrave che al centro s'incurva per formare un'arcatella. Le parti laterali sono nella metà inferiore chiuse da lastre marmoree (plutei) decorate. Nella parte superiore sono state aggiunte delle colonnine a doppio fuso rovescio, durante i restauri rinascimentali che un'iscrizione ci permette di datare al 1520. Questi restauri si resero necessari per un cedimento delle fondazioni.
Nelle lastre di chiusura si notano alcune discordanze e differenze di misure ma tutta l'opera è sicuramente omogenea e contemporanea, e queste variazioni non sono dovute a restauri come invece verrebbe fatto di pensare.
L'iconostasi presenta un particolare architettonico assai interessante: la fusione dell'elemento a cancellata, derivante dalla recinzione, usata fin dall'epoca romana e alta solo un metro (in legno o un semplice muretto a trafori), usata nelle case e negli edifici pubblici per isolare la zona dedicata agli dei, e la trabeazione, sostenuta da pilastri o colonne, con l'archetto a sesto rialzato; sono tipici elementi questi, del cerimoniale imperiale, assunti poi nell'apparato della liturgia trionfale della Chiesa del IV-V sec. d.C.
L'iconostasi è tutta lavorata a bassorilievo: il motivo fondamentale è la treccia, usata in varie figure geometriche. I plutei presentano tre diverse decorazioni: intrecci a tondi ed asta; quadrati contenenti grappoli, fioroni; intrecci e tondi con fioroni, croci, dischi, foglie e uccelli.
Anche lungo la trabeazione, l'archetto e i pilastri, si snoda la decorazione a tondi con fioroni e grappoli.
Il tema iconografico della trabeazione con archetto sottolineava l'alta dignità imperiale: lo si trova nel palazzo di Diocleziano a Spalato e a Costantinopoli. In ambiente basilicale lo si trova diffuso in Oriente già dal V-VI sec. d.C.
Il recinto di Capena, però, ha un rapporto più diretto con Roma: con alcuni frammenti di un setto presbiteriale appartenenti alla Basilica Vaticana, del cui arco però, se ne conosce l'esistenza tramite delle fonti storiche che lo ricordano.
Per quanto riguarda la decorazione, molto diffusa nell'VIII-IX sec. d.C., il confronto più significativo lo si ha con i frammenti marmorei del Monastero del Monte Soratte.
Forse questa coincidenza è dovuta ad un momento storico assai importante avvenuto nel territorio Collinense, che contribuì a fare affluire nella zona maestranze rinomate, arricchendole con opere d'arte; quando Papa Zaccaria, destinò Carlomanno, il figlio del potente Carlo Martello, al romitorio del Monte Soratte.
Nella chiesa si possono ancora ammirare numerosi affreschi. Quelli nella zona absidata sono i più antichi: alcuni, come i frammenti nella parete attigua all'ingresso e una figura dell'abside risalgono addirittura al 1000. Gli altri furono eseguiti forse nella stessa epoca, ma ciò che oggi vediamo è il risultato di restauri eseguiti nel primo Rinascimento.
Particolare dell'Annunciazione I dipinti della volta dell'abside sono sormontati da una cornice con motivi a trecce e al centro dall'Agnus Dei.
I personaggi rappresentati sono: al centro il Redentore Benedicente, con un'iconografia molto arcaica. Alla sua destra ci sono S. Paolo e S. Scolastica, alla sua sinistra, S. Pietro e S. Leone Magno.
Ai lati della volta ci sono due scene sacre: a sinistra un'Annunciazione, a destra due Santi di cui non è certa l'identificazione.
Sotto la volta, ai fianchi della finestrella dell'abside, in quattro riquadri metopali, divisi tra loro dalla stessa cornice a intreccio, si notano da sinistra S. Giovanni Battista; una Santa recante un'ampolla e un rotolo di bende: forse è la Maddalena; a destra, subito dopo la finestra, ci sono S. Luca e l'Arcangelo S. Michele.
Ai lati delle quattro metope, in altri riquadri, si ammirano a sinistra S. Liberato - come avverte l'epigrafe sottostante - e, in una posizione più in basso rispetto al primo, il dipinto datato al X sec., di una donna, forse un'imperatrice bizantina, considerata Santa.
A destra, ci sono un G. Giuliano molto rovinato e una Madonna che allatta il Bambino.
All'entrata, sempre nella stanza absidata, si notano alcuni frammenti di dipinti del X sec. d.C.: il primo raffigurante una Madonna con Bambino, e l'altro un motivo geometrico.
Nell'altra navata, c'è un affresco che occupa tutta una parete ed ha al centro la Vergine con il Bambino: alla sua estrema destra, ormai quasi cancellato, c'è un personaggio che recava un giglio: torse San Giuseppe, poi si nota benissimo S. Paolo.
A sinistra S. Leone e un altro personaggio in veste ecclesiastica non identificabile.
Tutto il complesso degli affreschi fu commissionato da una certa Suffia, come attesta un'iscrizione posta nella volta dell'abside ai piedi del Redentore, con caratteri del XIV sec.: "Queste peture a facte fare Suffia".
S. ANTONIO
È dedicata a S. Antonio Abate, uno dei santi più popolari dell'antichità, fondatore dell'Ascetismo.
Si trova al centro del paese, posta in alto su una piattaforma, alla quale si accede tramite due scalinate laterali perfettamente simmetriche, al centro delle quali - in una nicchia - è conservata la testa marmorea di un leone risalente al periodo romano.
Ai piedi delle scalinate, ci sono quattro colonne marmoree: sulla colonna più in basso, a destra, è ancora conservata un'antica catena: la tradizione vuole che questa catena delimitasse la zona franca: chiunque la oltrepassava e si rifugiava all'interno del complesso godeva dell'immunità giuridica.
Dagli anni '50, la chiesa non è più adibita al culto.
La costruzione risale agli inizi del XVIII sec. La facciata ha un timpano con lesene laterali di stucco che terminano con capitelli corinzi.
Anche il portale è a timpano con stucchi. Sopra il portale c'è un'apertura rotonda e sulla sommità del timpano ci sono tre monti raggruppati e sormontati da una croce di ferro. È lo stemma della Congregazione Cassinese.
Leone millenario
Sulla parete destra che si affaccia sul paese, c'è una meridiana, come era consuetudine in gran parte delle chiese dell'epoca. Sopra la meridiana c'è una piccola poesia con la data del 1834: "Ritorna il sole fra l'ombra smarrita, ma non ritorna più l'età fiodta". A.D. MDCCCXXXIV.
L'interno, ad aula, è semplice e spoglio e ormai privo di ornamenti. Restano solo l'affresco nell'abside che rappresenta il Creatore con i quattro Evangelisti.
S. MARIA DELLE GRAZIE
La chiesa, decentrata rispetto al paese, è dedicata all'Assunta, ma, grazie anche ai numerosi miracoli attribuitigli, di cui alle pareti sono conservati i numerosi ex-voto, è comunemente chiamata Madonna delle Grazie.
Fu costruita agli inizi del XVIII sec., come informa la lapide posta all'interno, sull'ingresso, ma forse su un impianto più antico.
La facciata è molto semplice e lineare e ha un timpano con due finestrelle laterali, quasi a piano terra.
Successivamente fu aggiunto il piccolo pronao davanti.
Al centro del timpano, è inserita nella muratura una mattonella in ceramica raffigurante una Madonna con Bambino, dell'800, di produzione locale.
L'interno, ad aula, ha ai due lati altari con decorazioni a stucchi policromi e marmo: sul lato destro, su l'unico altare costruito in una nicchia a forma di croce, era custodito un prezioso crocefisso ligneo, che è stato recentemente trafugato.
Tutta la chiesa è affrescata e i dipinti furono eseguiti ai primi del '900 da Costantini e Carosi.
Sull'altare c'è un'edicola con stucchi di angeli e raggi dipinti.
Interno con i due baldacchini All'interno si possono ammirare due splendidi baldacchini, costruiti nel '700 in legno rivestito d'oro zecchino. Uno è di stile barocco e vi si ammirava l'immagine di una Madonna dipinta su tavola, di probabile Scuola Senese, purtroppo anch'essa trafugata pochi anni fa, e sostituita ora da un altro dipinto su tavola, molto fedele all'iconografia della Madonna originale. L'altro baldacchino, in cui è contenuta la copia del S. Salvatore, imita in piccolo quello in pietra di Arnolfo di Cambio che si trova nella basilica di San Paolo fuori le mura a Roma di puro stile gotico, realizzato da Camponesi.
S. MARCO EVANGELISTA
La piccola cappella si trova fuori dal paese ed è meta di una suggestiva processione il 25 Aprile.
Fu costruita nel 1882, come ricorda la lapide posta all'interno. È in puro stile neoclassicista con la facciata spoglia ed un piccolo timpano sormontato da una croce.
È sormontata da una singolare cupoletta ellissoide, assomiglia infatti ad un guscio d'uovo, che è forse il risultato di un'influenza dello stile floreale.
L'interno è privo di decorazioni e non ha elementi di rilievo.
sabato 10 novembre 2007
Parrocchia
San Michele Arcangelo è la chiesa parrocchiale della città di Capena.
La sua costruzione risale al 1908 su progetto dell'ingegnere Montechiari. Fu edificata su un terreno donato dai fratelli Giannotti di Capena ed è stata consacrata l'8 Settembre 1908 dall'abate dell'abazia di San Paolo fuori le Mura. La prima ristrutturazione importante all'edificio risale al 1997, quando a causa di cedimenti del tetto, si resero indispensabili importanti lavori, che però recarono sostanziali modifiche.
L'edificio è costruito secondo la tipica pianta basilicale, a tre navate separate da colonne. La copertura è in capriate lignee. La chiesa è costruita in blocchi di tufo ad eccezione del portale, del rosone, delle cornici delle finestre che sono in travertino.
Al centro dell'abside vi era un tipico altare preconciliare irrimediabilmente perso dopo i lavori del 1997 e sostituito da uno di forme moderne e approssimative che altera profondamente il progetto originario che era giunto inalterato fino ai nostri giorni.
Nel 2006 è stato donato in memoria di Giuseppe Foscarini, un organo a canne collocato dall'organaro Angelo Carbonetti di Foligno, sopra la bussola lignea all'ingresso dell'edificio. Fu inaugurato il 14 Agosto.
Nella cappella di sinistra era conservato l'altare dedicato al patrono San Luca. Attualmente vi è custodito il trittico protetto dalla cancellata in bronzo che originariamente apparteneva al fonte battesimale. Nella cappella di destra, è conservata una statua lignea della Madonna del Rosario.
Originariamente, la chiesa non era affrescata e i dipinti sono stati eseguiti negli anni a cavallo del secondo conflitto mondiale, dai pittori Giovanni Costantini e Giovanni Carosi. Sono stati commissionati dai fratelli Porfirio e Vincenzo Barbetti di Capena. Gli affreschi rappresentano l'incoronazione di Maria sul catino (dell'abside) circondata da schiere di angeli e sovrastata dallo Spirito Santo in forma di colomba. I santi rappresentati nell'Abside sono San Michele Arcangelo al centro, San Pietro, San Paolo, San Luca Evangelista, san Marco Evangelista. San Porfirio Vescovo e San Vincenzo Ferreri. Sullo sfondo è rappresentaa la Rocca medievale di Capena e la casa dei committenti e in lontananza le campagne e il Soratte. Vi sono 12 Medaglioni rappresentanti i 12 Apostoli sopra le colonne lungo la navata centrale.
Sicuramente l'opera più importante custodita all'interno della chiesa è il pregevole Trittico del Salvatore di Antonio da Viterbo risalente al 1452.
Recentemente sono stati collocati all'interno 2 pale di grandi dimensioni raffiguranti Santa Rita da Cascia e san Giuseppe Operaio dono dei Festaroli dell'Assunta.
Sulla parete destra, accanto alla cappella della Madonna del Rosario, si può ammirare la grande tela di San Giovanni Decollato proveniente dalla chiesa della Madonna delle Grazie.
La fonte battesimale collocata alla destra dell'altare maggiore, è in pietra greca, scolpita nel 1400 e appartiene all'arredo della precedente chiesa parrocchiale di Capena.
L'acquasantiera, collocata alla destra dell'entrata è un antico mortaio da farmacia in bronzo di epoca Romana. Fu donato in occasione dell'amministrazione del primo battesimo nella nuova parrocchiale di Luca Sinibaldi nel 1908.
La facciata della chiesa è tripartita come l'interno. La scalinata d'accesso all'edificio, originariamente costituita da blocchi di pietra modanati, provenienti dal sito dell'antica Capena è stata sostituita da una moderna.
Alla sinistra della chiesa, inseme alla casa canonica si erge il campanile alto circa 28 metri con orologio alla cui sommità sono collocate tre campane. La media e la piccola sono del 1700, mentre la grande è stata rifusa in occasione della consacrazione della chiesa. La campana piccola apparteneva alla chiesa di sant'Antonio abate. È dedicata al SS. Crocifisso ed è stata collocata sul campanile della parrocchia nell'anno 2000. La campana media è stata fusa dal campanaro Martino D'Ettorre di Spoltore. È stata commissionata dalla famiglia Sinibaldi di Capena. È dedicata all'Assunta. Durante la fusione della campana grande, per migliorare la qualità del bronzo, venne aggiunto dell'oro donato dai cittadini di Capena . L'orologio del campanile è stato donato nel 2002 dai Festaroli del quartiere San Leo.
L'area del cortile adiacente alla parete sinistra dell'edificio, è stata occupata da un nuovo edificio: Il 2 giugno 2006 è stata inaugurata dal vescovo diocesano Mons. Divo Zadi, la nuova sala dell'oratorio Eligio Sandri intitolata a San Giuseppe.
La sua costruzione risale al 1908 su progetto dell'ingegnere Montechiari. Fu edificata su un terreno donato dai fratelli Giannotti di Capena ed è stata consacrata l'8 Settembre 1908 dall'abate dell'abazia di San Paolo fuori le Mura. La prima ristrutturazione importante all'edificio risale al 1997, quando a causa di cedimenti del tetto, si resero indispensabili importanti lavori, che però recarono sostanziali modifiche.
L'edificio è costruito secondo la tipica pianta basilicale, a tre navate separate da colonne. La copertura è in capriate lignee. La chiesa è costruita in blocchi di tufo ad eccezione del portale, del rosone, delle cornici delle finestre che sono in travertino.
Al centro dell'abside vi era un tipico altare preconciliare irrimediabilmente perso dopo i lavori del 1997 e sostituito da uno di forme moderne e approssimative che altera profondamente il progetto originario che era giunto inalterato fino ai nostri giorni.
Nel 2006 è stato donato in memoria di Giuseppe Foscarini, un organo a canne collocato dall'organaro Angelo Carbonetti di Foligno, sopra la bussola lignea all'ingresso dell'edificio. Fu inaugurato il 14 Agosto.
Nella cappella di sinistra era conservato l'altare dedicato al patrono San Luca. Attualmente vi è custodito il trittico protetto dalla cancellata in bronzo che originariamente apparteneva al fonte battesimale. Nella cappella di destra, è conservata una statua lignea della Madonna del Rosario.
Originariamente, la chiesa non era affrescata e i dipinti sono stati eseguiti negli anni a cavallo del secondo conflitto mondiale, dai pittori Giovanni Costantini e Giovanni Carosi. Sono stati commissionati dai fratelli Porfirio e Vincenzo Barbetti di Capena. Gli affreschi rappresentano l'incoronazione di Maria sul catino (dell'abside) circondata da schiere di angeli e sovrastata dallo Spirito Santo in forma di colomba. I santi rappresentati nell'Abside sono San Michele Arcangelo al centro, San Pietro, San Paolo, San Luca Evangelista, san Marco Evangelista. San Porfirio Vescovo e San Vincenzo Ferreri. Sullo sfondo è rappresentaa la Rocca medievale di Capena e la casa dei committenti e in lontananza le campagne e il Soratte. Vi sono 12 Medaglioni rappresentanti i 12 Apostoli sopra le colonne lungo la navata centrale.
Sicuramente l'opera più importante custodita all'interno della chiesa è il pregevole Trittico del Salvatore di Antonio da Viterbo risalente al 1452.
Recentemente sono stati collocati all'interno 2 pale di grandi dimensioni raffiguranti Santa Rita da Cascia e san Giuseppe Operaio dono dei Festaroli dell'Assunta.
Sulla parete destra, accanto alla cappella della Madonna del Rosario, si può ammirare la grande tela di San Giovanni Decollato proveniente dalla chiesa della Madonna delle Grazie.
La fonte battesimale collocata alla destra dell'altare maggiore, è in pietra greca, scolpita nel 1400 e appartiene all'arredo della precedente chiesa parrocchiale di Capena.
L'acquasantiera, collocata alla destra dell'entrata è un antico mortaio da farmacia in bronzo di epoca Romana. Fu donato in occasione dell'amministrazione del primo battesimo nella nuova parrocchiale di Luca Sinibaldi nel 1908.
La facciata della chiesa è tripartita come l'interno. La scalinata d'accesso all'edificio, originariamente costituita da blocchi di pietra modanati, provenienti dal sito dell'antica Capena è stata sostituita da una moderna.
Alla sinistra della chiesa, inseme alla casa canonica si erge il campanile alto circa 28 metri con orologio alla cui sommità sono collocate tre campane. La media e la piccola sono del 1700, mentre la grande è stata rifusa in occasione della consacrazione della chiesa. La campana piccola apparteneva alla chiesa di sant'Antonio abate. È dedicata al SS. Crocifisso ed è stata collocata sul campanile della parrocchia nell'anno 2000. La campana media è stata fusa dal campanaro Martino D'Ettorre di Spoltore. È stata commissionata dalla famiglia Sinibaldi di Capena. È dedicata all'Assunta. Durante la fusione della campana grande, per migliorare la qualità del bronzo, venne aggiunto dell'oro donato dai cittadini di Capena . L'orologio del campanile è stato donato nel 2002 dai Festaroli del quartiere San Leo.
L'area del cortile adiacente alla parete sinistra dell'edificio, è stata occupata da un nuovo edificio: Il 2 giugno 2006 è stata inaugurata dal vescovo diocesano Mons. Divo Zadi, la nuova sala dell'oratorio Eligio Sandri intitolata a San Giuseppe.
martedì 6 novembre 2007
Vescovo
S. E. Mons. Divo Zadi
Nato il 25 gennaio 1931 a
Montefollonico di Torrita di Siena (SI)
diocesi di Montepulciano - Chiusi - Pienza.
Ordinato sacerdote nel Duomo di Pienza
il 2 agosto 1953.
Eletto Vescovo di Civita Castellana
il 10 marzo 1989.
Ordinato Vescovo l'8 aprile 1989.
Ingresso in Diocesi il 13 maggio 1989.
Residenza: Palazzo Vescovile
Piazza Duomo, 4
01033 CIVITA CASTELLANA
Nato il 25 gennaio 1931 a
Montefollonico di Torrita di Siena (SI)
diocesi di Montepulciano - Chiusi - Pienza.
Ordinato sacerdote nel Duomo di Pienza
il 2 agosto 1953.
Eletto Vescovo di Civita Castellana
il 10 marzo 1989.
Ordinato Vescovo l'8 aprile 1989.
Ingresso in Diocesi il 13 maggio 1989.
Residenza: Palazzo Vescovile
Piazza Duomo, 4
01033 CIVITA CASTELLANA
lunedì 5 novembre 2007
sabato 3 novembre 2007
Discorso di Benedetto XVI rivolto ai ministranti di tutto il mondo durante il Pellegrinaggio Internazionale del 2006
Cari ministranti,
Sono felice che la mia prima Udienza dopo la vacanza nelle Alpi sia con voi ministranti e saluto con affetto ciascuno di voi. Ringrazio il vescovo ausiliare di Basel Mons. Martin Gächter per le parole con cui, in qualità di Presidente del Coetus Internationalis Ministrantium, ha introdotto l'Udienza, e ringrazio per il foulard, grazie al quale sono tornato ad essere ministrante. Più di 70 anni fa, nel 1935, ho incominciato come ministrante, quindi un lungo tragitto su questo cammino. Saluto cordialmente il Cardinale Christoph Schönborn, che ieri ha celebrato per voi la Santa Messa , e i numerosi Vescovi e Sacerdoti provenienti dalla Germania, dall'Austria, dalla Svizzera e dall'Ungheria. A voi, cari ministranti, desidero offrire, brevemente, visto che fa caldo, un messaggio che possa accompagnarvi nella vostra vita e nel vostro servizio nella Chiesa. Desidero per questo riprendere l'argomento che sto trattando nelle catechesi di questi mesi. Forse alcuni di voi sanno che nelle Udienze generali del mercoledì sto presentando le figure degli Apostoli: per primo Simone, al quale il Signore ha dato il nome di Pietro, suo fratello Andrea, poi altri due fratelli, san Giacomo detto «il maggiore», primo martire tra gli Apostoli, e Giovanni il teologo, l'evangelista, e poi Giacomo detto «il minore». Conto di continuare a presentare i singoli Apostoli nelle prossime Udienze, nei quali, per così dire, la Chiesa diventa personale. Oggi però ci soffermiamo su un tema comune: che genere di persone erano gli Apostoli. In breve potremmo dire che erano "amici" di Gesù. Lui stesso li ha chiamati così nell'ultima Cena, dicendo loro: «Non vi chiamo più servi, ma amici» (Gv 15, 15). Sono stati, e sono potuti essere, apostoli e testimoni di Cristo perché erano suoi amici, perché lo conoscevano a partire dall'amicizia, perché gli erano vicini. Erano uniti da un legame di amore vivificato dallo Spirito Santo. Possiamo intendere in questa prospettiva il tema del vostro pellegrinaggio: «Spiritus vivificat». È lo Spirito, lo Spirito Santo che vivifica. È lui che vivifica il vostro rapporto con Gesù, di modo che non sia solo esteriore: "sappiamo che è esistito e che è presente nel Sacramento", ma lo fa diventare un rapporto intimo, profondo, di amicizia davvero personale, capace di dare senso alla vita di ognuno di voi. E poiché lo conoscete e poiché lo conoscete nell'amicizia, potrete dargli testimonianza e portarlo alle altre persone. Oggi, vedendovi qui davanti a me in Piazza San Pietro, penso agli Apostoli e sento la voce di Gesù che vi dice: «Non vi chiamo servi, ma amici: rimanete nel mio amore, e porterete molto frutto» (Gv 15, 9.16). Vi invito: ascoltate questa voce! Cristo non l'ha detto solo 2000 anni fa; egli è vivo e lo dice a voi adesso. Ascoltate questa voce con grande disponibilità; ha qualcosa da dire ad ognuno Forse a qualcuno di voi dice: "voglio che mi serva in modo speciale come sacerdote diventando così mo testimone, essendo mio amico e introducendo altri in questa amicizia". Ascoltate comunque con fiducia la voce di Gesù. La vocazione di ciascuno è diversa, ma Cristo desidera fare amicizia con tutti, così come ha fatto con Simone, che chiamò Pietro, con Andrea, Giacomo, Giovanni e con gli altri Apostoli. Vi ha donato la sua parola e continua a donarvela , perché conosciate la verità, perché sappiate come stanno veramente le cose per l'uomo, e che quindi sappiate come si deve vivere in modo giusto, come si deve affrontare la vita affinché diventi vera. Potrete così essere, ognuno a modo suo, suoi discepoli e apostoli.
Cari ministranti, voi in realtà siete già apostoli di Gesù! Quando partecipate alla Liturgia svolgendo il vostro servizio all'altare, voi offrite a tutti una testimonianza. Il vostro atteggiamento raccolto, la vostra devozione che parte dal cuore e si esprime nei gesti, nel canto, nelle risposte: se lo fate nella maniera giusta e non distrattamente, in modo qualunque, allora la vostra è una testimonianza che tocca gli uomini . Il vincolo di amicizia con Gesù ha la sua fonte e il suo culmine nell'Eucaristia. Voi siete molto vicini a Gesù Eucaristia, e questo è il più grande segno della sua amicizia per ciascuno di noi. Non dimenticatelo; e per questo vi chiedo: non abituatevi a questo dono, affinché non diventi una sorta di abitudine, sapendo come funziona e facendolo automaticamente, ma scoprite ogni giorno di nuovo che avviene qualcosa di grande, che il Dio vivente è in mezzo a noi, e che potete essergli vicini e aiutare affinché il suo mistero venga celebrato e raggiunga le persone . Se non cederete all'abitudine e svolgerete il vostro servizio a partire dal vostro intimo, allora sarete veramente suoi apostoli e porterete frutti di bontà e di servizio in ogni ambito della vostra vita: in famiglia, nella scuola, nel tempo libero. Quell'amore che ricevete nella Liturgia portatelo a tutte le persone, specialmente dove vi accorgete che manca loro amore, che non ricevono bontà, che soffrono e sono sole. Con la forza dello Spirito Santo, cercate di portare Gesù proprio a quelle persone che vengono emarginale, che non sono molto amate, che hanno problemi. Proprio lì con la forza dello Spirito Santo dovete portare Gesù. Così quel Pane, che vedete spezzare sull'altare, verrà ancora condiviso e moltiplicato, e voi, come i dodici Apostoli, aiuterete Gesù a distribuirlo in mezzo alla gente di oggi, nelle diverse situazioni della vita. Così, cari ministranti, le mie ultime parole a voi sono: siate sempre amici e apostoli di Gesù Cristo!
Sono felice che la mia prima Udienza dopo la vacanza nelle Alpi sia con voi ministranti e saluto con affetto ciascuno di voi. Ringrazio il vescovo ausiliare di Basel Mons. Martin Gächter per le parole con cui, in qualità di Presidente del Coetus Internationalis Ministrantium, ha introdotto l'Udienza, e ringrazio per il foulard, grazie al quale sono tornato ad essere ministrante. Più di 70 anni fa, nel 1935, ho incominciato come ministrante, quindi un lungo tragitto su questo cammino. Saluto cordialmente il Cardinale Christoph Schönborn, che ieri ha celebrato per voi la Santa Messa , e i numerosi Vescovi e Sacerdoti provenienti dalla Germania, dall'Austria, dalla Svizzera e dall'Ungheria. A voi, cari ministranti, desidero offrire, brevemente, visto che fa caldo, un messaggio che possa accompagnarvi nella vostra vita e nel vostro servizio nella Chiesa. Desidero per questo riprendere l'argomento che sto trattando nelle catechesi di questi mesi. Forse alcuni di voi sanno che nelle Udienze generali del mercoledì sto presentando le figure degli Apostoli: per primo Simone, al quale il Signore ha dato il nome di Pietro, suo fratello Andrea, poi altri due fratelli, san Giacomo detto «il maggiore», primo martire tra gli Apostoli, e Giovanni il teologo, l'evangelista, e poi Giacomo detto «il minore». Conto di continuare a presentare i singoli Apostoli nelle prossime Udienze, nei quali, per così dire, la Chiesa diventa personale. Oggi però ci soffermiamo su un tema comune: che genere di persone erano gli Apostoli. In breve potremmo dire che erano "amici" di Gesù. Lui stesso li ha chiamati così nell'ultima Cena, dicendo loro: «Non vi chiamo più servi, ma amici» (Gv 15, 15). Sono stati, e sono potuti essere, apostoli e testimoni di Cristo perché erano suoi amici, perché lo conoscevano a partire dall'amicizia, perché gli erano vicini. Erano uniti da un legame di amore vivificato dallo Spirito Santo. Possiamo intendere in questa prospettiva il tema del vostro pellegrinaggio: «Spiritus vivificat». È lo Spirito, lo Spirito Santo che vivifica. È lui che vivifica il vostro rapporto con Gesù, di modo che non sia solo esteriore: "sappiamo che è esistito e che è presente nel Sacramento", ma lo fa diventare un rapporto intimo, profondo, di amicizia davvero personale, capace di dare senso alla vita di ognuno di voi. E poiché lo conoscete e poiché lo conoscete nell'amicizia, potrete dargli testimonianza e portarlo alle altre persone. Oggi, vedendovi qui davanti a me in Piazza San Pietro, penso agli Apostoli e sento la voce di Gesù che vi dice: «Non vi chiamo servi, ma amici: rimanete nel mio amore, e porterete molto frutto» (Gv 15, 9.16). Vi invito: ascoltate questa voce! Cristo non l'ha detto solo 2000 anni fa; egli è vivo e lo dice a voi adesso. Ascoltate questa voce con grande disponibilità; ha qualcosa da dire ad ognuno Forse a qualcuno di voi dice: "voglio che mi serva in modo speciale come sacerdote diventando così mo testimone, essendo mio amico e introducendo altri in questa amicizia". Ascoltate comunque con fiducia la voce di Gesù. La vocazione di ciascuno è diversa, ma Cristo desidera fare amicizia con tutti, così come ha fatto con Simone, che chiamò Pietro, con Andrea, Giacomo, Giovanni e con gli altri Apostoli. Vi ha donato la sua parola e continua a donarvela , perché conosciate la verità, perché sappiate come stanno veramente le cose per l'uomo, e che quindi sappiate come si deve vivere in modo giusto, come si deve affrontare la vita affinché diventi vera. Potrete così essere, ognuno a modo suo, suoi discepoli e apostoli.
Cari ministranti, voi in realtà siete già apostoli di Gesù! Quando partecipate alla Liturgia svolgendo il vostro servizio all'altare, voi offrite a tutti una testimonianza. Il vostro atteggiamento raccolto, la vostra devozione che parte dal cuore e si esprime nei gesti, nel canto, nelle risposte: se lo fate nella maniera giusta e non distrattamente, in modo qualunque, allora la vostra è una testimonianza che tocca gli uomini . Il vincolo di amicizia con Gesù ha la sua fonte e il suo culmine nell'Eucaristia. Voi siete molto vicini a Gesù Eucaristia, e questo è il più grande segno della sua amicizia per ciascuno di noi. Non dimenticatelo; e per questo vi chiedo: non abituatevi a questo dono, affinché non diventi una sorta di abitudine, sapendo come funziona e facendolo automaticamente, ma scoprite ogni giorno di nuovo che avviene qualcosa di grande, che il Dio vivente è in mezzo a noi, e che potete essergli vicini e aiutare affinché il suo mistero venga celebrato e raggiunga le persone . Se non cederete all'abitudine e svolgerete il vostro servizio a partire dal vostro intimo, allora sarete veramente suoi apostoli e porterete frutti di bontà e di servizio in ogni ambito della vostra vita: in famiglia, nella scuola, nel tempo libero. Quell'amore che ricevete nella Liturgia portatelo a tutte le persone, specialmente dove vi accorgete che manca loro amore, che non ricevono bontà, che soffrono e sono sole. Con la forza dello Spirito Santo, cercate di portare Gesù proprio a quelle persone che vengono emarginale, che non sono molto amate, che hanno problemi. Proprio lì con la forza dello Spirito Santo dovete portare Gesù. Così quel Pane, che vedete spezzare sull'altare, verrà ancora condiviso e moltiplicato, e voi, come i dodici Apostoli, aiuterete Gesù a distribuirlo in mezzo alla gente di oggi, nelle diverse situazioni della vita. Così, cari ministranti, le mie ultime parole a voi sono: siate sempre amici e apostoli di Gesù Cristo!
Piccolo dizionario del ministrante
COSA SIGNIFICA …
AMBONE. Luogo elevato, da cui si svolge la proclamazione dei testi biblici, del salmo responsoriale e dell’Exsultet pasquale; è anche il luogo dell’omelia e delle intenzioni per la preghiera dei fedeli. Non è invece destinato alla lettura d’avvisi e alla proposta dei canti. L’ambone presenta per lo più una configurazione artistica ed è dotato di un leggio.
BATTISTERO. Cappella per il Battesimo, per lo più rotonda od ottagonale; di regola complesso architettonico delle antiche chiese episcopali. Nelle chiese parrocchiali si trova normalmente solo un FONTE BATTESIMALE.
EVANGELIARIO. Libro liturgico con il testo dei Vangeli.
LEGGIO. Arredo su cui si appoggiano i libri sacri. Ritrova normalmente all’ambone con il Legionario, secondo una vecchia abitudine, al momento della presentazione delle offerte, è posto talvolta sull’altare un leggio portatile per il Messale.
LEZIONARIO. Libro liturgico contenente le letture della Sacra Scrittura, destinate alla Messa o ad altre celebrazioni.
MESSALE. Libro per la celebrazione della Messa; contiene le orazioni del sacerdote, quelle fisse e quelle variabili.
PRESBITERIO. Nelle basiliche, la zona dell’altare per motivi pratici è stata delimitata ben presto da cancelli, dai quali in seguito si è sviluppata la BALAUSTRA per la distribuzione della Comunione. Oggi il presbiterio è posto in evidenza rispetto al resto del vano mediante un leggero rialzo. Il termine indica anche l’insieme dei sacerdoti di una diocesi, che guidano la Chiesa facendo capo al vescovo.
PULPITO. Luogo della predicazione, sistemato per lo più contro una colonna o sul lato più lungo della navata centrale della chiesa.
RITUALE. Libro liturgico per la celebrazione dei Sacramenti.
TABERNACOLO. Luogo per la custodia dell’Eucaristia.
CHI E’ …
ACCOLITO. Esercita un ministero liturgico: aiuta il sacerdote e il diacono, prepara l’altare e i vasi sacri, e, come ministro straordinario, distribuisce la Comunione ai fedeli.
CERIMONIERE. Colui che è incaricato di preparare le celebrazioni più complesse. Coordina i diversi servizi e fa in modo che tutto si svolga ordinatamente e con tranquillità.
CEROFERARIO. Ministrante che porta la torcia.
CROCIFERO. Ministrante che apre la processione portando la Santissima Croce. L’immagine di Cristo è rivolta in direzione della processione. Solo quando è presente un arcivescovo, la croce viene portata in modo che questi possa vedere l’immagine di Cristo.
LETTORE. Il fedele incaricato della lettura dei testi biblici, con esclusione del Vangelo, nella Messa e in altre celebrazioni.
TURIFERARIO. Inserviente che porta il turibolo.
COSA SIGNIFICA …
AMITTO. Panno bianco da applicare intorno al collo, quando il camice non copre completamente l’abito comune.
ASPERSORIO. Ciuffo di crini, o piccola spugna chiusa in una sfera metallica cava e perforata, usato per l’aspersione con acqua benedetta.
CAMICE. Veste per la liturgia di stoffa bianca. In origine, abito di base per tutti gli inservienti in qualsiasi tipo di celebrazione; oggi viene spesso sostituito dalla cotta.
CINGOLO. Cintura da cingersi alla vita sopra il camice.
CORPORALE. Piccolo panno di lino su cui vengono posti il calice e la patena durante la celebrazione della Messa, o il Santissimo Sacramento per la custodia e l’esposizione.
COTTA. Sopravveste bianca, spesso ornata di pizzo, lunga fino al ginocchio, con maniche corte e larghe, da indossare sopra la Talare.
DALMATICA. Veste propria del diacono, da indossarsi opra il camice e la stola.
MITRA. Copricapo liturgico specifico, proprio del vescovo, che lo porta durante le processioni, quando sta alla cattedra episcopale, quando dà una benedizione solenne e durante altre azioni importanti.
NAVICELLA. Recipiente così chiamato per la sua forma e destinato a contenere i grano d’incenso.
OSTENSORIO. Arredo che consente di esporre il Santissimo Sacramento per l’adorazione.
PALLA. Piccolo telo di lino, di forma quadrata, per lo più inamidato, che serve a coprire il calice e la patena.
PATENA. Recipiente per le ostie; dall’originaria forma a scodella si è ridotta ad un piattino.
PIANETA. Paramento che il sacerdote celebrante indossa sopra il camice e la stola: è confezionato nei vari colori liturgici.
PISSIDE o CIBORIO. Contenitore per la custodia o il trasporto della Santa Comunione sotto la specie del pane.
PIVIALE. Veste liturgica usata originariamente per le processioni e in seguito anche per la Liturgia delle Ore nelle feste solenni.
PURIFICATOIO. Piccolo panno di lino, dalla forma e dalla misura di un fazzoletto, che serve ad asciugare il calice, a pulire la patena e il bordo del calice.
STOLA. Importante insegna, che fa parte delle vesti liturgiche, è a forma di sciarpa.
TURIBOLO. Recipiente a cui sono issate delle catenelle e chiuso da un coperchio con fori. Contiene un secondo recipiente con carboni accesi, sui quali bruciano grani d’incenso.
AMBONE. Luogo elevato, da cui si svolge la proclamazione dei testi biblici, del salmo responsoriale e dell’Exsultet pasquale; è anche il luogo dell’omelia e delle intenzioni per la preghiera dei fedeli. Non è invece destinato alla lettura d’avvisi e alla proposta dei canti. L’ambone presenta per lo più una configurazione artistica ed è dotato di un leggio.
BATTISTERO. Cappella per il Battesimo, per lo più rotonda od ottagonale; di regola complesso architettonico delle antiche chiese episcopali. Nelle chiese parrocchiali si trova normalmente solo un FONTE BATTESIMALE.
EVANGELIARIO. Libro liturgico con il testo dei Vangeli.
LEGGIO. Arredo su cui si appoggiano i libri sacri. Ritrova normalmente all’ambone con il Legionario, secondo una vecchia abitudine, al momento della presentazione delle offerte, è posto talvolta sull’altare un leggio portatile per il Messale.
LEZIONARIO. Libro liturgico contenente le letture della Sacra Scrittura, destinate alla Messa o ad altre celebrazioni.
MESSALE. Libro per la celebrazione della Messa; contiene le orazioni del sacerdote, quelle fisse e quelle variabili.
PRESBITERIO. Nelle basiliche, la zona dell’altare per motivi pratici è stata delimitata ben presto da cancelli, dai quali in seguito si è sviluppata la BALAUSTRA per la distribuzione della Comunione. Oggi il presbiterio è posto in evidenza rispetto al resto del vano mediante un leggero rialzo. Il termine indica anche l’insieme dei sacerdoti di una diocesi, che guidano la Chiesa facendo capo al vescovo.
PULPITO. Luogo della predicazione, sistemato per lo più contro una colonna o sul lato più lungo della navata centrale della chiesa.
RITUALE. Libro liturgico per la celebrazione dei Sacramenti.
TABERNACOLO. Luogo per la custodia dell’Eucaristia.
CHI E’ …
ACCOLITO. Esercita un ministero liturgico: aiuta il sacerdote e il diacono, prepara l’altare e i vasi sacri, e, come ministro straordinario, distribuisce la Comunione ai fedeli.
CERIMONIERE. Colui che è incaricato di preparare le celebrazioni più complesse. Coordina i diversi servizi e fa in modo che tutto si svolga ordinatamente e con tranquillità.
CEROFERARIO. Ministrante che porta la torcia.
CROCIFERO. Ministrante che apre la processione portando la Santissima Croce. L’immagine di Cristo è rivolta in direzione della processione. Solo quando è presente un arcivescovo, la croce viene portata in modo che questi possa vedere l’immagine di Cristo.
LETTORE. Il fedele incaricato della lettura dei testi biblici, con esclusione del Vangelo, nella Messa e in altre celebrazioni.
TURIFERARIO. Inserviente che porta il turibolo.
COSA SIGNIFICA …
AMITTO. Panno bianco da applicare intorno al collo, quando il camice non copre completamente l’abito comune.
ASPERSORIO. Ciuffo di crini, o piccola spugna chiusa in una sfera metallica cava e perforata, usato per l’aspersione con acqua benedetta.
CAMICE. Veste per la liturgia di stoffa bianca. In origine, abito di base per tutti gli inservienti in qualsiasi tipo di celebrazione; oggi viene spesso sostituito dalla cotta.
CINGOLO. Cintura da cingersi alla vita sopra il camice.
CORPORALE. Piccolo panno di lino su cui vengono posti il calice e la patena durante la celebrazione della Messa, o il Santissimo Sacramento per la custodia e l’esposizione.
COTTA. Sopravveste bianca, spesso ornata di pizzo, lunga fino al ginocchio, con maniche corte e larghe, da indossare sopra la Talare.
DALMATICA. Veste propria del diacono, da indossarsi opra il camice e la stola.
MITRA. Copricapo liturgico specifico, proprio del vescovo, che lo porta durante le processioni, quando sta alla cattedra episcopale, quando dà una benedizione solenne e durante altre azioni importanti.
NAVICELLA. Recipiente così chiamato per la sua forma e destinato a contenere i grano d’incenso.
OSTENSORIO. Arredo che consente di esporre il Santissimo Sacramento per l’adorazione.
PALLA. Piccolo telo di lino, di forma quadrata, per lo più inamidato, che serve a coprire il calice e la patena.
PATENA. Recipiente per le ostie; dall’originaria forma a scodella si è ridotta ad un piattino.
PIANETA. Paramento che il sacerdote celebrante indossa sopra il camice e la stola: è confezionato nei vari colori liturgici.
PISSIDE o CIBORIO. Contenitore per la custodia o il trasporto della Santa Comunione sotto la specie del pane.
PIVIALE. Veste liturgica usata originariamente per le processioni e in seguito anche per la Liturgia delle Ore nelle feste solenni.
PURIFICATOIO. Piccolo panno di lino, dalla forma e dalla misura di un fazzoletto, che serve ad asciugare il calice, a pulire la patena e il bordo del calice.
STOLA. Importante insegna, che fa parte delle vesti liturgiche, è a forma di sciarpa.
TURIBOLO. Recipiente a cui sono issate delle catenelle e chiuso da un coperchio con fori. Contiene un secondo recipiente con carboni accesi, sui quali bruciano grani d’incenso.
venerdì 2 novembre 2007
Avviso
Si informa chiunque voglia fare il chierichetto a Capena che la domenica mattina alle 9.00 può venire in sacrestia !
Alle 9.00 si terrà anche un corso per migliorare il servizio liturgico, vi aspettiamo !
sabato 27 ottobre 2007
Il primo ministrante
Tarcisio era un ragazzo che frequentava le Catacombe di San Callisto ed era molto fedele alla vita della giovane Chiesa cristiana dei primi secoli.
Egli ricevette i Sacramenti, nonostante essi si amministrassero solo agli adulti; prima del Battesimo la Chiesa prevedeva un periodo triennale ("Catecumenato") di preparazione; dopo questi tre anni, i padrini garantivano le buone intenzioni del catecumeno, quindi si giungeva al Sacramento. Durante la Veglia Pasquale, come era usanza di allora, Tarcisio ricevette questi tre sacramenti, detti "dell'iniziazione cristiana", ossia - appunto - il Battesimo, l'Eucaristia e la Confermazione. Divenne anche un accolito.
Negli anni di Valeriano le persecuzioni erano veramente brutali ed era diventato assai arduo il compito dei Diaconi e degli Accoliti, che dovevano portare l'Eucaristia dalle Catacombe alle carceri e agli ammalati. Erano tempi davvero duri e, un giorno, il sacerdote della Catacomba di Tarcisio, dopo aver preparato il Pane per la distribuzione all'esterno, si guardò attorno per cercare qualcuno che si incaricasse di tale gravoso compito.
"Padre, manda me". Una voce echeggia nella Catacomba; la voce è quella di un giovane, Tarcisio appunto, che si offre volontario.Alla protesta del sacerdote, che lo riteneva troppo giovane, egli rispose: "Padre mio, la mia giovinezza sarà la miglior salvaguardia. non negarmi questo onore, ti prego!". Il dialogo si concluse poi così: "Tarcisio, ricordati che un tesoro celeste è affidato alle tue deboli cure. Evita le vie frequentate e non dimenticare che le cose sante non devono essere gettate ai cani né le gemme ai porci. Custodirai con fedeltà e sicurezza i Sacri Misteri?". "Morirò piuttosto di cederli", fu la risposta di Tarcisio. Tarcisio attraversò dunque le vie della città, evitando sia i luoghi molto frequentati sia quelli troppo deserti. Tarcisio accelerava il passo. Non distava molto dal carcere: c'era soltanto da attraversare una grande piazza, dove alcuni ragazzi giocavano.
"Ci manca uno per completare la squadra (per il gioco)", gridava il caporione, "come facciamo?". Videro passare in quel momento Tarcisio, che era conosciuto da quei ragazzi, che però non sapevano che era un cristiano. Egli rifiutò l'invito a giocare perchè doveva compiere questo delicato atto d'amore e, nonostante essi insistettero, egli stringeva le mani al petto e rifiutava ancora. Ad un certo punto uno dei ragazzi si accorge che egli incrociava le mani e gli chiese cosa custodiva lì dentro. Egli strinse ancor più le sue mani, mentre gli altri cercavano di strappargliele, poi giunse un signore anziano che capì che era un cristiano che portava i Santi Misteri. Appena si seppe questo iniziò il pestaggio: il sangue di Tarcisio cominciò a spandersi su quel luogo, mentre ormai i colpi e i calci non si contavano più. Giunse allora un erculeo ufficiale pretoriano di nome Quadrato, segretamente cristiano, che intimò a quelle canaglie di andarsene. Appena la piazza fu libera, si chinò sul morente Tarcisio che gli disse: "Io sto morendo, Quadrato, ma il Corpo del Signore è salvo! Ti prego, portami dal sacerdote!". Giunto là, Tarcisio era già morto.
Subito le sue spoglie furono poste nelle stesse Catacombe di San Callisto , poi un'iscrizione ricorda il loro trasporto alla chiesa di San Silvestro in Campo, molto tempo dopo.
Nel XIX secolo il martire dell'Eucaristia fu scelto come patrono dei ministranti.
Egli ricevette i Sacramenti, nonostante essi si amministrassero solo agli adulti; prima del Battesimo la Chiesa prevedeva un periodo triennale ("Catecumenato") di preparazione; dopo questi tre anni, i padrini garantivano le buone intenzioni del catecumeno, quindi si giungeva al Sacramento. Durante la Veglia Pasquale, come era usanza di allora, Tarcisio ricevette questi tre sacramenti, detti "dell'iniziazione cristiana", ossia - appunto - il Battesimo, l'Eucaristia e la Confermazione. Divenne anche un accolito.
Negli anni di Valeriano le persecuzioni erano veramente brutali ed era diventato assai arduo il compito dei Diaconi e degli Accoliti, che dovevano portare l'Eucaristia dalle Catacombe alle carceri e agli ammalati. Erano tempi davvero duri e, un giorno, il sacerdote della Catacomba di Tarcisio, dopo aver preparato il Pane per la distribuzione all'esterno, si guardò attorno per cercare qualcuno che si incaricasse di tale gravoso compito.
"Padre, manda me". Una voce echeggia nella Catacomba; la voce è quella di un giovane, Tarcisio appunto, che si offre volontario.Alla protesta del sacerdote, che lo riteneva troppo giovane, egli rispose: "Padre mio, la mia giovinezza sarà la miglior salvaguardia. non negarmi questo onore, ti prego!". Il dialogo si concluse poi così: "Tarcisio, ricordati che un tesoro celeste è affidato alle tue deboli cure. Evita le vie frequentate e non dimenticare che le cose sante non devono essere gettate ai cani né le gemme ai porci. Custodirai con fedeltà e sicurezza i Sacri Misteri?". "Morirò piuttosto di cederli", fu la risposta di Tarcisio. Tarcisio attraversò dunque le vie della città, evitando sia i luoghi molto frequentati sia quelli troppo deserti. Tarcisio accelerava il passo. Non distava molto dal carcere: c'era soltanto da attraversare una grande piazza, dove alcuni ragazzi giocavano.
"Ci manca uno per completare la squadra (per il gioco)", gridava il caporione, "come facciamo?". Videro passare in quel momento Tarcisio, che era conosciuto da quei ragazzi, che però non sapevano che era un cristiano. Egli rifiutò l'invito a giocare perchè doveva compiere questo delicato atto d'amore e, nonostante essi insistettero, egli stringeva le mani al petto e rifiutava ancora. Ad un certo punto uno dei ragazzi si accorge che egli incrociava le mani e gli chiese cosa custodiva lì dentro. Egli strinse ancor più le sue mani, mentre gli altri cercavano di strappargliele, poi giunse un signore anziano che capì che era un cristiano che portava i Santi Misteri. Appena si seppe questo iniziò il pestaggio: il sangue di Tarcisio cominciò a spandersi su quel luogo, mentre ormai i colpi e i calci non si contavano più. Giunse allora un erculeo ufficiale pretoriano di nome Quadrato, segretamente cristiano, che intimò a quelle canaglie di andarsene. Appena la piazza fu libera, si chinò sul morente Tarcisio che gli disse: "Io sto morendo, Quadrato, ma il Corpo del Signore è salvo! Ti prego, portami dal sacerdote!". Giunto là, Tarcisio era già morto.
Subito le sue spoglie furono poste nelle stesse Catacombe di San Callisto , poi un'iscrizione ricorda il loro trasporto alla chiesa di San Silvestro in Campo, molto tempo dopo.
Nel XIX secolo il martire dell'Eucaristia fu scelto come patrono dei ministranti.
venerdì 26 ottobre 2007
Cresime
Domenica 28 ottobre ci saranno le cresime nella Chiesa Parrocchiale di Capena alle ore 11.00 !
Siete tutti invitati !
I chirichetti sono pregati di venire alle 10.30 in sacrestia.
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